"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Visioni del Maghreb: Alì dagli occhi azzurri e il Mediterraneo di Pasolini
di Sara Alianelli
(Si ringrazia la gradita segnalazione di Sara Tislit Tintlellí)
Alì dagli Occhi Azzurri
uno dei tanti figli di figli,
scenderà da Algeri, su navi
a vela e a remi.Saranno
con lui migliaia di uomini
coi corpicini e gli occhi
di poveri cani dei padri
sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sè i bambini,
e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua.
Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali.
Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,
a milioni, vestiti di stracci
asiatici,e di camicie americane.
Subito i Calabresi diranno,
come da malandrini a malandrini:
” Ecco i vecchi fratelli,
coi figli e il pane e formaggio!”
Da Crotone o Palmi saliranno
a Napoli, e da lì a Barcellona,
a Salonicco e a Marsiglia,
nelle Città della Malavita.
Anime e angeli, topi e pidocchi,
col germe della Storia Antica
voleranno davanti alle willaye.
(…)
Un sole accecante e un gracchiare incessante di cicale. Orizzonti sconfinati di terre rosse o di sabbia, città dalle misteriose architetture di feconde, antiche civiltà, sullo sfondo delle quali appaiono popolazioni vestite dei colori primari, verde, blu, bianco, nero: questo è lo scenario dei film che Pier Paolo Pasolini girò tra gli anni sessanta e settanta, viaggiando nel Mediterraneo, in Africa, in Medio Oriente, in India.
Una passione lo guidava nelle varie tappe della sua ricerca cinematografica, filosofica, esistenziale:
trovare le tracce più autentiche di un mondo contadino che nei paesi occidentali andava rapidamente scomparendo, divorato dallo ‟sviluppo senza progresso“ della società industriale capitalista. Un cambiamento che in pochi anni avrebbe cambiato profondamente i volti e le mentalità delle generazioni a venire, separando per sempre la civiltà odierna dalle sue origini e da alcuni suoi valori fondanti.
Pasolini fu uno dei pochi intellettuali del suo tempo a capire nel profondo i processi storici in atto, intuendo, da cassandra incompresa, ciò che oggi assume il valore della profezia.
E Profezia è la poesia in cui compare il personaggio di Alì dagli occhi azzurri, titolo dell’omonima raccolta in cui si concentrano tutte le tematiche sviluppate fra gli anni Cinquanta-Sessantacinque e che costituiranno il materiale delle sue principali produzioni letterarie e cinematografiche.(1)
L’opera è dedicata a Jean Paul Sartre, il cui racconto su una prostituta algerina sfruttata da un francese ispirò Pasolini per il suo personaggio. (2) Alla fine del volume l’autore ne spiega il titolo, ricordando l’incontro con Ninetto Davoli, il quale è il ‟messaggero” e parla dei ‟persiani” :
“I Persiani, dice, si ammassano alle frontiere. | Ma milioni e milioni di essi sono già pacificamente immigrati, | sono qui, al capolinea del 12, del 13, del 409… Il loro capo si chiama:| Alì dagli Occhi Azzurri.
I versi di Profezia sono il frutto delle riflessioni generali dell’autore su cristianesimo e marxismo, e dell’interazione tra la simbologia del Cristo, il Terzo Mondo, il proletariato: i diseredati, i marginali, i sottoproletari, rievocano l’immagine biblica del cristo e della crocifissione (come in La ricotta, 1962), di cui la moderna società sembra aver distorto il senso.
Nello specifico Alì è l’incarnazione dei popoli del Sud del mondo che proprio in quegli anni entravano alla ribalta nella (nostra) storia, conquistando l’indipendenza e la sovranità nazionale. Un giorno, profetizza il testo, essi avrebbero fatto irruzione nei paesi industrializzati del Nord, trascinando i contadini del sud, i calabresi, che vivevano la stessa condizione, in un medesimo slancio rivoluzionario.
Le parole di Pasolini rispecchiano l’entusiasmo dell’epoca della conferenza di Bandung, in cui il Terzo mondo, in rivolta da Cuba al Cairo, rappresentava per molti la speranza di una “terza via” in contrapposizione al comunismo sovietico e al capitalismo di stampo statunitense:
‟Sono stato razionale e sono stato irrazionale: fino in fondo. / E ora ah, il deserto assordato/dal vento, lo stupendo e immondo/sole dell’Africa che illumina il mondo. / Africa! Unica mia alternativa…“(3).
L’autore, anticipando le moderne teorie geopolitiche, capisce che l’opposizione Nord-Sud è riduttiva, il suo concetto di Terzo Mondo è dilatato, la sua opera è un discorso unico sull’India, l’Africa nera, i Paesi Arabi, l’America del Sud, i ghetti neri degli Stati Uniti. Il Terzo Mondo è dappertutto: esso “Comincia alla periferia di Roma, comprende il nostro Meridione, parte della Spagna, la Grecia, gli Stati mediterranei, il Medio Oriente” e anche “le zone minerarie dei grandi paesi nordici con le baracche degli immigrati italiani, spagnoli, arabi, ecc.” (4)
In tutte queste popolazioni Pasolini riconosce gli stessi caratteri fondamentali, ovvero l’appartenenza a un sottoproletariato sfruttato e, allo stesso tempo, a una civiltà preindustriale che l’ideologia e le categorie della società moderna non riescono a inglobare. A questi popoli, che univano alla lotta per l’indipendenza quella per la giustizia sociale, egli attribuisce un potenziale rivoluzionario che la classe operaia nei paesi del “nord”, assorbita dal processo capitalista, non sembrava più poter incarnare. Soprattutto essi rappresentano, ai suoi occhi, lo scandalo del mondo contemporaneo: l’Altro.
Un’alterità che l’attuale sistema, materialista, razionalista e industriale, non riesce più a concepire, motivo per cui Pasolini rimanda alla figura del Cristo del Vangelo come termine di paragone, il quale portò lo scandalo (dell’umiltà e della povertà) nella gerarchia, nel potere costituito, nel sistema di schiavitù del mondo antico. Egli si richiama alla religione in quanto punto di vista esterno alla visione laica e moderna, perché solo attraverso Dio, dice San Francesco in Uccellacci e Uccellini, noi possiamo “riconcepire” questa diversità. (5) Una diversità che trova radici nel mondo arcaico e contadino, intriso del senso del sacro, di religiosità e di “irrazionalità” che il pensiero moderno rifiuta. Lo scrittore giunge persino ad affermare che il razzismo nasce da un odio di classe inconscio, quello del borghese per il contadino che appartiene ad una precedente civiltà.
Nel tentativo, potremmo dire, di “decolonizzare l’immaginario” lo scrittore si reca dunque nei paesi del terzo mondo per rappresentare il rimosso della società moderna. Dal 1961 viaggiò in India, nell’Africa sub sahariana (Sudan, Kenya, Guinea, Ghana), nello Yemen, in Medioriente per girare Sopralluoghi in Palestina, mentre dal 1965 al 1967 partì alla volta del Nord Africa, in particolare del Marocco dove girò L’Edipo Re.
In questa terra di “pochi colori dominanti, l’ocra, il marrone, certi rosa e verdi stupendi”, egli vi traspone la tragedia greca: “berberi quasi bianchi, però “alieni”, remoti, come doveva essere il mito di Edipo per i greci: non contemporaneo, fantastico…” . Il Marocco è “una grande distesa di paesaggi mediterraneo-africani”, selvaggi e primitivi (nel senso nobile del termine) come il mondo della tragedia greca, arcaici e contadini come alcuni paesaggi del sud d’Italia. (6)
I luoghi di Pasolini sono sempre simbolici, al di fuori della geografia e della storia. Sono delle sovrapposizioni effettuate per analogia, e sono spesso legati al mondo della memoria e dei sogni. Un legame intercorre tuttavia tra queste associazioni di luoghi, di immagini e di suoni: il riferimento ad una civiltà mediterranea, vista in contrapposizione alla cultura dei paesi industrializzati, i cui valori sono persino sovversivi rispetto all’ordine occidentale colonialista e capitalista (7). Appartenendo in fondo ad un’unica civiltà i luoghi mediterranei sono interscambiabili: Il sud del Marocco può essere Tebe, così come Gerusalemme è Matera, le falde dell’Etna il deserto, il mare della Giordania quello di Crotone, Nazareth una città pugliese. Anche i costumi dei suoi film sono un pastiche di tradizioni mediterranee, così come i silenzi dei grandi spazi si alternano a una musica che mischia arie popolari slave, greche, arabe (nella Gerusalemme – Matera si ode il canto del fellah), il gospel africano. Gli accenti dei doppiaggi sono quelli dei dialetti del sud d’Italia, così come i personaggi sono spesso gli abitanti del posto.
Il mediterraneo ricostruito da Pasolini è insomma un ideale e un archetipo, ma anche un mondo in pericolo, soggetto al “genocidio culturale” insito nel modello di sviluppo occidentale.
Nonostante egli rappresenti questi luoghi come immutabili, fuori dal tempo e dalla modernità, nella realtà a lui contemporanea egli vede già le tracce dell’inesorabile cambiamento. Politico innanzitutto: le guerre d’indipendenza avevano reso i popoli delle ex-colonie artefici della loro storia. Il suo terzomondismo si esprime nel documentario La Rabbia (1965) in cui egli denuncia, attraverso immagini di repertorio di alcuni cinegiornali, commentati in versi, le contradizioni di una società europea assopita in una falsa normalizzazione post-bellica. Al cuore di queste contraddizioni vengono mostrati i crimini del colonialismo e la liberazione dei popoli ad esso soggetti. Dall’Egitto di Nasser si passa alla sfilata di Bourguiba nelle strade di Tunisi affollate e in festa:
“Sono i giorni della gioia e della vittoria/ Gente di colore/ la Tunisia vive la liberazione” e aggiunge: “si preparano anni di miseria, di lavoro, di errore”.Una lunga sequenza è dedicata all’Algeria, avanguardia delle nuova epoca. Scorrono i primi piani dei volti della popolazione, giovani, vecchi, donne con bambini:
“Chi direbbe che il sentimento così profondo della libertà abbia vita in cuori che hanno visi così umili (…) eppure dietro questi visi di affamati o predoni cova quel sentimento terribile che la Francia chiamò libertà”.Seguono le immagini della guerra, i bombardamenti francesi, le scene della tortura, i massacri della popolazione civile. Infine l’esplosione di gioia nei giorni dell’indipendenza: “giorni di vittoria di tutti i partigiani del mondo”. Il confronto delle immagini delle attuali rivolte nei paesi arabi con quelle sequenze non può che suscitare una certa emozione, così come alcuni versi che anticipano le difficoltà che si profilavano per i nuovi paesi che rischiavano di cadere in lotte interne:
“La vittoria costerà sudore/ i nemici sono fra gli stessi fratelli/la vittoria costerà terrore/ i fratelli attaccati al terrore antico/la vittoria costerà ingiustizia/ i fratelli, nella loro ferocia, innocenti”.
Nessuna ingenuità banale dunque per un Pasolini che pure a volte sembra ricadere in alcuni stereotipi del pensiero coloniale, fra cui una concezione dell’alterità mitizzata quale può essere considerata per esempio la purezza istintuale che egli proietta sulle popolazioni contadine arabe. Ma in un’epoca in cui le problematiche post-coloniali non erano ancora poste nei termini attuali, Pasolini dimostrò una rara apertura intellettuale. Egli fece dell’alterità il suo campo privilegiato di ricerca, con una partecipazione umana che lo portò ad indentificarvisi. (8)
Egli si sente in fondo portatore delle stesse stimmate di una diversità violentemente respinta dalla società consumista, considerando il razzismo
“cancro morale dell’uomo moderno, e che, appunto come il cancro, ha infinite forme. E’ l’odio che nasce dal conformismo, dal culto della istruzione, dalla prepotenza della maggioranza. E’ l’odio per tutto ciò che e’ diverso, per tutto ciò che non rientra nella norma, e che quindi turba l’ordine borghese. Guai a chi è diverso! questo il grido, la formula, lo slogan del mondo moderno. Quindi odio contro i negri, i gialli, gli uomini di colore: odio contro gli ebrei, odio contro i figli ribelli, odio contro i poeti.” (9)
Nell’ultima stagione della sua produzione Pasolini abiurò alcune delle sue teorie, fra cui la speranza dell’alternativa che per lui rappresentavano i “nuovi” popoli.
Già nel 1965, dopo il primo viaggio in Marocco, l’autore confessò la sua confusione. Egli colse in parte le forti contraddizioni di questa terra che lo aveva colpito a tal punto da pensare di trasferirvisi. Accanto ad un Marocco contadino che si stava modernizzando, alla burocrazia, alla polizia (di cui denunciò le violenze e il potere arbitrario), percepì la presenza di una minoranza di ricchi legati all’industria dei fosfati che, alleati a finanziatori stranieri, consegnavano il paese ad un “neocapitalismo western”. Così oltre alla configurazione violentemente moderna delle città marocchine sullo sfondo di un retroterra contadino, constatò che nei cuori dei marocchini, così come in quelli di tutti le popolazioni dei paesi in via di sviluppo, non albergava che il desiderio di raggiungere degli standard di vita piccolo-borghese “accomunata possibilmente con la vecchia fedeltà al Corano”.(10)
In quest’ottica, in un’intervista del 1969, Pasolini rinnegò Profezia. Una profezia diventata, a suo dire, merce comune: la figura del Terzo mondo rivoluzionatrio era infatti un vessillo del movimento studentesco che, in quanto espressione della borghesia, non faceva che esorcizzare quel mondo, creando un mito astratto. Gli Accattoni e gli Alì sono, per lo scrittore, eversivi già nella loro essenza, nella loro stessa presenza che scandalizza la società dell’omologazione, ma il loro desiderio è l’integrazione, mentre nei paesi del terzo mondo la rivolta non può essere che interna ai paesi, di carattere nazionale.(11)
Assistendo a ciò che accade nel Mediterraneo, alle porte dell’Europa trincerata, le riflessioni di Pasolini restano domande attualissime. Gli sbarchi sulle coste siciliane e calabresi non hanno sempre suscitato la solidarietà dei fratelli mediterranei (si pensi a Rosarno) che pure hanno vissuto e ancora vivono condizioni simili, mentre il futuro dei paesi arabi in rivolta resta incerto e pieno di contraddizioni interne.
Sono i migranti i nuovi rivoluzionari che trasgrediscono vecchie e nuove frontiere, riappropriandosi dello spazio e favorendo la mescolanza di individui e popolazioni ? (12)
Tornerà il Mediterraneo ad essere la culla di queste intersezioni e non più mare di esìli e di morte?
Bisognerebbe riconoscere, smascherando i discorsi razzisti, le false costruzioni identitarie, la storia comune delle due rive del Mare Nostrum : lo sfruttamento (delle risorse naturali), la disoccupazione, l’emigrazione. La questione “Sud“, mai risolta in Italia, di cui Pasolini parlava quando diceva :
«Non c’è differenza tra un villaggio calabrese e un villaggio indiano e marocchino, si tratta di due varianti di un fatto che al fondo è lo stesso». (13)
Forse per immaginare ciò che avverrà non è necessario essere profeti, forse bisognerebbe imparare a guardare la realtà senza la nebbia dell’ideologia, fuori dalle forme del pensiero dominate, avere lo sguardo dei bambini, la visione intuitiva dei poeti :
«Tutto ciò che ho saputo per grazia/ o per volontà, smetta di essere sapienza/ Essa non serve al ragazzo che si trova vecchio/ a volare nei cieli del Sahara e dell’Arabia ./ Io saprò. Storia è profezia, dico follemente».
Note :
1) Profezia, scritta a forma di croce, venne pubblicata per la prima volta in Poesia in forma
di rosa (1964) e poi una seconda versione viene introdotta nella raccolta di racconti e
sceneggiature che vanno dal 1950 al 1965 : Alì dagli occhi azzurri, Garzanti, 2007.
2)Del racconto di Sartre a Pasolini non siamo riusciti a risalire ai dettagli. L’occasione sembra essere stata l’incontro avvenuto tra i due durante il soggiorno di Pasolini a Parigi per presentare Il vangelo secondo Matteo. Del dibattito che si creò tra i due intellettuali testimonia una lettera di M.A Macciocchi in: l’Unità 22.12.1964, p. 3.
3)P.P Pasolini, Frammento alla morte in Poesie incivili (1960).
4)La Resistenza negra; Appunti per un poema sul terzo mondo (1969)
6)P.P. PASOLINI, Viaggio in Marocco, in “Vie Nuove”, 1965, Saggi sulla politica e sulla società, cit., p. 1056-1062
8)L. Caminati, Orientalismo eretico. Pier Paolo Pasolini e il cinema del Terzo Mondo, Bruno Mondadori, 2007
10 )Viaggio In Marocco, Op. Cit.
11) P. P. PASOLINI, Intervista rilasciata a Ferdinando Camon, cit., p. 1645
12) Perchè non rinnegare Alì dagli occhi azzurri di Alberto Altamura :
13) Viaggio In Marocco, Op. Cit.
14) Da Una disperata vitalità in “Poesia in forma di rosa“.
Fonte:
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