"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Trasumanar e organizzar
Trasumanar e organizzar è l'ultima raccolta di versi di Pasolini. Uscita nel 1971 raccoglie le poesie scritte durante la lavorazione di Medea e alcuni versi precedentemente pubblicati sulla rivista "Nuovi Argomenti".
La fascetta editoriale dell'edizione Garzanti 1971,
firmata da Pier Paolo Pasolini
Lo devo ammettere: i veri lettori di questo libro sono coloro che gli possono conferire una certa oggettività attraverso un interesse professionale. Ciò, è vero, accade in Italia per tutti i libri di poesia: ma per questo, credo, in modo particolare, perché almeno per la prima metà esso è costituito da "documenti", o privati (a testimoniare una vita) o letterari (a testimoniare una evoluzione linguistica e intellettuale).
Tuttavia, per quanto privo di illusioni, continuo sempre a credere nell'esistenza almeno ideale di un lettore ingenuo, disposto a prendere come fatti obbiettivi e di consumo non ignobile, anche le cose più intime, stravaganti e personali. Così, è a questo lettore che voglio specialmente dire che non dipende da me se Trasumanar e organizzar può già apparire, nell'aprile del 1971, leggermente anacronistico: le involuzioni sociali sono sempre traumatiche e perciò rapide.
E' vero che da quasi un anno ho cessato la collaborazione a un rotocalco perché era impubblicabile una mia osservazione riguardante uomini influenti, i quali si dichiaravano "equidistanti" dai gruppi sovversivi di destra e dai gruppi sovversivi di sinistra: e prevedevo dunque con questo che si sarebbe arrivati all'attuale situazione, in cui si è costretti a ricordare il '19 se non addirittura il '22. La dichiarazione di equidistanza dai due corni estremi è oggettivamente un appoggio al corno destro.
So bene poi che sono molto pochi i lettori che leggono interamente, dal principio alla fine, un libro di poesie: perciò indicherei, a chi avesse una scusabile fretta, le sezioni "Trasumanar e organizzar", "Charta (sporca)", "Poemi zoppicanti" e "Manifestar", come le più interessanti.
So anche che ci sono dei lettori che, di un libro di poesie, ne leggono solo una: in tal caso consiglierei "La poesia della tradizione".
Chi è la persona che ha scritto questo libro? Non lo so bene. Comunque essa è stata certamente guidata da una mezza dozzina di "principi" dettati da chissà che istinto.
Il primo di questi principi è stato quello di resistere contro ogni tentazione di letteratura-azione o letteratura-intervento: attraverso l'affermazione caparbia, e quasi solenne, dell'inutilità della poesia.
Il secondo principio di tale persona è stato quello di non temere l'attualità (in nome di qualcos'altro che la vanifica, e in cui peraltro essa crede).
Il terzo principio è stato quello di concedersi una certa libertà linguistica rasentante talvolta l'arbitrarietà e il gioco (cose in precedenza mai avvenute, perché le sue mistificazioni furono sempre ingenue, appassionate e zelanti).
Il quarto principio è stato quello di considerare fatale da parte sua la rassegnazione di fronte al persistere dell"oxymoron", o della "sineciosi" (vedi "Sineciosi della diaspora").
Il quinto principio è consistito nella scoperta, quasi improvvisa, che la libertà è "intollerabile" all'uomo (specialmente giovane), che si inventa mille obblighi e doveri per non viverla.
Il sesto principio (molto meno importante) è consistito nel non voler fare di tutti i principi sopraddetti, e di una forma di fedeltà a se stessa, necessaria ad adempiersi, un contributo alla restaurazione.
Su tutto è sempre prevalsa l'idea, disperata ma rassegnata, che la propria vita si fosse rimpicciolita: ma che comunque fosse aumentato il piacere di vivere, in ragione della materiale diminuzione del futuro.
Tra i libri di poesie del ‘900, Trasumanar e Organizzar è, a mio avviso, il più significativo, per la straordinaria carica innovativa, su più versanti, che Pasolini esprime in questa raccolta.
Trasumanar segna una rottura con l’iniziale opera poetica pasoliniana, e anticipa, sul piano stilistico-letterario, quei modi polemici che ritroviamo poi in Scritti Corsari e Lettere Luterane, anche se, l'opera è e resta una grande opera poetica.
Sotto alcuni scritti di Pier Paolo Pasolini, Ferretti, Zanzotto, Volponi, Lajolo.
Caro Garzanti,
ho ricevuto questa lettera – di cui le spedisco la fotocopia – con molta sorpresa. È vero che la prima edizione di Trasumanar è esaurita? E allora perché non esce subito la seconda? Perché, un successo simile, se è vero, non viene fatto conoscere attraverso la stampa (magari attraverso la stampa la cui critica ha brutalmente ignorato il libro)?
È la prima volta, durante il nostro lungo rapporto, che io le scrivo una lettera da autore capriccioso (tipo, mettiamo, Volponi!): ma sento patologicamente la ventura di questo mio libro, e sento anche che dall‟editore questo libro non è stato amato e protetto come la mia patologica ansia desiderava…
La prego, mi risponda con una lettera rassicurante, suo
Pier Paolo Pasolini
Caro Ferretti,
grazie per il tuo bigliettino; e grazie per la tua bellissima critica su “Rinascita”, che mi ha consolato come facitore di versi, e un po‟ spaventato come autore messo di fronte alle rovine del suo mondo. Chissà se scriverò mai più dei versi! «Meglio tacere quando ci si accorge di non essere ascoltati» dice il mio attuale Maestro, Chaucer, molto saggiamente. So del resto che alla tua critica, piena, anzi rigurgitante di cose, dovrei rispondere in ben altro modo che con un biglietto di saluto. Ma son qui con l‟acqua alla gola – domani parto per l‟Inghilterra, per il nuovo film – se non ti scrivo due righe adesso, chissà quando lo potrei fare – hai tutta la mia gratitudine, tu e Elsa Morante siete gli unici finora che mi hanno «ascoltato».
Andrea Zanzotto
Da mesi sto girando e rigirando nei labirinti del tuo libro che, intanto, fa uno di quei titoli “necessari”, rarissimi, in cui ci si imbatte di rado. Nomen numen più che mai, in questo caso. Certo è che l‟abbondanza di temi e di veri e propri materiali grezzi accanto alla più complessa sperimentazione formale lascia sbalorditi, in difficoltà, col fiato mozzo e la tachicardia!
Paolo Volponi
Durante le tristi vacanze (tristi come me) ho avuto la compagnia oltre che dei due miei adorati figli (capricciosi) del tuo libro di poesia: davvero bello e più ancora nuovo, scoperchiato, vero, pieno di tutti i problemi, decisivo, consolante e provocatorio, che dentro poi contiene le due in corsivo, un affetto e un canto civile, che sono le due poesie italiane più belle dopo Giacomo Leopardi. Volevo testimoniarti questa verità e abbracciarti affettuosamente.
Davide Lajolo:
Caro Pasolini, in molte delle liriche critichi ogni ordinamento che si inquadri in istituzione, intendendo per istituzione qualcosa di statico, dogmatico, conservatore: la Chiesa per esempio come istituzione conservatrice. In altre indichi anche il Pci come istituzione ma in quella Trasumanar e organizzar dici giustamente che il Pci è come lo vogliono gli operai. Io aggiungo: non solo come lo vogliono gli operai ma come lo vuole la realtà contro la quale si scontra. Perciò non è istituzione ferma e deve rifiutare dogmi per essere la forza decisiva, proprio perché unitaria, per cambiare le cose. E questo è rivoluzionario oggi, il resto sono parole o speranze gridate.[...]
[...] Ecco perché secondo me non c’è contrasto tra organizzare e trasumanare (e se c’è, bisogna operare dal di dentro non dal di fuori come isolati per abolirlo) così come bisogna far convivere ragione e carità intesa come poesia – e c’è chi si è sempre sforzato di non rinunciare né all’una né all’altra. Può essere questa una prima risposta alla tua poesia «non formale» contenuta nella poesia Trasumanar e organizzar?
Pasolini:
Dunque io amo le istituzioni perché, in quanto «luogo» della fraternità, mi sono precluse. Rimpiango ciò che mi è stato interdetto, ciò che ho perduto: ma non sono così cieco da non accorgermi che la fraternità, che senza istituzioni non potrebbe sussistere, è una fraternità che tale appare a chi ne è escluso; e che piuttosto si tratta di una fraternità drammatica, piena di odi e ingiustizia, per cui in realtà «il fratello sfrutta il fratello», come suona lo slogan primo dell‟ideologia marxista. Le istituzioni sono quindi sempre fatalmente di destra: e perciò io non posso che oppormi ad esse. Per dichiarare il mio disperato amore «reazionario» per esse, devo ricorrere a una interposta persona (per esempio il personaggio di Pio XII [cui è dedicata la lirica L’enigma di Pio XII]), oppure devo scriverne «con la man che trema», con la coscienza cioè di un‟autoaccusa, che consacri l‟umiliazione a cui sono destinato dai miei fratelli che non mi vogliono «dei loro».
Tu, con più distacco, razionalizzi la cosa, e, nelle istituzioni vedi il momento ineliminabile e positivo, giustamente. Ma ciò ti ripeto a me riesce impossibile, perché ho per esse o un amore poeticamente “reazionario” o un odio, diciamo, progressista, ma estremistico, per cui “istituzione” si identifica con conservazione, burocrazia, potere.
Tu con i giovani hai un conto aperto da sempre. Dai tempi in cui li hai difesi e scoperti nei tuoi romanzi, così com’erano giovani di periferia senza belletti e senza metafore e quando hai con loro sviluppato e precorso la contestazione, a quando li hai avvisati in tempo dei pericoli che correvano perché non sentivano né «il trasumanar né l’organizzar», all’ultima lirica La poesia della tradizione dove con la tua fonda tristezza canti sulla «povera generazione» che «non sa piangere» davanti «al Battistero» o ad una ««ottava del Cinquecento» e dici che combattono ubbidendo a coloro che vorrebbero debellare. Ma ci sono gli «studenti medi» ai quali affidi il domani finalmente con fiducia.
Credo a questa fiducia, ai giovanissimi che cambieranno il mondo perché è questo che tocca loro. Ma per farlo debbono davvero impedire che ci sia chi essendo a destra e perciò contro la giovinezza possa giocare sugli opposti estremismi e ingannare ancora come tu ammonisci. Ecco la necessità di organizzare, di unire e non dividere la sinistra, di non tentare i salti mortali una volta tanto e trovarsi o con la testa rotta o addirittura dall’altra parte. Caro Pasolini, è poesia anche decidere a testa fredda, vedere la luce chiara senza accecarsi. Non lo credi?
Sì, hai ragione, il «tema dei giovani» è forse il più importante e costante in tutto il mio libro. Ed è vero anche che, in una poesia, i «giovanissimi» (gli studentini delle medie) mi appaiano sotto una luce «bianca» di simpatia e speranza. Ma da questo non posso onestamente dedurre qualcosa di generale e valevole come catarsi per la mia ultima poesia.
Se i migliori studenti di oggi, 1971, sono ormai al di qua dell‟ultimo sussulto della Riforma, o se vuoi, del Peccato Originale, in una luce laica che illumina imparzialmente quella «nuova qualità di vita» che a noi sembra così oscura e incomprensibile, ci sono enormi masse di giovani che vanno verso quel futuro passivamente, vivendolo esistenzialmente in tutta la sua atrocità. Per esempio i giovani emigranti del Sud, soprattutto siciliani, che vanno in massa a lavorare a Milano, a Torino o in Germania, subiscono un processo immediato di corruzione piccolo-borghese che li rende irriconoscibili: essi vivono gli strati più infimi della sottocultura “consumistica”, che non può sostituire altrimenti la loro grazia che con la volgarità. Ma anche gli studenti che formano la “maggioranza silenziosa” dei licei e delle università vivono questa sottocultura, sia pure a uno strato meno infimo. I valori – quelli che a noi parevano tali – e che appartenevano alla “cultura” – non hanno più corso, se non come residui. La razionalizzazione del mondo nasce dal pragma, cioè dall‟accettazione del modo in cui il mondo si è organizzato. Mai ontologia è stata così totale ed esaustiva come quella delle masse grigie dei giovani ubbidienti dell‟ultima generazione. E quanto ai giovani disubbidienti, ai contestatori, anch‟essi, nella loro maggioranza, vivono una forma sottoculturale di rivoluzione. Vedi per esempio il senso arbitrario che essi danno appunto alla parola “rivoluzione”.
Mentre fino a pochi anni fa la sottocultura era semplicemente una forma degradata di cultura – e i valori erano gli stessi – oggi la sottocultura tende a rendersi autonoma, a proporsi come LA cultura. (E infatti essa stessa storicamente coincide con la cultura di massa.)
Le minoranze di giovani che sono più o meno coscienti di questo e che elaborano una nuova figura di “intellettuale” da sostituire a quella elaborata dalla cultura degli anni Cinquanta, sotto il segno del Pci, sono da una parte disperatamente “sole”, dall‟altra disperatamente “anticipate”.
Come vedi la “sinistra” è oggettivamente divisa: divisa da una grande spaccatura storica che separa la cultura umanistica dalla sottocultura tecnologica; divisa dall‟incomprensione tra vecchia sinistra e nuova sinistra; divisa dall‟atteggiamento infinitamente diverso dei giovani che hanno appena letto Marx e Lenin come “portatori di vecchi valori” da riassumere come novità che contano in un mondo carico di “nuovi valori” ancora sconosciuti o non effabili.
Quindi, sì, certo, bisogna salvare fin che si può l‟unità della Sinistra, hai ragione. Ma la rivoluzione culturale è stata possibile, e concepibile, solo in Cina: l‟unità della Sinistra si salva all‟interno della Sinistra. Ma a me, che almeno in quanto poeta vivo all‟esterno di tutto, esiliato, mi sembra che le varie forme, anche eretiche, che può assumere la Sinistra, siano in opposizione a un mondo – quello della naturalezza del potere – che, esso sì, si sta unificando con una rapidità e una regolarità mai viste prima d‟ora nella storia. E il terribile è che la sua sottocultura unificante unifica anche a sé, loro malgrado, molte forme della nuova sinistra.
Una delle tue affermazioni più costanti e illuminanti di tutto il tuo lavoro, dai films ai libri, dalle prose alle poesie è la tensione per valorizzare la cultura. Cultura come civiltà, cultura come poesia, cultura come vita. L’ignoranza è sempre fascismo, razzismo o quanto meno qualunquismo, conservazione.
Nel mondo, in questo mondo dove tutti parlano di “scelte di civiltà” e fingono di rincorrere la libertà, non c’è stata mai ai vertici tanta carenza di cultura. Come hai ragione! In tutto il mondo sia dalla parte dove il nuovo verbo è Love Story sia dove non essendovi il capitalismo che è prigione in se stesso impediscono agli scrittori di pubblicare libri o li mandano a meditare nei campi di concentramento, c’è una insofferenza dove non c’è addirittura disprezzo per “il culturismo”. La cultura è libertà, è l’uomo non più bestia, è il progresso, la civiltà vera. Ecco perché vale sempre lottare: il traguardo è la felicità. Sei d’accordo?
Paradise now, suona uno slogan già vecchio. La felicità ora! La felicità consiste prima di tutto nel non pensare mai al futuro. L‟odio per la cultura non è del capitalismo, né del revisionismo, né del fascismo: l‟odio per la cultura è della sottocultura. La cultura si proietta nel futuro solo come filosofia, scienza o utopia: la sottocultura si proietta nel futuro come speranza. E da qui deriva l‟infelicità. Perché la speranza è retorica, meschina, ricattatoria ed ipocrita. Il presente può essere ingiusto e infelice, ma è solo nel presente che si sperimenta e si vive realmente il reale, anche nell‟atto di progettarlo e quindi anche nell‟individuare e nell‟esprimere la sua ingiustizia e la sua infelicità. I soli giovani che pensano seriamente alla rivoluzione sono quelli (sempre più rari) che ne parlano con allegria.
E' vero che da quasi un anno ho cessato la collaborazione a un rotocalco perché era impubblicabile una mia osservazione riguardante uomini influenti, i quali si dichiaravano "equidistanti" dai gruppi sovversivi di destra e dai gruppi sovversivi di sinistra: e prevedevo dunque con questo che si sarebbe arrivati all'attuale situazione, in cui si è costretti a ricordare il '19 se non addirittura il '22. La dichiarazione di equidistanza dai due corni estremi è oggettivamente un appoggio al corno destro.
So bene poi che sono molto pochi i lettori che leggono interamente, dal principio alla fine, un libro di poesie: perciò indicherei, a chi avesse una scusabile fretta, le sezioni "Trasumanar e organizzar", "Charta (sporca)", "Poemi zoppicanti" e "Manifestar", come le più interessanti.
So anche che ci sono dei lettori che, di un libro di poesie, ne leggono solo una: in tal caso consiglierei "La poesia della tradizione".
Chi è la persona che ha scritto questo libro? Non lo so bene. Comunque essa è stata certamente guidata da una mezza dozzina di "principi" dettati da chissà che istinto.
Il primo di questi principi è stato quello di resistere contro ogni tentazione di letteratura-azione o letteratura-intervento: attraverso l'affermazione caparbia, e quasi solenne, dell'inutilità della poesia.
Il secondo principio di tale persona è stato quello di non temere l'attualità (in nome di qualcos'altro che la vanifica, e in cui peraltro essa crede).
Il terzo principio è stato quello di concedersi una certa libertà linguistica rasentante talvolta l'arbitrarietà e il gioco (cose in precedenza mai avvenute, perché le sue mistificazioni furono sempre ingenue, appassionate e zelanti).
Il quarto principio è stato quello di considerare fatale da parte sua la rassegnazione di fronte al persistere dell"oxymoron", o della "sineciosi" (vedi "Sineciosi della diaspora").
Il quinto principio è consistito nella scoperta, quasi improvvisa, che la libertà è "intollerabile" all'uomo (specialmente giovane), che si inventa mille obblighi e doveri per non viverla.
Il sesto principio (molto meno importante) è consistito nel non voler fare di tutti i principi sopraddetti, e di una forma di fedeltà a se stessa, necessaria ad adempiersi, un contributo alla restaurazione.
Su tutto è sempre prevalsa l'idea, disperata ma rassegnata, che la propria vita si fosse rimpicciolita: ma che comunque fosse aumentato il piacere di vivere, in ragione della materiale diminuzione del futuro.
Struttura della raccolta poetica
Libro primo
DUE DOCUMENTI
Egli o tu
Richiesta di lavoro
POESIE SU COMMISSIONE
L'enigma di Pio XII
Mirmicolalia
Dutschke
Panagulis
Il mondo salvato dai ragazzini
Il mondo salvato dai ragazzini (continuazione e fine)
Preghiera su commissione
LA NASCITA DI UN NUOVO TIPO DI BUFFONE
La nascita di un nuovo buffone
Il Gracco
Proposito di scrivere una poesia intitolata
"I primi sei canti del Purgatorio"
Propositi di leggerezza
TRASUMANAR E ORGANIZZAR
Comunicato dell'Ansa (Propositi)
Comunicato dell'Ansa (Scelta stilistica)
Comunicato dell'Ansa (Ninetto)
Comunicato dell'Ansa (Un cane)
Trasumanar e organizzar
APPENDICE
I. Per i sentieri
La man che trema
Versi prima fatici e poi enfatici
Fertilizzanti
L'orecchiabile
Il piagnisteo di cui parlava Marx
II. Piccoli poemi poetici e personali
Uno dei tanti epiloghi
Un affetto e la vita
Libro secondo
CHARTA (SPORCA)
La strada delle puttane
L'ottobre del 1969
Charta (sporca)
Versi del testamento
POEMI ZOPPICANTI
Patmos
La raccolta dei cadaveri
La poesia della tradizione
LA RESTAURAZIONE DI SINISTRA
La restaurazione di sinistra
Ancora sulla restaurazione di sinistra
La restaurazione di sinistra (III)
La restaurazione di sinistra e chi
Comunicato dell'Ansa (Recife)
Appunti per un'arringa senza senso
Rifacimento dell'arringa
SINECIOSI DELLA DIASPORA
L'orfano di Von Spreti
Libro libero
Rifacimento di "Libro libero"
L'ortodossia
Sineciosi della diaspora
Verba
Atene
Poema politico
Riassunto per un "Digest" del "Poema politico"
Appunto per uno sproloquio
La prevedenza
LA CITTA' SANTA
Timor di me?
Rifacimento
Il sovrano che non vuole avere compagno
La baia di Kingtown
MANIFESTAR
Rifacimento de "L'ortodossia"
Manifestar (appunti)
Gerarchia
L'anello
Rifacimento
Cose successe forse nel '20
Coda alle cose successe ecc.
La presenza
[...] la prossima raccolta di poesie che pubblicherò s‟intitolerà Trasumanar e organizzar. Con questa espressione voglio dire che l‟altra faccia della «trasumanizzazione» (la parola è di Dante, in questa forma apocopata), ossia dell‟ascesa spirituale, è proprio l‟organizzazione.
(P. P. PASOLINI, Saggi sulla politica e sulla società, cit., p. 1462.)
Tra i libri di poesie del ‘900, Trasumanar e Organizzar è, a mio avviso, il più significativo, per la straordinaria carica innovativa, su più versanti, che Pasolini esprime in questa raccolta.
Trasumanar segna una rottura con l’iniziale opera poetica pasoliniana, e anticipa, sul piano stilistico-letterario, quei modi polemici che ritroviamo poi in Scritti Corsari e Lettere Luterane, anche se, l'opera è e resta una grande opera poetica.
Sotto alcuni scritti di Pier Paolo Pasolini, Ferretti, Zanzotto, Volponi, Lajolo.
Caro Garzanti,
ho ricevuto questa lettera – di cui le spedisco la fotocopia – con molta sorpresa. È vero che la prima edizione di Trasumanar è esaurita? E allora perché non esce subito la seconda? Perché, un successo simile, se è vero, non viene fatto conoscere attraverso la stampa (magari attraverso la stampa la cui critica ha brutalmente ignorato il libro)?
È la prima volta, durante il nostro lungo rapporto, che io le scrivo una lettera da autore capriccioso (tipo, mettiamo, Volponi!): ma sento patologicamente la ventura di questo mio libro, e sento anche che dall‟editore questo libro non è stato amato e protetto come la mia patologica ansia desiderava…
La prego, mi risponda con una lettera rassicurante, suo
Pier Paolo Pasolini
P. P. PASOLINI, Lettere 1955-1975, cit., p. 695.
Caro Ferretti,
grazie per il tuo bigliettino; e grazie per la tua bellissima critica su “Rinascita”, che mi ha consolato come facitore di versi, e un po‟ spaventato come autore messo di fronte alle rovine del suo mondo. Chissà se scriverò mai più dei versi! «Meglio tacere quando ci si accorge di non essere ascoltati» dice il mio attuale Maestro, Chaucer, molto saggiamente. So del resto che alla tua critica, piena, anzi rigurgitante di cose, dovrei rispondere in ben altro modo che con un biglietto di saluto. Ma son qui con l‟acqua alla gola – domani parto per l‟Inghilterra, per il nuovo film – se non ti scrivo due righe adesso, chissà quando lo potrei fare – hai tutta la mia gratitudine, tu e Elsa Morante siete gli unici finora che mi hanno «ascoltato».
P. P. PASOLINI, Lettere 1955-1975, cit., p. 705.
Andrea Zanzotto
Da mesi sto girando e rigirando nei labirinti del tuo libro che, intanto, fa uno di quei titoli “necessari”, rarissimi, in cui ci si imbatte di rado. Nomen numen più che mai, in questo caso. Certo è che l‟abbondanza di temi e di veri e propri materiali grezzi accanto alla più complessa sperimentazione formale lascia sbalorditi, in difficoltà, col fiato mozzo e la tachicardia!
Cfr. N. NALDINI, Pasolini, una vita, cit., p. 355-356 (la citazione è a p. 357.
Paolo Volponi
Durante le tristi vacanze (tristi come me) ho avuto la compagnia oltre che dei due miei adorati figli (capricciosi) del tuo libro di poesia: davvero bello e più ancora nuovo, scoperchiato, vero, pieno di tutti i problemi, decisivo, consolante e provocatorio, che dentro poi contiene le due in corsivo, un affetto e un canto civile, che sono le due poesie italiane più belle dopo Giacomo Leopardi. Volevo testimoniarti questa verità e abbracciarti affettuosamente.
Cfr. N. NALDINI, Pasolini, una vita, cit., p. 355-356 (la citazione è a p. 357.
Davide Lajolo:
Caro Pasolini, in molte delle liriche critichi ogni ordinamento che si inquadri in istituzione, intendendo per istituzione qualcosa di statico, dogmatico, conservatore: la Chiesa per esempio come istituzione conservatrice. In altre indichi anche il Pci come istituzione ma in quella Trasumanar e organizzar dici giustamente che il Pci è come lo vogliono gli operai. Io aggiungo: non solo come lo vogliono gli operai ma come lo vuole la realtà contro la quale si scontra. Perciò non è istituzione ferma e deve rifiutare dogmi per essere la forza decisiva, proprio perché unitaria, per cambiare le cose. E questo è rivoluzionario oggi, il resto sono parole o speranze gridate.[...]
[...] Ecco perché secondo me non c’è contrasto tra organizzare e trasumanare (e se c’è, bisogna operare dal di dentro non dal di fuori come isolati per abolirlo) così come bisogna far convivere ragione e carità intesa come poesia – e c’è chi si è sempre sforzato di non rinunciare né all’una né all’altra. Può essere questa una prima risposta alla tua poesia «non formale» contenuta nella poesia Trasumanar e organizzar?
Pasolini:
Dunque io amo le istituzioni perché, in quanto «luogo» della fraternità, mi sono precluse. Rimpiango ciò che mi è stato interdetto, ciò che ho perduto: ma non sono così cieco da non accorgermi che la fraternità, che senza istituzioni non potrebbe sussistere, è una fraternità che tale appare a chi ne è escluso; e che piuttosto si tratta di una fraternità drammatica, piena di odi e ingiustizia, per cui in realtà «il fratello sfrutta il fratello», come suona lo slogan primo dell‟ideologia marxista. Le istituzioni sono quindi sempre fatalmente di destra: e perciò io non posso che oppormi ad esse. Per dichiarare il mio disperato amore «reazionario» per esse, devo ricorrere a una interposta persona (per esempio il personaggio di Pio XII [cui è dedicata la lirica L’enigma di Pio XII]), oppure devo scriverne «con la man che trema», con la coscienza cioè di un‟autoaccusa, che consacri l‟umiliazione a cui sono destinato dai miei fratelli che non mi vogliono «dei loro».
Tu, con più distacco, razionalizzi la cosa, e, nelle istituzioni vedi il momento ineliminabile e positivo, giustamente. Ma ciò ti ripeto a me riesce impossibile, perché ho per esse o un amore poeticamente “reazionario” o un odio, diciamo, progressista, ma estremistico, per cui “istituzione” si identifica con conservazione, burocrazia, potere.
Tu con i giovani hai un conto aperto da sempre. Dai tempi in cui li hai difesi e scoperti nei tuoi romanzi, così com’erano giovani di periferia senza belletti e senza metafore e quando hai con loro sviluppato e precorso la contestazione, a quando li hai avvisati in tempo dei pericoli che correvano perché non sentivano né «il trasumanar né l’organizzar», all’ultima lirica La poesia della tradizione dove con la tua fonda tristezza canti sulla «povera generazione» che «non sa piangere» davanti «al Battistero» o ad una ««ottava del Cinquecento» e dici che combattono ubbidendo a coloro che vorrebbero debellare. Ma ci sono gli «studenti medi» ai quali affidi il domani finalmente con fiducia.
Credo a questa fiducia, ai giovanissimi che cambieranno il mondo perché è questo che tocca loro. Ma per farlo debbono davvero impedire che ci sia chi essendo a destra e perciò contro la giovinezza possa giocare sugli opposti estremismi e ingannare ancora come tu ammonisci. Ecco la necessità di organizzare, di unire e non dividere la sinistra, di non tentare i salti mortali una volta tanto e trovarsi o con la testa rotta o addirittura dall’altra parte. Caro Pasolini, è poesia anche decidere a testa fredda, vedere la luce chiara senza accecarsi. Non lo credi?
Sì, hai ragione, il «tema dei giovani» è forse il più importante e costante in tutto il mio libro. Ed è vero anche che, in una poesia, i «giovanissimi» (gli studentini delle medie) mi appaiano sotto una luce «bianca» di simpatia e speranza. Ma da questo non posso onestamente dedurre qualcosa di generale e valevole come catarsi per la mia ultima poesia.
Se i migliori studenti di oggi, 1971, sono ormai al di qua dell‟ultimo sussulto della Riforma, o se vuoi, del Peccato Originale, in una luce laica che illumina imparzialmente quella «nuova qualità di vita» che a noi sembra così oscura e incomprensibile, ci sono enormi masse di giovani che vanno verso quel futuro passivamente, vivendolo esistenzialmente in tutta la sua atrocità. Per esempio i giovani emigranti del Sud, soprattutto siciliani, che vanno in massa a lavorare a Milano, a Torino o in Germania, subiscono un processo immediato di corruzione piccolo-borghese che li rende irriconoscibili: essi vivono gli strati più infimi della sottocultura “consumistica”, che non può sostituire altrimenti la loro grazia che con la volgarità. Ma anche gli studenti che formano la “maggioranza silenziosa” dei licei e delle università vivono questa sottocultura, sia pure a uno strato meno infimo. I valori – quelli che a noi parevano tali – e che appartenevano alla “cultura” – non hanno più corso, se non come residui. La razionalizzazione del mondo nasce dal pragma, cioè dall‟accettazione del modo in cui il mondo si è organizzato. Mai ontologia è stata così totale ed esaustiva come quella delle masse grigie dei giovani ubbidienti dell‟ultima generazione. E quanto ai giovani disubbidienti, ai contestatori, anch‟essi, nella loro maggioranza, vivono una forma sottoculturale di rivoluzione. Vedi per esempio il senso arbitrario che essi danno appunto alla parola “rivoluzione”.
Mentre fino a pochi anni fa la sottocultura era semplicemente una forma degradata di cultura – e i valori erano gli stessi – oggi la sottocultura tende a rendersi autonoma, a proporsi come LA cultura. (E infatti essa stessa storicamente coincide con la cultura di massa.)
Le minoranze di giovani che sono più o meno coscienti di questo e che elaborano una nuova figura di “intellettuale” da sostituire a quella elaborata dalla cultura degli anni Cinquanta, sotto il segno del Pci, sono da una parte disperatamente “sole”, dall‟altra disperatamente “anticipate”.
Come vedi la “sinistra” è oggettivamente divisa: divisa da una grande spaccatura storica che separa la cultura umanistica dalla sottocultura tecnologica; divisa dall‟incomprensione tra vecchia sinistra e nuova sinistra; divisa dall‟atteggiamento infinitamente diverso dei giovani che hanno appena letto Marx e Lenin come “portatori di vecchi valori” da riassumere come novità che contano in un mondo carico di “nuovi valori” ancora sconosciuti o non effabili.
Quindi, sì, certo, bisogna salvare fin che si può l‟unità della Sinistra, hai ragione. Ma la rivoluzione culturale è stata possibile, e concepibile, solo in Cina: l‟unità della Sinistra si salva all‟interno della Sinistra. Ma a me, che almeno in quanto poeta vivo all‟esterno di tutto, esiliato, mi sembra che le varie forme, anche eretiche, che può assumere la Sinistra, siano in opposizione a un mondo – quello della naturalezza del potere – che, esso sì, si sta unificando con una rapidità e una regolarità mai viste prima d‟ora nella storia. E il terribile è che la sua sottocultura unificante unifica anche a sé, loro malgrado, molte forme della nuova sinistra.
Una delle tue affermazioni più costanti e illuminanti di tutto il tuo lavoro, dai films ai libri, dalle prose alle poesie è la tensione per valorizzare la cultura. Cultura come civiltà, cultura come poesia, cultura come vita. L’ignoranza è sempre fascismo, razzismo o quanto meno qualunquismo, conservazione.
Nel mondo, in questo mondo dove tutti parlano di “scelte di civiltà” e fingono di rincorrere la libertà, non c’è stata mai ai vertici tanta carenza di cultura. Come hai ragione! In tutto il mondo sia dalla parte dove il nuovo verbo è Love Story sia dove non essendovi il capitalismo che è prigione in se stesso impediscono agli scrittori di pubblicare libri o li mandano a meditare nei campi di concentramento, c’è una insofferenza dove non c’è addirittura disprezzo per “il culturismo”. La cultura è libertà, è l’uomo non più bestia, è il progresso, la civiltà vera. Ecco perché vale sempre lottare: il traguardo è la felicità. Sei d’accordo?
Paradise now, suona uno slogan già vecchio. La felicità ora! La felicità consiste prima di tutto nel non pensare mai al futuro. L‟odio per la cultura non è del capitalismo, né del revisionismo, né del fascismo: l‟odio per la cultura è della sottocultura. La cultura si proietta nel futuro solo come filosofia, scienza o utopia: la sottocultura si proietta nel futuro come speranza. E da qui deriva l‟infelicità. Perché la speranza è retorica, meschina, ricattatoria ed ipocrita. Il presente può essere ingiusto e infelice, ma è solo nel presente che si sperimenta e si vive realmente il reale, anche nell‟atto di progettarlo e quindi anche nell‟individuare e nell‟esprimere la sua ingiustizia e la sua infelicità. I soli giovani che pensano seriamente alla rivoluzione sono quelli (sempre più rari) che ne parlano con allegria.
P. P. PASOLINI, Saggi sulla politica e sulla società, cit., pp. 1689-1694.
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