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lunedì 19 maggio 2025

Pasolini - GLI ANGELI DISTRATTI - Libertà, 19 aprile 1947, pag.3

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



 Pasolini
GLI ANGELI DISTRATTI

Libertà

19 aprile 1947

pag.3

( © Questa trascrizione da cartaceo, è stata curata da Bruno Esposito )

(Oggi in "Un paese di temporali e di primule" - a cura di Nico Naldini)



 Fu un desiderio di sfuggire alla gioia (questo immagino ora che la memoria ha purificato, ahimè, quel fatto già per se stesso memorabile fin dal suo informe accadere); coloro che erano insieme a me, mio cugino N. e il mio amico G. a cui ho imposto il mio equivoco desiderio, potrebbero forse rifiutarsi di sottoscrivere questa facile mistificazione di quel fatto «per se stesso leggendario»; ma io devo interpretare male, e, del resto, quel 16 settembre, è una giornata qualunque della mia vita.

 Il lettore immagini la piazza di San Giovanni come un mercato orientale a cui la notte e la pioggia recente abbiano smorzato i colori; la sagra vi esplodeva così naturale da parer noiosa, e il rombo della folla non aveva altra misura che l’umido silenzio degli astri.

 I «simboli» della sagra tenevano trionfalmente il campo negli angoli della piazza: davanti al bar Berti tuonava una siderea banda, sotto la Loggia la Pesca allineava lucidissime promesse, tutto un Eldorado paesano. Non so se devo parlare anche della Cuccagna, se questo avvenimento sia valido o no: certo una specie di perfezione – le risate comuni della folla, i nomi «mitici» di coloro che si arrampicavano sul palo unto.

 Ma è noto come quando un paese è familiare fin dalla più discosta infanzia, i suoi avvenimenti perdono quell’incanto «falso» che vellica il cuore nei paesi sconosciuti; così io sopportavo bene, o perlomeno non maledicevo, quella Gioia Comune, quella Passione Festiva, quella Ebbrezza Omerica... Ma taccio naturalmente ciò che ancora riusciva a ferirmi, e quasi mortalmente. Sappia solo il lettore che troppo spesso la folla si apriva, oscura, su angeli dorati e rapiti in distrazioni crudeli. Io, unico, sconosciuto Demonio ero solo contro quella schiera di Angeli che non accettavano battaglia... Così dopo due o tre ore di orgiastico digiuno, fu un desiderio di sfuggire a quella gioia, che mi spinse verso via Runcis, deserta.

 Erano con me mio cugino N. e l’amico G., con cui discutevo preso da una determinazione tetra di épater les bourgeois, di sfiorare allegramente lo scandalo. Appena voltate le spalle alla piazza apparve davanti a noi via Runcis, deserta. Le rustiche, vecchissime case... i portoni... una pompa... il passaggio a livello con le sbarre alzate...

 E in alto c’erano cose immobili, file, linee, non so, certo rappresentavano un silenzio perentorio e vecchio; qualcosa di immobile a cui io cercavo di non prestare attenzione, e che tuttavia mi straziava; mi inibivo il dolore di quella immobilità di cose penzolanti contro il cielo, volevo sfuggirne la vista, e intanto nella mia coscienza quel silenzio ferocemente sventolato si accumulava, formandovi una piaga da cui avrei potuto salvarmi solo gridando o piangendo. E invece discorrevo ironicamente con gli amici. Ma tra le mie frasi trapelava, noto a me soltanto, che lo celavo nelle mie appartate oscurità, il vero pensiero da cui ero tenuto in vita. Gli angeli, distratti... «Ecco, dall’una all’altra delle case dove dormono gli angeli, sono tesi degli invisibili spaghi, quelle linee immobili colme di mortale silenzio.» Poi, naturalmente, la vicenda seguì vie usuali; furono alcuni scoppi che mi concessero di soffrire di meno; erano i fuochi artificiali che illuminavano di rosso e di verde la piazza verso cui ci affrettammo lasciando alle nostre spalle via Runcis con i suoi festoni di bandierine immobili.

 Delle luci gialle si infrangevano contro la facciata della Chiesa, palpitando nella piazza come smisurate farfalle agonizzanti. Veleni turchini, verdastri, violetti – immondizia di luce – si rifugiavano negli angoli morti della piazza sorvolando sulla folla contenta. In quella polvere di scoppi laceranti, i ragazzi mascheravano la loro gioia troppo ingenua con un sorriso ironico... Ma poi, man mano che i ghirigori, i zig zag, le capriole dei fuochi si complicavano fino all’assurdo, e parevano interminabili col loro corredo di rombi, nei volti di tutti si lesse solo l’attenzione, ed un certo timore.

 Il pomeriggio, tornando dal campo sportivo, avevo visto in un’altra strada quei festoni di bandierine dai colori tenerissimi: c’era intorno quel soave silenzio che precede l’ora della cena e i cristalli rosa del vespro sfumavano sui fianchi evanescenti delle montagne. Oh, fu un momento delizioso. Le bandierine giallette, viola, cineree, verde pisello, smeraldine si allineavano sulle cordicelle intervallate di pochi metri, e formavano una specie di tetto versicolore. Nell’aria blu, senza brividi, esse pendevano morte e lucide, come se fossero state di latta. E sotto la gente passava con voci irreali, lontanissime, d’altri tempi... Solo la neve riesce a dare una simile verginità al paesaggio: il suo candore favoloso, somiglia certo un poco alle tinte artificiali di quella carta velina, dipinta rozzamente coi colori dell’iride.

 Ma certo il lettore si è accorto come io non osi confessare che in minima parte la mia debolezza: il motivo del paesaggio è in fondo secondario. Ma come esprimere l’inesprimibile? Esistono forse parole per comunicare un rapporto fra le bandierine e il cattolicesimo degli abitanti di San Giovanni, fra i colori dei muri affumicati e la radice dei capelli di un ragazzo di Runcis? Eppure questo rapporto esiste, è Amore. E, ad ogni modo, non ho detto che esisteva in me una gioia? Che c’era un pensiero nudo,   spietato dietro le mie parole giocate? E voglio confessare ancora in parte (in parte, ipocritamente), ciò che mi angosciava sotto le silenziose bandierine di Runcis: era un desiderio di conoscere la gente del borgo, di guardare San Giovanni da dentro il suo cuore. È un desiderio, così enunciato, degno di un adolescente, lo so. Sono tare, che, come la morte, dovrebbero dare un dolore (o uno scetticismo) definitivo; e invece tutto questo non mi ha impedito di svagarmi ai fuochi che strepitavano astrusi sulle teste dei contadini vestiti a festa, o di essere felice più tardi, andando alla volta di Versuta, nel pallore della notte, mentre certo i festoni di Runcis continuavano a imbeversi di cosmico silenzio, sotto i balconi delle case dove dormivano i miei Angeli corrotti dai sogni.

Pier Paolo Pasolini



@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare


Curatore, Bruno Esposito

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