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giovedì 24 dicembre 2020

Pasolini, un monumento a D’Annunzio - Da “Vie Nuove” Anno XV, n. 46, 19 novembre 1960

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Un monumento a D’Annunzio
“Vie Nuove” Anno XV, n. 46, 19 novembre 1960 
(in Le belle bandiere, Einaudi, Torino, 1977.)

Il 30 ottobre, a Ronchi, la Legione del Vittoriale ha inaugurato un monumento a D’Annunzio nonostante una delibera municipale avesse respinto la richiesta di concessione di terreno. Infatti, il Prefetto di Gorizia, Dott. Giacinto Nitri, aveva annullato la decisione comunale per vizio di forma.
In relazione alla iniziativa, un gruppo di insegnanti e artisti isontini ha chiesto l’appoggio e la solidarietà di un autorevole gruppo di colleghi triestini per esprimere sul fatto una pubblica deplorazione, che costituisse anche dovuta precisazione storica, soprattutto per giovani e studenti. Siamo ora a chiedervi ospitalità, ben consapevoli della coerenza della vostra battaglia per un rinnovamento politico, intellettuale e di costume. Pensiamo che solo col vostro aiuto potremo far conoscere e divulgare più ampiamente la deplorazione circa la intempestiva ed imprudente celebrazione, che merita perciò di essere conosciuta in tutta Italia proprio per essere maggiormente deplorata. Se lo riterrete opportuno, potrete aggiungere l’avvertimento che adesioni sono ancora aperte a testimonianza di una protesta morale
Dott. Nereo Battello


La dichiarazione degli intellettuali:


«I sottoscritti, di fronte all’iniziativa, favorita da ben individuate forze politiche, di erigere nei pressi di Ronchi un monumento a Gabriele D’Annunzio con intendimenti di valutazione politica chiaramente emergenti dall’epigrafe che si intenderebbe apporvi, segnalano l’inopportunità storica e contingente dell’iniziativa stessa. Essi non intendono qui esprimere un giudizio sull’opera artistica del poeta e su quella del combattente della guerra di redenzione; ma affermano che il fatto che si intende esaltare nel monumento portò conseguenze funeste, sia sul piano della vita interna del popolo italiano, che su quello dei rapporti con altri popoli.

Infatti indipendentemente dai propositi di sincero patriottismo di taluno dei partecipanti, oggi risulta chiaro – anche secondo il giudizio della più recente storiografia – che l’impresa dannunziana rappresentò il primo passo sulla via della sovversione violenta del costume morale e civile di libertà trasmessoci dalle generazioni del Risorgimento, nonché la premessa ideologica e tattica del fascismo, e comunque un sitnomo evidente di quel disordine spirituale che interruppe il naturale sviluppo della democrazia italiana. D’altra parte la stessa impresa, esasperando odii locali e conflitti nazionalistici, ostacolò l’avvio ad un’equa soluzione dei problemi politici dell’Alto Adriatico.

Celebrare oggi questo episodio significa screditare l’ordinamento democratico del paese e compiere opera di diseducazione politica e civile, particolarmente nei riguardi dei più giovani, ai quali si addita come esemplare un gesto irrazionale di sovversione e violenza.


Prof. Elio APih (Trieste) docente universitario, storico
prof. Giuseppe Citanna (Trieste) ordinario di letteratura italiana all’Università di Trieste
prof. Biagio Marin (Trieste) poeta
Marcello D’Olivo (Udine) architetto
prof. Livio Pesante (Trieste) insegnante
dott. Bruno Pincherle (Trieste); 
Tino Ranieri (Trieste) critico cinematografico
prof. Carlo Schiffer (Trieste) storico
Gino Valla (Udine) architetto
Giuseppe Zigaina (Udine) pittore
Anzil Toffolo (Udine) pittore
prof. Silvio Bertocci (Udine) pubblicista
prof. Domenico Cerroni Cadoresi (Udine) poeta
dott. Giovanni Cimetta (Udine) presidente del Centro di Ricerche Culturali P. Calamandrei
prof. Rino Domenicali (Udine) insegnante
prof. A. Gobessi (Udine) insegnante
prof. Rocco Lamonarca (Udine) insegnante
prof. Ernesto Mitri (Udine) pittore
avv. Loris Fortuna (Udine) direttore di Politica e Cultura; 
prof. Nicolò Persici (Udine) insegnante
prof. Maria Gigliola Pezzé (Udine) insegnante
Giulio Piccini (Udine) scultore; Max Piccini (Udine) pittore;
Sergio Altieri (Gorizia) pittore; 
prof. Radames Baldassarri (Gorizia) preside di scuola media
dott. Nereo Battello (Gorizia) presidente del Circolo Rinascita
Romolo Bertini (Trieste) pittore
Alfio Cantelli (Gorizia) critico cinematografico
prof. Maria Cavazzuti (Gorizia) insegnante
Sabino Coloni (Trieste) pittore
ing. Ferdinando Gandusio (Trieste); 
Cesare Mocchiuti (Gorizia) pittore
prof. Emilio Mulitsch (Gorizia) insegnante.



Sono vissuto a lungo in Friuli, mia mamma è friulana, mi sono interessato di storia e di letteratura friulana per tutta la mia prima giovinezza, molti dei firmatari di questo manifesto sono miei amici: alcuni, come Giuseppe Zigaina e Biagio Marin amicissimi. Ho abbastanza competenza, dunque, per sapere come stanno e come si svolgono le cose in quei posti: il «tono» delle cose. Il nazionalismo, lassù – con il potenziale fascismo – nasce purtroppo, oltre che dal solito qualunquismo, dalla solita sotto-esistenza culturale, anche da una forma di moralismo, tipico del Nord: tipico di quel cattolicesimo già venato di protestantesimo. E perciò tanto più pericoloso, perché strettamente amalgamato con delle profonde convinzioni morali sbagliate. Insomma mentre si può dire quasi con l’assoluta certezza che un fascista centro-meridionale è un disonesto, un profittatore, o, nel migliore dei casi, uno che si arrangia servendo, questo giudizio non vale sempre per un fascista settentrionale, e, nella specie, friulano. Spesso, nella condotta, nel lavoro, nella vita privata, i nazionalisti o fascisti di lassù sono delle persone oneste e inappuntabili. Andate a far capire a loro che un monumento a D’Annunzio Legionario è una cosa mostruosa!

Non lo ammetteranno mai, perché, per questo, dovrebbero rinunciare all’intera loro concezione dell’esistenza.

Bisogna anzitutto spiegare loro che D’Annunzio è stato un pessimo poeta, oltre che un pessimo cittadino. Io, per esempio, non sono del tutto d’accordo con gli intellettuali friulani e triestini che hanno scisso il D’Annunzio poeta e combattente dal D’Annunzio legionario e prefascista. Il D’Annunzio è uno. La sua importanza letteraria è soltanto negativa, e così la sua importanza nel costume e nella storia. Egli rappresenta e esprime l’Italia nel suo momento involutivo: nel momento cioè in cui il Risorgimento ha mostrato i suoi limiti, la sua vera essenza di rivolta aristocratica, il suo liberalismo apocrifo (cfr. Gramsci), e la nuova classe borghese è cominciata a diventare quello che è: una mostruosa riserva di egoismo, di conformismo, di paura, di mistificazione, di ristrettezza mentale, di provincialismo.

Si badi che io non sono contrario a D’Annunzio per le stesse ragioni per cui gli sono stati contrari gli intellettuali italiani del primo Novecento, o del Novecento tout court: i quali lo avversavano nelle sovrastrutture letterarie per così dire. In realtà erano dei dannunziani essi stessi: dei D’Annunzio in pantofole anziché in coturni, che è già qualcosa, non dico di no: ma è quasi niente. Erano insomma antidannunziani come erano antifascisti: per ragioni di buon gusto, perché sia Mussolini che D’Annunzio erano dei «cafoni». Ma è noto come un simile antifascismo non servisse quasi a nulla: e molti antifascisti di questo tipo sono stati accademici d’Italia.

D’Annunzio è il tipico rappresentante dell’eterno classicismo servile e evasivo italiano, che assumeva in lui forme di decadentismo provinciale; e, a causa del suo immanente e superficiale irrazionalismo – tipico anch’esso – sfociava spesso nell’azione: la quale azione non poteva essere che retorica e sostanzialmente conformista, malgrado gli aspetti di clamoroso anti-conformismo. L’impresa di Fiume è stata una pagliacciata narcisistica. I poveri, onesti nazionalisti friulani ne sono delle ingenue vittime.

Poiché cosa fatta capo ha, diciamolo con tutta l’amarezza del caso, e il monumento a D’Annunzio Legionario è là, incrollabile (orrendo, naturalmente), io suggerirei di erigergli non lontano, un piccolo, modesto monumento a I. G. Ascoli. Sono vissuto per anni in Friuli, e anche nell’ambiente professionale e filologico: ma mai che mi sia capitato di sentire dell’entusiasmo sincero per questo ebreo di Gorizia che è certamente la figura d’intellettuale più importante, e la sola europea, che abbia espresso il Friuli nel nostro secolo. È un uomo che ha svolto un lavoro sì monumentale, e modesto, e magari discutibile in molti punti: e non certo rivoluzionario. Ma il silenzio in cui è stato tenuto durante il fascismo – naturalmente perché ebreo – e il complice silenzio che si continua a tenere su di lui, adesso, gli merita certamente un riconoscimento che lo contrapponga, lui, vittima del fascismo, al legionario fascista.
Pier Paolo Pasolini



Curatore, Bruno Esposito

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2 commenti:

  1. Sono felice che un grande intellettuale come Pasolini, che si curamente non ha avuto una vita personale "borghese", abbia definito il Rapagnetta, come ho fatto pochi giorni fa io stessa, un narcisista e ho aggiunto che oggi sarebbe considerato un "distimico bipolare". Condivido il pensiero che lo scrittore non può essere separato nè dall'uomo nè dall'essere un fascista nell'anima, nel pensiero e nelle azioni destinate a una misera fine.

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  2. Gli studi su D'Annunzio sono maturati rispetto a 50 anni fa. D'Annunzio favoriva il voto attivo e passivo per le donne, la liberazione omosessuale, il divorzio, la disobbedienza civile (leggasi la Carta del Carnaro). Non era antisemita, bensì anticlericale. Detestava apertis verbis il nazismo. Chi, come Pasolini, era cresciuto col D'Annunzio imposto dalle scuole fasciste, non sapeva molto di tutte queste cose. Anche Pasolini cadde nella trappola fascista della impossibile fascistizzazione di D'Annunzio.

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