"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Affabulazione di Pasolini:
struttura, ideologia, tragedia
Analisi critica del dramma borghese tra mito, inconscio e linguaggio
( Le immagini sono relative alla rappresentazione di Affabulazione del 1994, regia di Luca Ronconi)
( i ritagli di giornali, Teatro Stabile di Torino)
Affabulazione si apre con un prologo nel quale l’Ombra di Sofocle introduce il pubblico a quella che, con vena ironica, viene chiamata “tragedia che finisce ma non comincia”. La vicenda ruota attorno a un benestante padre borghese, un industriale lombardo, che viene sconvolto da un sogno angosciante circa il proprio rapporto col figlio giovane, bello, vitale, in cui si mescolano desideri inconsci, pulsioni sessuali e volontà di possesso. Nei successivi otto episodi, la narrazione alterna momenti di dialogo familiare, monologhi dolenti e sequenze oniriche che esprimono la crisi del protagonista. Il padre si fa ossessivo verso il figlio, che rappresenta tutto ciò che lui stesso sente di aver perduto: la giovinezza, l’energia, la libertà. In uno dei momenti più potenti, il padre regala al figlio un coltello, oggetto carico di valenze simboliche, che verrà poi usato in una scena drammatica in cui il figlio ferisce il padre. La madre, figura di dolcezza e ragione, cerca invano di mediare tra i due. Una serie di scene di crescente tensione conducono il padre a spiare il figlio e la sua ragazza durante un rapporto sessuale, momento di ulteriore lacerazione che sfocia nel delitto: il padre uccide il figlio fuori scena, compiendo quello che indica come un “regicidio”, alludendo esplicitamente al mito di Edipo e di Crono. L’epilogo si svolge in una stazione ferroviaria. Il padre, divenuto un barbone, ripercorre il suo passato e il suo fallimento; la madre si suicida. Alla fine, lo spirito del figlio invita il padre a rientrare nel vagone, chiudendo la tragedia in un contesto surreale e visionario, dove nulla sembra davvero comporsi se non come allucinazione, simulacro, affabulazione appunto. Questa struttura narrativa volutamente spezzata, che alterna sogno e realtà, prosa e versi, gestualità e parola poetica, crea un impianto fortemente simbolico, circolare e onirico, dove la “fine” precede e ingloba anche l’inizio (la vicenda che “finisce ma non comincia” era dichiarata già nel prologo).
Centrale è il tema del conflitto generazionale nella sua accezione più profonda e universale. Pasolini, rovesciando la prospettiva Freudo-edipica, mette al centro non tanto la ribellione del figlio, ma l’invidia paterna per la vitalità e la purezza giovanile del figlio. Il padre desidera/odia il figlio perché “in lui” ritrova tutto ciò che egli stesso sente di aver perduto: energia, desiderio, futuro. Questo conflitto si carica di valenze erotiche e mortifere, fino al culmine nel matricidio simbolico compiuto dal padre. Il rapporto padre-figlio diventa nella tragedia una metafora della trasmissione e della perdita del potere. Per Pasolini, il potere non è solo politico o sociale, ma soprattutto sessuale e simbolico: il padre altro non può fare che desiderare di essere come il figlio, o di possederlo, di ucciderlo o essere ucciso. Questo tema, derivato dal mito di Edipo (il figlio che uccide il padre) e dal mito di Crono (il padre che divora i figli per paura di essere spodestato), viene fortemente sottolineato dalla scrittura pasoliniana, che alterna e risemantizza le figure classiche. Il dramma individuale si innesta nella critica feroce alla borghesia contemporanea, vista da Pasolini come una classe ormai universale, satura, impotente e incapace di generare senso. L’angoscia del padre borghese di Affabulazione non è solo personale: è simbolo di una società che si avvita su se stessa, incapace di immaginare il futuro e terrorizzata dalla fine. All’interno della struttura del testo, il tema dell’onirismo e della falsità della narrazione (affabulazione in senso stretto) assume valore metateatrale. Tutta la storia è, infatti, più una rievocazione traumatica, un incubo ricorsivo, piuttosto che una progressione logica di eventi. La realtà diventa rappresentazione, la parola sostituisce l’azione. Da qui nasce la riflessione sulla funzione del teatro come luogo di affabulazione, cioè di costruzione del senso e della memoria collettiva.
Dopo la stagione “romana”, caratterizzata dalla ricerca di autenticità nelle periferie e nelle borgate (Ragazzi di vita, Accattone), Pasolini si fa sempre più critico verso la società italiana e la cultura occidentale. Con le tragedie teatrali (Orgia, Calderòn, Pilade, Porcile), la riflessione esistenziale e mitica prende il sopravvento su una narrazione lineare. Affabulazione rappresenta la saturazione del pessimismo pasoliniano di fronte all’impossibilità di risolvere, sul piano storico o personale, il conflitto cosmico tra generazioni, tra impulsi di vita e società della morte (borghese, fossilizzata). Il personaggio del padre non è, come spesso si è detto, una semplice proiezione biografica. Piuttosto è la metafora della condizione di ogni genitore (reale o ideale) di fronte all’enigma della giovinezza e del futuro che “gli sfugge” e lo minaccia. Pasolini arriva a concepire la tragedia familiare come universale e mitica: “Non è la storia di un solo padre… ma una condizione simbolica dell’essere padre”. Sia nella pratica che nella teoria (vedi il Manifesto per un nuovo teatro), Pasolini vede il teatro come ambito privilegiato per la parola poetica e la trasmissione di verità antropologiche profonde. Il teatro non è solo occasione di rappresentazione ma vero e proprio rito di affabulazione, in cui lo spettatore partecipa a un processo di rivelazione e crisi collettiva. Pier Paolo Pasolini è stato uno dei primi intellettuali italiani a innestare la riflessione psicoanalitica freudiana all’interno del mito e della letteratura. Affabulazione non è solo “parodia dell’Edipo re e della teoria di Freud” come spesso si è detto, ma ne è una riscrittura critica: il centro drammatico non è il figlio colpevole, ma il padre ossessivamente “invidioso”, destinato non a essere ucciso ma piuttosto a non riuscire a trovare senso nel gesto del figlio.
Molti critici hanno sottolineato come la struttura dell’opera richiami e insieme parodizzi la tragedia greca classica – a partire dalla presenza esplicita dell’Ombra di Sofocle, che funge da “meta-regista” e ironizza sul senso stesso della tragedia. L’uso della figura mitica di Edipo viene messo in crisi e rovesciato: non è il giovane a uccidere il vecchio per prendere il potere, ma è quest’ultimo che cerca il figlio come soluzione all’angoscia e fallisce. L’influenza freudiana (il complesso edipico, il desiderio, la rimozione, l’enigma dell’Altro) è riconosciuta in tutte le analisi dell’opera: Affabulazione mette in scena non solo il conflitto oggettivo, ma la scissione interna del soggetto borghese, tra pulsioni vitali e desiderio di distruzione e potere. Affabulazione è stata letta anche come metateatro dell’impossibilità di rappresentare: la realtà, dice Pasolini, “non può essere detta, solo rappresentata”. La parola poetica diventa allora l’unico spazio possibile per ripercorrere la crisi dell’individuo e della civiltà tramite un racconto che è finzione, narrazione, “affabulazione”. Altri studiosi hanno visto nell’opera una diagnosi della “decadenza borghese”, che da elemento di classe diventa condizione diffusa della società italiana ed europea. Affabulazione mette a nudo i meccanismi di potere, sterilità e autodistruzione della civiltà occidentale post-boom economico, anticipando molte inquietudini del post-moderno.
Il centenario della nascita di Pasolini nel 2022 ha ravvivato l’interesse e la ricerca sull’insieme delle sue opere teatrali, inclusa Affabulazione. Numerosi convegni, edizioni critiche e pubblicazioni hanno approfondito sia l’aspetto intertestuale (il rapporto con Edipo re di Sofocle, con Eracle nelle Trachinie) sia le implicazioni antropologiche e politiche della tragedia. Le più recenti rappresentazioni (come quella di Marco Lorenzi del 2023 per il progetto “Come devo immaginarmi”) hanno privilegiato una chiave di lettura che recupera e attualizza il senso di crisi del testo, spesso amplificandone la componente grottesca, noir, perturbante, il tutto attraverso soluzioni sceniche che mescolano simbolismo, elementi pop e stratificazioni temporali. La più aggiornata bibliografia accademica insiste sul problema della parola poetica come rito e sullo statuto della tragedia moderna come espressione dell’enigma dell’esistenza. Affabulazione, in questa prospettiva, è anche un saggio poetico e filosofico sulla fine del teatro borghese-naturalistico e la sua sostituzione con un teatro della crisi e della domanda.
Pasolini struttura l’opera in otto episodi, anticipati da un prologo e conclusi da un epilogo, il tutto scritto in versi liberi, che rappresentano una scelta poetica fondamentale. Il verso libero si caratterizza per la mancanza di un numero fisso di sillabe e di uno schema ritmico definito, lasciando spazio alla spontaneità, alla tensione interna della parola e alla forza dell’oralità. Questa libertà consente a Pasolini una lingua teatrale che alterna momenti apparentemente naturalistici a improvvisi scarti lirici e allusivi. Affabulazione è esemplare per quell’“estetica della parola” che Pasolini teorizza nel suo manifesto programmatico. La parola non è mai solo veicolo di una storia, ma diventa protagonista, pietra d’inciampo, indizio, rivelazione, spesso in dialogo con i silenzi, i monologhi e la gestualità mimica. Nonostante la preminenza della parola, le rappresentazioni di Affabulazione hanno spesso impiegato scenografie scarne ma fortemente simboliche, giochi di luce, maschere (si pensi alle teste d’agnello nelle recenti regie di Lorenzi) e un uso raffinato delle musiche di scena, come le partiture originali di Fiorenzo Carpi per la versione di Gassman nel 1977.
Il mito di Edipo, in Affabulazione, è presente come modello da parodiare e superare: il figlio non è enigma da risolvere, ma mistero insondabile. La tragedia si chiude con un parricidio rovesciato, dove il regicidio compiuto dal padre non porta soluzione, ma solo ulteriore disgregazione. Più che Edipo, la tragedia richiama anche il mito di Crono (il padre che divora i figli), evidente nei riferimenti alla paura paterna del ricambio generazionale e alla violenza che ne deriva. L’opera contiene numerosi riferimenti all’autobiografia di Pasolini, alla cultura occidentale (Shakespeare, Sofocle, la tragedia greca) e alla riflessione filosofica (Freud, Lacan, Jung), oltre che echi del teatro medioevale e della sacra rappresentazione, soprattutto nell’uso di figure corali e allegoriche (Prete, Negromante, Ombra di Sofocle). La tragedia, di fatto, funziona come una lunga meditazione sulla natura stessa della narrazione e sulla necessità/illusorietà dell’affabulare.
La struttura circolare, il ricorso a figure simboliche, la presenza esplicita di un “chorus” e di un “prologo/epilogo”, l’assenza di un realismo naturalistico, sono tutti elementi che collegano Affabulazione alla tradizione del teatro medioevale sacro, delle rappresentazioni allegoriche e dei misteri. Pasolini, pur consapevole dell’irreversibilità della modernità laicizzata, recupera consapevolmente questi stilemi come strumenti per una nuova ritualità culturale, in grado di mettere in crisi il pubblico e di inaugurare, se non altro, uno spazio critico per la riflessione.
Le rappresentazioni teatrali più significative
Prima assoluta 1976: Beppe Navello (Cabaret Voltaire, Torino)
La prima rappresentazione, ad opera di giovani attori della Cooperativa Teatro Proposta, con la regia di Navello, fu concessa postuma, cioè poco dopo la morte di Pasolini. Il Cabaret Voltaire, simbolo di ricerca e sperimentazione nel panorama teatrale torinese, offrì al testo una lettura fortemente orientata alla parola poetica, nella scarna essenzialità delle azioni sceniche. La ricezione fu tiepida ma attenta, riconoscendo la difficoltà di mettere in scena una tragedia così “cerebrale e complessa”.
1977: Vittorio Gassman (Teatro Tenda, Roma)
Questa versione resta la più celebre: Gassman, sia regista sia protagonista (padre), scelse un impianto scenografico sobrio e straniante e affidò a Fiorenzo Carpi la partitura musicale. La recitazione enfatica di Gassman esaltava la dimensione poetica e rituale del testo, benché alcuni critici abbiano rilevato una certa “ridondanza” registica a discapito della “natura poetica pura” del dramma. Il pubblico, comunque, rispose con entusiasmo.
1994: Luca Ronconi ha diretto una celebre messa in scena di Affabulazione di Pier Paolo Pasolini, debuttando al Teatro Argentina di Roma e partecipando al Kunsten Festival des Arts di Bruxelles.
Questa produzione è considerata una delle più importanti riletture teatrali del testo pasoliniano. Ronconi affronta Affabulazione come una “scommessa drammaturgica” contro la retorica e l’enfasi della tragedia greca. Il regista si tiene lontano dalla “Chiacchiera e dall’Urlo”, ma anche dalla “Parola pasoliniana”, cercando una messa in scena che non si lasci travolgere dal rischio del ridicolo insito nel linguaggio tragico contemporaneo. La scenografia includeva erba vera raccolta ogni mattina, con una scena in pendenza che accentuava il senso di instabilità e discesa verso l’abisso.
2014: Lorenzo Loris (Teatro Out Off, Milano)
La regia di Loris enfatizzava l’attualità della vicenda, sottolineando il carattere “familiare e generazionale”, inserendo immagini video della Milano degli anni ’70 per radicare la tragedia nel boom economico e nella memoria collettiva italiana. Particolarmente apprezzata fu la resa poetica dei dialoghi e la qualità degli interpreti (Trifirò padre, Pedrini madre).
2018: Giovanni Gionni Boncoddo (Sala Laudamo, Messina)
Allestimento che, pur fedele alla partitura originaria, è stato giudicato dalla critica come capace di restituire solo in parte la complessità e l’anima della tragedia, con un interessante uso delle luci ma con una certa distanza emotiva nella regia.
2023: Marco Lorenzi (Il Mulino di Amleto, Teatro Arena del Sole, Bologna)
Rilettura visionaria e lucidissima dove la potenza mitica del testo si unisce a una vena grottesca e pop, con maschere di animali (teste di pecora) e una scenografia giocata sulle trasparenze e sulle sovrapposizioni temporali. La critica ha sottolineato la forza evocativa, la chiarezza poetica, la capacità di portare il pubblico “dentro l’abisso” di Pasolini senza compiacimenti.
2024: Mario Sorbello (Teatro Holytape, Catania)
Versione concentrata sulla dimensione interiore e simbolica del conflitto generazionale, ben apprezzata dal pubblico per la qualità della recitazione e per la capacità di “turbare” e interrogare lo spettatore, nonostante la difficoltà di portare la parola pasoliniana nelle scene del teatro contemporaneo siciliano.
Affabulazione di Pasolini si impone così come un testo imprescindibile per comprendere non solo la crisi della borghesia e la metamorfosi della società italiana degli anni Sessanta e Settanta, ma anche le pulsioni profonde, i nodi irrisolti (psicoanalitici, mitici, esistenziali) che scuotono ancora oggi l’individuo occidentale. Un’opera che rovescia il mito, lo interroga, lo smaschera, facendo della parola e della narrazione – l’affabulazione – lo strumento principe di conoscenza e di crisi. Lo spazio scenico si trasforma così in luogo di rito e di dubbio, dove il passato e il presente si confrontano nella fatica (e nel fallimento) della comprensione reciproca, della trasmissione tra le generazioni, della costruzione del senso. Una parabola tragica, profetica, che solo nella sua stessa rappresentazione – sempre nuova, ogni volta diversa – può trovare, se non una soluzione, almeno la necessità della domanda. Dalla “parodia dell’Edipo re” fino ai sogni inquieti della modernità globale, Affabulazione resta uno specchio tragico, talvolta spietato, sempre attuale, dell’eterna lotta (e mancanza d’incontro) tra chi è stato e chi sarà, tra narrazione e realtà, tra desiderio di possedere e necessità di lasciar andare: in una parola, tra padre e figlio.









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