"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo PasoliniEretico e Corsaro
Intervista esclusiva con Pier Paolo Pasolini
Pietro A. Buttitta
L'Avanti
2 febbraio 1962
pag. 3
( © Questa trascrizione inedita da cartaceo, è stata curata da Bruno Esposito )
Di Pier Paolo Pasolini i giornali scrivono spesso ma quasi solo per contribuire a dare di lui al pubblico un'immagine errata, che vorrebbe forse essere polemica ma che riesce soprattutto falsa.
Un giudizio su Pasolini, il Pasolini vero cioè, va dato soltanto credendo nella sua sincerità, nella sincerità del suo lavoro che lo mostra così scoperto e fragile (è la parola che lui stesso ha usato), fragile perché disposto a non nascondere dietro alla preparazione culturale l'urgenza delle impressioni, l'abbandono all'ispirazione, la volontà di dire la verità o, meglio, quella che per lui, scrittore, è la verità.
Nel 61 Pasolini ha vinto un premio letterario, Chianciano, con il volume di versi La religione del mio tempo, ma non è per questo motivo che il pubblico ha guardato al suo lavoro, lo stesso Pasolini certamente ricorderà l'anno che è passato soprattutto perché ha segnato il suo incontro con il cinema.
Cosa pensa Pasolini di questa sua esperienza? La reputa irripetibile?
Pasolini afferma:
«Macchina da presa e penna sono per me la stessa cosa, un film prende corpo piano piano, man mano che ci lavori, esattamente come un'opera scritta. Il lavoro è diverso soltanto in apparenza, nella sostanza è identico, presenta cioè gli stessi problemi di rapporto fra contenuto e forma e per un artista il processo espressivo non può che essere identico, ma forse posso affermare ciò perché non faccio il cinema come regista di mestiere ma come autore ».
Pasolini è quindi soddisfatto del suo lavoro nel cinema, tanto soddisfatto che quest'anno spera di fare due film ai quali sta già pensando con impegno.
«Il primo - ci dice - si chiamerà Mamma Roma e sarà la continuazione ideale di Accattone. Vi si parlerà di una ex-prostituta che ha un figlio e con lui vuole costruirsi una vita perbene. I suoi sforzi però falliranno e suo figlio finirà col morire in carcere. Di ciò in parte è responsabile lei e in parte la società, ma soprattutto lei che tenterà di riscattare il suo passato volgare con un ideale di vita ipocrita e piccolo borghese, tutto teso a seppellire il passato. Lei sarà simpatica e patetica, si salverà ma non salverà il figlio, anzi con le sue ipocrisie lo diseducherà, sarà lei stessa a perderlo».
«Il secondo film? Si chiamerà forse Resistenza negra, ed è nato da tre occasioni: dal mio viaggio in Africa, l'anno scorso, dalla lettura di un intellettuale francese sulla Guinea e da quella dei poeti negri».
Pasolini ha abbandonato quindi, almeno per ora, la letteratura? Lo scrittore mostra sorridendo la sua scrivania, ingombra di carte (quando siamo entrati nel suo studio era ancora intento a battere sulla macchina da scrivere) e dice:
«Non ho mai avuto tanto tempo per scrivere poesie, come da quando faccio il cinema. Ho già pronta quasi la metà di un nuovo volume di versi, quasi una continuazione del Religione del mio tempo. C'è una parte, nel volume che sto preparando, che si intitolerà: «Ballate intellettuali», che in un certo senso va oltre al mio lavoro precedente, perché avrà un piglio meno autobiografico e parlerà di problemi oggettivi: sarà composta di invettive o di elegie. - Alcuni titoli? - "Ballata del giovani missini", "Ballata della FIAT", "Ballata, della madre di Stalin"».
Gli chiediamo se lavora ad un'opera in prosa, ci dice di no e aggiunge:
«Scrivo poesie da quando avevo sette anni. Preferisco le poesie».
E poi, sovrappensiero:
«Forse Una Vita violenta è la cosa migliore che ho scritto, forse è migliore delle poesie. Ora sto lavorando anche a una traduzione del Miles Gloriosus di Plauto per Vittorio Gasmann».
Stiamo parlando da molto, ma Pasolini si schermisce quando gli diciamo che ci dispiace di essere venuti a disturbarlo nel suo lavoro. Parla del nostro giornale, fa ora, a sua volta domande e non per cortesia ma per quel reale interesse che ha verso tutte le manifestazioni della vita. Si finisce col parlare di politica, della situazione del paese, del «miracolo italiano». Pasolini s'inflamma:
«Certo c'è a Torino. Ma a Milano non mi è piaciuto. Milano mostra i sintomi del moralismo tipico di una città di provincia di grandi tradizioni, moralismo che sta diventando il mezzo della repressione neocapitalista. Succede al moralismo milanese quello che succede al panettone, che ogni anno diventa più cattivo. Nel '61 si è mangiato più panettone (questo è il miracolo) ma si è mangiato più cattivo. A Napoli ho avuto però l'impressione più terribile della mia vita. Calcutta è terribile, al di là di ogni immaginazione, ma sono tornato più impressionato dal mio giro nella Campania che dal viaggio in India. Le borgate romane che i miei critici considerano descritte con colori e toni eccessivi diventano paradisi se confrontate ai paesi del napoletano. Sino a qualche anno fa tutto ciò si notava di meno, perchè a Roma e in tutto il Nord c'era qualcosa di napoletano, ora non più, tutto il male del nostro paese sembra fermo al Sud. La distanza fra Nord e Sud è aumenta. L'Italia mi sembra un corpo che dal bacino in giù sia stato preso da una paralisi progressiva, dovuta ad una vecchia malattia venerea non curata. Si c'è qualcosa di miracoloso in tutto ciò: è come l'Italia possa stare in piedi. Per il futuro non sono molto ottimista ma credo che il centrosinistra possa cambiare le cose, credo che le potrà cambiare se ci sarà al fondo una reale volontà di progresso, se i cattolici si impegneranno anche loro in questa battaglia per il progresso del paese».
E gli scrittori? E gli scrittori giovani? Pasolini riprende:
«I buoni scrittori si sono impegnati nella direzione del miglioramento del paese, gli altri no. La stampa borghese però fa il possibile per ridicolizzare lo scrittore, per evitare che possa parlare ai suoi concittadini. Giovani scrittori ne conosco pochi, anzi ne vedo molto pochi».
Parliamo ancora, è già l'imbrunire e siamo venuti a casa sua a mezzo pomeriggio, Pasolini ci dice la sua impressione sul nuovo corso sovietico, dice che Ehrenburg fa male a parlare ora, a criticare Stalin ora, a riconoscere Pasternak come grande poeta ora, quando mai nessuno aveva dubitato di ciò:
«Egli è compromesso come Molotov, come gli altri. Mi dà fastidio che sia lui a parlare. Io sarò ottimista sulla letteratura sovietica quando avrò letto almeno venti poeti più sinceri, più forti, più anticonformisti di Evtuscenko ».
C'è nel carattere di Pasolini una venatura non lieve di pessimismo e i suoi giudizi sono spesso influenzati da essa. Però la sua inflessibilità sorge anche dalle amarezze di certi entusiasmi uccisi dalla realtà, ma in questo caso vorremmo dargli torto?
I letterati sovietici sembra si siano abituati all'idea di starsene dalla parte dei potenti e Pasolini che pare più adatto a farsi nemico che amico dei potenti è ovvio che li giudichi duramente.
Poeta, romanziere, saggista, regista cinematografico, ecco Pasolini: un artista del nostro tempo, con gli entusiasmi e gli scoraggiamenti di chi sente di dover ancora andare avanti e avverte non concluse le proprie esperienze.





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