"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Pier Paolo Pasolini
Il paradiso di Accattone
1961
Proprio ieri sono andato a scegliere il posto dove girare le ultime inquadrature di Accattone. Fuori Roma, verso le montagne e le vallate del Lazio meridionale, e, precisamente, tra Subiaco e Olevano: ma era soprattutto su Olevano, che puntavo, come luogo dipinto da Corot. Ricordavo le sue montagne leggere e sfumate, campite come tanti riquadri di sublime, aerea garza contro un cielo del loro stesso colore. Dovevo scegliere una vallata che, in un sogno di Accattone – verso la fine del film, poco prima della sua morte – raffigurasse un rozzo e corposo paradiso. Insomma, Accattone non soltanto muore, ma va in Paradiso. Qualcuno dirà: ma questo è il colmo! Non soltanto dopo la «conversione» di Tommasino, P.P.P. ci dà un film in cui conversioni (dallo stato sottoproletario allo stato proletario e alla lotta di classe) non ce n’è, ma addirittura un film in cui si avalla «l’integrazione figurale» dello stato tradizionale e cattolico per eccellenza. E non avrebbe torto a scandalizzarsi se le cose stessero proprio così.
In realtà la «crisi» di Accattone è una crisi totalmente individuale: si compie non solo nell’ambito della sua irriflessa e inconscia personalità, ma nell’ambito della sua irriflessa e inconscia condizione sociale. Se per caso io non avessi avuto l’idea di parlare di questa crisi, essa sarebbe passata ignota a sé e agli altri come un fenomeno meteorologico in qualche zona desertica, come una frana nel cuore di qualche vulcano.
Ma, visto che tale caso (cioè la mia presenza dentro quell’anima ignota) si è dato, il fatto avrà pure qualche senso, sfuggirà pure in qualche modo alla sua casualità. È proprio necessario, anzitutto, che l’analisi di un male finisca con una terapia «pratica»? Io non sono un politico o un sociologo: ma uno scrittore. La terapia di uno scrittore differisce da quella di un politico o di un sociologo, in quanto essa fa intima parte di quell’analisi, è inscindibile da essa, ne è un elemento integrante. In altre parole la cura e la speranza implicite nell’analisi sociale di uno scrittore sono la sua «espressione»: quanto più questa è pertinente e poetica, tanto meno ha bisogno di integrazioni didattiche, didascaliche, edificanti ecc.
Con questo non voglio affatto negare che si possa prospettare anche qual è in pratica la via della lotta e della speranza: è quello che ho fatto in Una vita violenta. Ma la storia di Tommaso avveniva subito dopo i fatti di Ungheria, nel momento cioè in cui uno stato terribile di crisi annunciava albeggianti e luminose soluzioni: il rovesciamento dell’epoca staliniana, un rinnovamento interno e fecondo dei Partiti comunisti. Era un’epoca della mia vita in cui io, come scrittore, non potevo non tenere sempre costantemente presente quella prospettiva di cui parlavo e quindi questa non poteva non far parte immanente e continua della mia ispirazione.
La storia di Accattone invece è più breve: ha la durata di un’estate, che è quella del governo Tambroni. Tutto, nella mia nazione, in quei mesi, pareva riprecipitato nelle sue eterne costanti di grigiore, di superstizione, di servilismo e di inutile vitalità.
È in questo momento che io mi sono affacciato a guardare quello che succedeva dentro l’anima di un sottoproletario della periferia romana (insisto a dire che non si tratta di una eccezione ma di un caso tipico di almeno metà Italia): e vi ho riconosciuto tutti gli antichi mali (e tutto l’antico, innocente bene della pura vita). Non potevo che constatare: la sua miseria materiale e morale, la sua feroce e inutile ironia, la sua ansia sbandata e ossessa, la sua pigrizia sprezzante, la sua sensualità senza ideali, e, insieme a tutto questo, il suo atavico, superstizioso cattolicesimo di pagano. Perciò egli sogna di morire e di andare in Paradiso. Perciò soltanto la morte può «fissare» un suo pallido e confuso atto di redenzione. Non c’è altra soluzione intorno a lui, come intorno a un enorme numero di persone simili a lui. È molto, ma molto più raro, un caso come quello di Tommasino che un caso come quello di Accattone. Con Tommasino ho dato un dramma, con Accattone ho dato una tragedia: una tragedia senza speranza, perché mi auguro che pochi saranno gli spettatori che vedranno un significato di speranza nel segno della croce con cui il film si conclude.
Pier Paolo Pasolini
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