"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
'Porno Teo Kolossal':
il film mancato di Pasolini con Eduardo
Trattamento di Pier Paolo Pasolini e Sergio Citti (1975)
"Caro Eduardo, eccoti finalmente per iscritto il film di cui ormai da anni ti parlo. In sostanza c'è tutto. Mancano i dialoghi, ancora provvisori, perché conto molto sulla tua collaborazione, anche magari improvvisata mentre giriamo. Epifanio lo affido completamente a te: aprioristicamente, per partito preso, per scelta. Epifanio sei tu. Il "tu" del sogno, apparentemente idealizzato, in effetti reale.
Ho detto che il testo è per iscritto. In realtà non è così. Infatti l'ho dettato al registratore (per la prima volta in vita mia). Resta perciò, almeno linguisticamente, orale. Ti accorgerai subito infatti, leggendo, di una certa sua aria un po' plumbea, ripetitiva, pedante. Passaci sopra. Mi era impossibile- per ragioni pratiche - fare altrimenti.
Io stesso l'ho letto per intero oggi - poco fa - per la prima volta. E sono rimasto traumatizzato: sconvolto per il suo impegno "ideologico", appunto, da "poema", e schiacciato dalla sua mole organizzativa.
Spero, con tutta la mia passione, non solo che il film ti piaccia e che tu accetti di farlo: ma che mi aiuti e m'incoraggi ad affrontare una simile impresa.
Ti abbraccio con affetto"
tuo Pier Paolo, Roma 24 settembre 1975
PROLOGO
Ci troviamo nel buio e nel silenzio delle altezze cosmiche. In fondo, ai nostri piedi, si vede il globo terrestre. (Sarebbe opportuno, naturalmente, che non si trattasse di un globo artificiale, ma del globo terrestre vero e proprio, esattamente così come appare nelle fotografie che un astronauta scatta da una nave spaziale).
Si vedono le tracce rugose della terra, le macchie plumbee dei mari, i confini dei continenti, ecc., ecc., finché, ad un certo momento – poiché il globo, naturalmente, gira -- ecco presentarsi ai nostri occhi la sagoma, nebulosa e rossastra, dell’Italia.
A questo punto si cominciano a sentire come delle voci lontane, delle grida, dei richiami, e addirittura una voce che canta una vecchia canzone napoletana popolare, molto fioca per la distanza.
Ci avviciniamo sempre più... ed ecco il panorama di Napoli. Napoli vista dall’alto, con i suoi vicoli, le sue piazzette, i suoi bassi.
È l’alba, le voci che sentivamo sono voci ancora assai rare: di donne, di scugnizzi. A cantare è uno scopino che va in giro per i vicoli.
Però, malgrado quest’atmosfera quotidiana e tranquilla del primo mattino, si sente che in quelle voci c’è qualcosa di strano, di concitato; qualcosa di vagamente drammatico. Non si capisce bene di che cosa si tratta.
Ad un certo momento, poi, si apre in una delle pareti scrostate di un vicolo una finestrella: e da questa finestrella fa capolino Eduardo De Filippo, assonnato e arruffato. Egli si guarda intorno e dice: “(..)”.
Dall’interno dell’appartamento gli risponde una voce lamentosa femminile: sua moglie. [1]
Lui si volta paziente, chiude la finestrella, rientra in casa e si prepara alla sua lunga giornata. Scambia ancora alcune chiacchiere con la moglie, la quale è una napoletana antica come il mondo, grassa, scarmigliata ed eternamente a letto, con una gamba enorme. (E magari, li vicino, c’è una che l‘assiste, pallida, nera e muta).
Nel corridoio c’è ancora un altro personaggio, tutto arruffato e irsuto: è il servo: e sappiamo subito che Eduardo De Filippo lo ha assunto proprio la sera prima e lo ha messo a dormire lì nel corridoio, in una brandina.
Dunque Eduardo sveglia il servo, gli fa cenno di seguirlo, prendono una grossa sporta ed escono per fare la spesa.
Il servo assunto la sera avanti, fin dal suo primo apparire, dimostra subito chiaramente di non aver intenzione di dare alcuna soddisfazione al suo padrone: di non sentirsi in nessun modo partecipe della sua vita, e di farsi, insomma, i fatti suoi. Obbedisce, serve, ma niente di più. La sua aria non è, direi, ostile, ma molto estranea, molto staccata, molto brusca, quasi scortese.
Eduardo, però, ignora tutto questo, da vecchio signore napoletano. I due scendono le scalette, escono nel vicolo e cominciano le loro spese.
Ma ecco che quella inquietudine, quella specie di drammaticità che si avvertiva nelle confuse voci dell’alba, si fa sempre più manifesta e sconcertante. Man mano che i due si avvicinano alla piazza del mercato, l’atmosfera diventa addirittura drammatica, finche Eduardo e il suo servo, Ninetto, vengono a trovarsi nel cuore di una situazione assolutamente straordinaria.
Si tratta di questo: a Napoli si vive, si piange, si ride, ci si dispera, si discute, si litiga, si prega, si canta, perché si è sparsa la voce, misteriosa, che in qualche parte del mondo è nato il Messia. E questo Messia dovrà portare fra gli uomini felicità, ordine, ricchezza, bontà, fraternità e tutte le altre cose che gli uomini, e in particolare i napoletani, desiderano: anche le più semplici, le più ingenue. C’è chi, strillando, ci crede e chi, strillando, non ci crede: allora quelli che non credono litigano con quelli che credono, e quelli che credono litigano con quelli che non credono. Insomma, infuria la vecchia baraonda napoletana delle grandi occasioni. Cosa che succede, in fondo, tutti i giorni a Napoli: ma questa volta non ci si può effettivamente nascondere che la ragione è veramente unica, eccezionale, storica. La nascita del Messia!
O’ Messia ca’, o’ Messia la’... o’ Messia vene, 0’ Messia nun vene,nun è o vero, site buciarde, site ricchione... struonze.
Eduardo sta ad ascoltare tutto con molta curiosità e con le orecchie diritte; ma egli è commosso e quasi solenne, come se si trattasse di qualcosa di decisivo per la sua vita. Eduardo De Filippo, infatti, è un Re Mago. È per questo che egli, grazie ai suoi studi astronomici, alle sue cabale, ai suoi calcoli, già da mesi e mesi, forse da anni, aspettava questo giorno: il giorno dell’annuncio della nascita del Messia. Nel sentire dalla voce del popolo, che, forse, la sua profezia si sta avverando, dopo la commozione solenne, egli viene preso da un impeto di intima felicità: e cerca di comunicarla a Ninetto, balbettando, ridendo... Ma Ninetto non gli dà neanche in questo caso, -- così eccezionale --
nessuna soddisfazione, con l’aria di dire (egli è romano):
“A ho, So’ cazzi vostri, che me frega a me del vostro Messia!”.
“A ho, So’ cazzi vostri, che me frega a me del vostro Messia!”.
Senza fare la spesa, con le sporte vuote, Eduardo torna correndo a casa, entra, e, senza fiato, comunica la cosa alla moglie quasi in uno stato di delirante felicità. Ninetto se ne sta da una parte scettico, imbronciato e un po’ ironico (ogni tanto qualche battuta spiritosa, naturalmente). Comunicato il
grande evento alla moglie, Eduardo corre a consultare le sue carte, i suoi volumi: sì, era effettivamente in quel giorno che il Messia doveva nascere...
Il Re Mago passa tutta la giornata in calcoli e in ricerche sui suoi testi. ..Poi nel tardo pomeriggio, egli trascina con se il suo servo di nuovo per le strade, per approfondire meglio, qua e là per la città... A Forcella... sul Vomero... a Mergellina... tutta Napoli non è che un grande teatro dove si recita la più
grande scena della sua storia … [2]. Finché scende la sera. Eduardo è di nuovo alla finestra del suo appartamento: si tratta della cerimonia serale di tutta la sua vita. Deve richiudere la finestrella così come la mattina l’aveva aperta. Ed ecco, nel momento che sta per tirare a se l’imposta sgangherata, ecco che accade l’ultimo, definitivo avvenimento di quella memorabile giornata: quasi il suo sublime suggello. Alta, nitida, purissima, nelle profondità del chiaro cielo notturno, Eduardo vede la Stella Cometa.
Ed Egli sa bene che quella Stella è là per indicargli il cammino che egli dovrà seguire per andare ad adorare il Messia.
Preso da una gioia ancora più profonda, più piena, più totale, Eduardo decide (e lo annuncia a tutta la casa) che il giorno dopo partirà. Si cominciano subito a fare i fagotti. Per una festa? Per un ultimo addio?
Il mattino dopo, Eduardo riapre la finestrella, pronto per partire. Ed ecco infatti lassù la Cometa che si muove, come ad indicargli il cammino.
Seguito da Ninetto, egli si precipita per le scale, esce nel vicolo, si avvia verso la stazione, sempre con gli occhi al cielo, puntati alla Stella Cometa.
Avanti De Filippo -- stringendo al petto un misterioso fagotto -- trionfante, ma ancora confuso, un po’ commosso (con il fazzoletto si asciuga le lacrime dell’addio, alla casa, alla moglie e ora alla sua città: ma sono lacrime metà di dolore e metà di felicità), e dietro Ninetto con i valigioni. Arrivano lla stazione di Napoli e lì si incrociano con altri Re Magi, che seguono anche loro la Stella Cometa, ma non sono d‘accordo sulla direzione; qualcuno parte per il Sud, qualcuno per l’Est. Invece Eduardo e Ninetto prendono il treno che va verso Nord.
Incomincia così il loro viaggio, il lungo viaggio della loro vita.
Mentre il treno va verso il Nord, sferragliando, si ha la prima delle scenette (che si ripeteranno varie volte nel corso del film) in cui Ninetto si mette a cantare (ammansendosi per l’occasione) una canzone napoletana, mentre Eduardo fa una “controscena comica” [3].
Il tempo passa, con questa canzoncina napoletana di addio, ed ecco che siamo già nelle vicinanze di quella che, geograficamente, dovrebbe essere Roma, ma che invece, nel nostro film (che è tutta un’enorme Metafora che rovescia e reinventa la realtà) si presenta col nome di Sodoma.
Fonte:
http://anello-mancante.blogspot.it/2013/11/5-porno-teo-kolossal-il-film-mancato-di.html#!/2013/11/5-porno-teo-kolossal-il-film-mancato-di.html
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