"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Pier Paolo Pasolini
Votate scheda bianca e vincerà la cultura
«II Giorno», 4 luglio 1968
Cari amici,
oggi andate a votare al Premio Strega. Non è una cosa di grande importanza — lo ammetto — benché non trovi che ci sia in questo nulla di «comico», come trova un giornale romano della sera, incomprensibilmente.
Se non è importante è indicativo. Per le seguenti ragioni:
1) I letterati italiani godono presso l’opinione pubblica una pessima fama: sono visti irresistibilmente sempre in chiave umoristica, come personaggi sedentari, pettegoli, mondani, pigri, acquiescenti, vanitosi, snob, mediocri e addirittura meschini: insomma, una specie di peso morto nella società italiana: una specie di reparto dello zoo e del folclore, sia pure non dei peggio (a causa della loro inoffensività).
2) Oggettivamente i letterati italiani hanno tradito certe illusioni, nate nello scorso decennio, quando a un certo punto ebbero l’aria di sostituire addirittura i preti in qualità di guida spirituale: caduta la potenziale egemonia comunista — cui era allora dovuto il successo letterario — si è trattato in realtà di un nuovo ritorno all’ordine. E non si può dire che lo spirito di humour, da cui è preso irrefrenabilmente qualsiasi giornalista medio nel parlare dei letterati in genere, sia del tutto ingiustificato.
3) Su questo ambiente familiare (provinciale) della letteratura italiana si comincia a profilare un nuovo momento storico, che riguarda il rapporto tra letterato e opinione pubblica, in cui — dopo un breve e confuso interregno — alla tendenza culturale egemonica del Pci (ossia la politica dell’impegno, dal Pci stesso ora abbandonata) si va sostituendo una nuova egemonia, quella dell’industria culturale. Alcuni manager hanno preso il posto di Togliatti o di Alicata. Ma Togliatti e Alicata, per quanto cinici, per quanto diplomatici, per quanto pragmatici erano ancora uomini di cultura: erano gli ultimi rappresentanti di quel tipo di intellettuale (a cui del resto anche tutta la mia generazione appartiene) che era stato descritto da Cechov, e che Lenin aveva conosciuto e analizzato. L’intellettuale umanista, di nascita o di origine provinciale e contadina: pre-industriale.
In genere, invece, i manager dell’industria culturale non sono uomini di cultura. E appunto per questo — benché non più giovani di noi — appartengono a una nuova qualità di intellettuale: l'intellettuale che né Cechov né Lenin hanno conosciuto, non più umanista, direi non più umano: tipico fenomeno di una civiltà tecnica, che sta mercificando la cultura. Insomma, l’industria culturale può essere diretta soltanto da chi è fuori da quella che ancora è per noi storicamente la cultura.
Per queste ragioni io vi dico, cari colleghi letterati, che è giunto il momento di fare un non novecentesco esame di coscienza.
È finita l’egemonia culturale di sinistra, coi suoi miti e i suoi valori? Bene. Ne sta nascendo un’altra, quella dell’industria culturale coi suoi miti (del tutto cinici e materiali) e i suoi valori (inevitabilmente falsi)? Bene. Vuol dire che dovremo agire al di fuori di qualsiasi forma egemonica. Qui mi viene spontanea alle labbra una parola che detesto, perché divenuta senhal: autogestione. Il letterato italiano deve finalmente politicizzarsi attraverso la propria decisione: con ciò non dico che debba fare della politica: ma che deve inventarsi e portare avanti una politica culturale che rivendichi la sua autonomia e la sua libertà.
Ciò che minaccia oggi tale autonomia e tale libertà e non in maniera indiretta e tutto sommato civile (la discussione ed il dibattito avvenivano su un piano umanistico comune) delle sinistre è la furia produttiva e consumistica di una cultura di altra natura, che finirà con lo svisare completamente i caratteri letterari, sia pur modesti, della nostra provinciale Nazione, e falserà tutti i suoi valori stabilendone nuove gerarchie.
Come tale minaccia sia grave e incombente — e non remota, e tale da guardarsi col solito scetticismo trovato così comico dall’opinione pubblica — basti guardare alcuni dei casi letterari-umani creatisi durante la recente campagna elettorale del Premio Strega, avvenuta appunto sotto la brutale volontà di successo di una casa editrice. (Penso, esplicitamente, ad alcuni critici di rotocalco, miei amici, che tuttavia io voglio persistere ad amare.)
Insomma, la brutalità dell’industria culturale non deforma solo dei valori letterari, ma giunge a deformare le coscienze e a deteriorare l’umanità. Altro che guide spirituali. Ci siamo ridotti, ancora una volta, al grado di buffoni: non di corte (dove almeno c’era l’alternativa dell'altro, cioè della povertà e della realtà) ma del neocapitalismo (in cui l'altro è costituito dal consumatore medio e dall’irrealtà).
Tutto questo, in conclusione, mi fa pensare che il Premio Strega non sia poi quella sciocchezza senza importanza — arengo di pura vanità — che il qualunquismo (frangia marcescente dell’umanesimo) vuol far pensare attraverso la stampa benpensante. No: il caso del Premio Strega è un caso di coscienza, e riguarda non solo il futuro personale di un singolo letterato in quanto letterato: ma anche il suo futuro di uomo, e la sua funzione pubblica di cittadino.
La battaglia perduta del Premio Strega (e non posso essere ottimista in questo) sarà una battaglia perduta non dico della letteratura italiana, ma della cultura italiana. Vorrà dire che da ora in poi i libri saranno scritti da certi editori: vorrà dire che tutto ciò che una cultura letteraria può dare a una nazione, sarà totalmente negativo, in quanto sarà costituito da prodotti di consumo medi, dove tutto ciò che è la reale funzione del poeta, anche minore (protesta, contestazione, invenzione, innovazione, irriconoscibilità, problematica, scandalo, religiosità, dubbio, maledizione, vitalità) sarà scomparso.
Dunque, cari amici votanti, lasciate che la gente che non ha nulla a che fare con la letteratura, con la cultura e con una qualsiasi morale che abbia qualche accento di verità, voti per il libro che l’editore e gli organizzatori del premio, ormai, evidentemente, dalla sua parte, vogliono che vinca. Ma voi, uomini di cultura, votate scheda bianca. Sarebbe, questa, la prima protesta collettiva della società letteraria italiana, sarebbe il suo primo titolo collettivo di merito.
Infatti sarebbe sufficiente il cinquanta per cento più uno di schede bianche, perché la letteratura italiana — rappresentata, purtroppo parzialmente e arbitrariamente, nel corpo elettorale dello Strega — ottenesse la sua prima vittoria, esprimesse per la prima volta la sua decisione ad essere padrona di se stessa, e la sua scelta a lottare per una causa che è ancora così evidentemente la causa giusta.
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