"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Pier Paolo Pasolini
Diario per un condannato a morte
(Panagulis)
Tempo
numero 50
7 dicembre 1968
pag. 17
( © Questa trascrizione da cartaceo, è stata curata da Bruno Esposito )
Diario per un condannato a morte
Chiuso dentro la camera di un albergo; prigioniero dei miei obblighi, del mio futuro ecc., mi trovo pieno di un curioso sentimento di insofferenza verso il mio essere impotente. É vero, in tutti questi decenni in cui mi è capitato di trovarmi al mondo, e di "decidere", fra grida come queste che, violente e fioche, si alzano nel cielo di Torino, davanti alle tante notizie di condanne a morte come questa, ho sofferto, mi sono sentito torcere le viscere di rabbia e di angoscia: ma non mi è mai successo, tuttavia, di soffrire come oggi.
Cos'ha di "speciale" questa condanna a morte? Non lo so dire. Ho in mente solo una banalità: è la goccia che fa traboccare il vaso. Non capisco però perché il vaso si riveli adesso improvvisamente colmo, fino all'orlo, fino a traboccare. Ho sempre pensato che questo vaso della nostra rassegnazione, avesse una capienza infinita. Mi trovo invece con un vaso colmo; e sono assolutamente privo di quell'esperienza che serve a chi è giunto ai limiti della sopportazione. Non c'è nulla di più semplice del caso di Panagulis. In questa stessa pagina, l'altra settimana, ho scritto una poesia su di lui: probabilmente, anzi certamente, una brutta poesia, come tutte le cose che si scrivono con le lacrime agli occhi: in quella poesia citavo i tanti eroi di Euripide, che, con la meccanicità del deus ex machina, al momento opportuno, sapendo che un oracolo vuole, dalla città, per la sua salvezza, un sacrificio umano, accettano - recitando un solo stereotipo monologo - e subito uscendo di scena - di morire sgozzati. Il caso di Panagulis ha questa semplicità un po' meccanica e disumana. Ricordo ancora, qui, quella frase di una ricoverata nel manicomio di Basaglia: gli eroi sono prodotti delle società repressive. In Grecia ci sono i tiranni; come nella Tebe o nell'Argo di Euripide. Ma, ecco, è questo che furibondo mi chiedo, dov'è Atene? Allora c'era un'Atene, democratica, che, sempre con la meccanicità del deus ex machina, interveniva contro i tiranni delle città vicine, o a salvare o a vendicare gli eroi. Dov'è Teseo, l'eroe dell'ufficialità democratica, che interviene, pur riluttando contro la violenza? Tesei non ne vedo, intorno. Vedo solo dei fiacchi capi di governo, dei prudenti ministri che mandano telegrammi a gente che non è degna di riceverli. Panagulis non chiede la grazia. Egli rifiuta questo rapporto coi tiranni. Poiché i "potenti" delle false città di Atene, che si dicono democratiche, si prendono a cuore la sorte di questo eroe, facciano qualcosa sul serio; e intanto comincino col non considerare degni i colonnelli greci di ricevere posta da loro. Coi colonnelli non si parla, per prima cosa. Ci sono molti modi per far loro paura, per ricattarli, per metterli con le spalle al muro. Ma evidentemente il potere non ha confini nazionali; tutto il potere è dappertutto uguale, e tutti coloro che lo detengono sono legati fra loro, fraternamente: perciò si inviano telegrammi. Restano degli intellettuali, dei buffoni di corte, come me, per esempio, che mi sfogo in queste tristi pagine di impotente, incapace di fare vera esperienza, e capace solo di vegliare sulla sua coscienza.
Un ghetto anche per Panagulis
Torino, 21 novembre - Apro il giornale, infilato sotto la porta. "Poche speranze per Panagulis". Perché "poche speranze"? Per Panagulis la speranza è quella di morire: quindi "molte speranze" per Panagulis! Ma egli si sbaglia, perché non sa di essere eroe. Nel momento in cui egli viene definito eroe, viene esorcizzato.
É esperienza di ogni giorno: si richiede la santità agli altri, per tenere tranquilla la coscienza, nel momento in cui ci si accorge che non sono santi. Ma nel momento in cui ci si accorge che lo sono, li si consacra. La consacrazione li discrimina, li cataloga: li rende innocui, e anche un po' ridicoli e ufficiali. La società repressiva crea gli eroi, e così li immette nella sua ufficialità. Panagulis un eroe; i colonnelli, realisticamente inevitabili. E così siamo a posto. Ma io, uomo, non riesco a sopportare la morte di questo uomo. Mai l'offesa generica e oggettiva a un senso di giustizia, e la pietà, esistenziale, per chi soffre questa ingiustizia, unendosi, hanno prodotto un indistinto sentimento di ribellione così forte e intollerabile.
Mi esaspero per il dolore dell'impotenza. La lotta tra chi detiene il potere - qualunque potere, anche quello dei Paesi democratici - echi dissente, è sempre impari. Perché chi detiene il potere non pensa ad altro. Mentre chi dissente, ha altre cose, molto più belle o, meglio, meno abbiette e volgari da fare. Tuttavia queste cose "belle", queste cose "non abbiette e volgari" sono infine colpevoli come il pensiero del potere.
Gli studenti danno il panico
Torino, 21 novembre - Dalla finestra, fin quassù all'ottavo piano, arrivano le grida degli studenti. Grida disordinate, discordanti; convenzionali, perché le grida dei dimostranti hanno anch'esse un codice: uno schema, con cui "portare" all'unisono la voce; perciò, da lontano, le grida di ogni manifestazione di piazza sono uguali; ma la lontananza corregge, filtrandola attraverso lo spazio, così indifferente al senso di quelle grida di protesta, la loro scompostezza convenzionale e un po' volgare; le rende dolorosamente misteriose; come venissero da un altro mondo; da un altro tempo; eh, già: da lontano, le grida dei dimostranti, oltre che essere tutte uguali fra loro nel tempo presente, sono anche uguali a quelle del passato; e queste potrebbero essere grida di antichi fascisti: o di dimenticati partigiani (nella incredibile primavera del '45); del resto dall'alto, Torino non è cambiata: le sue strade dritte si perdono contro la vecchia nebbiolina leggera dei bei giorni freddi; e, sopra questi caseggiati bruni, piatti e regolari, dipinti nell'aria nebbiosa come in una garza, c'è dell'azzurro, del maledetto azzurro (timido e atroce segno di una immacolatezza intangibile del tempo: cielo e natura, al cui confronto tutto diventa doloroso; e quelle grida, sempre più, sono grida di qualsiasi luogo e di qualsiasi tempo).
Quegli studenti - che, gridando, danno il panico - manifestano forse per Panagulis?
Il loro misterioso gridare, che giunge a folate, come dal fondo del tempo, o in un giorno futuro, include la protesta contro questo assassinio?
É l'unica speranza. Il mondo ridotto a una cassa armonica che moltiplica per milioni di volte uno stesso sentimento. L'opinione pubblica - covo del terrorismo, sede deputata della rassegnazione - è sconvolta nei suoi termini logici (pazzeschi) dalla presenza degli studenti che gridano. Dentro l'opinione pubblica c'è dunque ormai una altra opinione pubblica, che lacera e manda in pezzi la prima, esplodendovi dentro. Anche questa seconda opinione pubblica, è vero, ha in sé i germi di un nuovo terrorismo: ma essa sta nascendo, ne è ancora esente: si presenta come speranza, opponendosi alla rassegnazione e al bieco memento mori dell'ufficialità. Il futuro reale forse la contaminerà: ma il futuro ideale, verso cui si proietta, la rende stupenda (mi capisce chi è stato giovane ai tempi della Resistenza). Ma i giovani sono ancora disabituati alla morte. Per loro, quello di Panagulis è uno dei primi casi, della loro esistenza che fa esperienza. Il vaso della sopportabilità è per loro quasi vuoto. La loro coscienza si adempie - in una pienezza democratica mai vista finora nel mondo - nella protesta, nella lotta, nell'azione, nel sentimento di giustizia da realizzare. Alla nostra coscienza questo non basta più.
Siamo qui solo per lottare
Torino, 22 novembre - Anche stamattina, mi sveglio molto prima dell'ora solita. La mia tensione è dovuta molto al mio lavoro di questi giorni. Cerco di riaddormentarmi, ma non riesco, perché so che nel pavimento della camera, al buio, c'è il "Corriere" infilato sotto la porta. Mi alzo. Afferro il giornale. "Panagulis trasferito nell'isola di Egina: l'esecuzione di Panagulis non è avvenuta stamane e non avverrà...".
Ritornano le dimensioni umane. Il curriculum di un ergastolo. Il problema ridiventa storico. Adesso possiamo ricominciare. La solidarietà è un ben diverso dovere che la pietà. Agire, lottare, è sopportabile. Niente memento mori: il futuro è con gli scrittori cecoslovacchi, coi poeti negri dell'America o delle colonie, con Panagulis.
Torino, 23 novembre - Non comprendo bene questo lottare degli studenti per avere il diritto all'"assemblea" dentro la scuola. Perché dentro? Perché non tengono le loro assemblee nelle piazze, nei giardini, nelle soffitte? Perché pretendere e ottenere dai "superiori" questa libertà? E attuarla nelle sedi che non sono, certamente, per loro natura, luoghi di libertà? Io so questo: che chi pretende la libertà, poi non sa cosa farsene. Penso, perciò, che gli studenti dovrebbero lottare non per pretendere, dall'autorità, attuazioni di diritti: o perlomeno, non solo per questo. Ma per pretendere, da se stessi, di essere la parte più importante e reale dell'opinione pubblica.
Dico questo perché - come del resto c'era da aspettarselo - è stata in realtà l'altra opinione pubblica, quella ufficiale, che ha contato nella decisione ambigua presa su Panagulis (il rinvio sine die della fucilazione). Voglio dire questo: le autorità fraterne dentro la Nato, dall'America al Papa, hanno esercitato una pressione, in nome della loro opinione pubblica, sui colonnelli, al solo scopo, implicito, di non far commettere loro un errore. E tanto meglio se questo coincide con un gesto di pietà e di democrazia. Dunque, come dice il titolo del "Corriere", anche stamattina ansiosamente consultato: "Prevale la spinta dell'opinione pubblica".
Quando queste mie pagine, fra una settimana, saranno pubblicate, Panagulis non farà più notizia. Forse aveva ragione lui, come leggo ora anche in alcune sue ingenue poesie: la sua morte sarebbe stata più utile. Ma per non più di una settimana. Tuttavia, un'altra delle sue ingenue poesie finisce con questo verso: "Lotta... lotta... lotta...". Sì, evidentemente siamo qui solo per lottare, non per vincere. Quando saremo vittoriosi, non lo sapremo.
Pier Paolo Pasolini





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