"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Pasolini poeta offeso
di Federico De Melis da "il Manifesto" del 2/11/95 pagina 2
Pier Paolo Pasolini "poete d'opposizione", come recita il titolo della manifestazione romana che lo celebra a vent'anni dalla morte? nel documentario Comizi d'amore, a Pasolini che gli chiede che cosa sia per lui l'anormalita' sessuale, Giuseppe Ungaretti risponde: e' improprio rivolgere questa domanda a un poeta, il quale per sua natura non conosce norma dunque neanche infrazione della norma. Un poeta non puo' essere "d'opposizione". Alberto Moravia, colui che meglio ha colto il carattere civile, in senso dantesco, della poesia pasoliniana, il 2 novembre '75, nello smarrimento per l'assassinio all'idroscalo aveva perso "un suo grande poeta". Non si tratta di difendere cronicamente il sacro recinto della poesia assediato dalla realta'. Ma di cogliere uno snaturamento che l'industria culturale italiana ha fatto di Pasolini, a suo uso e a nostro consumo. Esso consiste nella politicizzazione integrale dell'opera sua. Questo snaturamento ha favorito l'affermarsi dell'immagine di Pasolini come Tiresia del tempo nostro, grande preveggente dei torbidi italiani che sarebbero emersi in piena luce non tangentopoli. E' davvero poetica, per contrasto, l'immagine del vero Tiresia, che lui volle per l'Edipo re nelle scarne fattezze di Julian Beck: il quale vedeva cose che non si possono dire, impossibili da comprendere nell'universo della politica. In questo universo e' stato invece imprigionato Pasolini, per essere smembrato e servito fumante a un grande banchetto post-moderno. L'ultimo esempio e' di ieri: un ennesimo imbarazzante tentativo di annetterlo al pensiero fascista, firmato dall'ideologo della "nuova destra" Marcello Veneziani, ospite per una cosiddetta "provocazione giornalistica" sulle pagine di Repubblica. d'altro canto notevoli detrattori del Pasolini politico, come Alberto Asor Rosa quando contestava la congruenza d'una discussione sulla modernita' a partire dai presupposti pasoliniani, si sono messi al passo: e hanno cominciato a usare la sua prospettiva apocalittica in chiave politica. Ricordo un infervorato dibattito nei primi anni ottanta a Castel Sant'Angelo in cui si stentava, da giovanissimi, ad accettare le sferzate di Asor Rosa contro i concetti "apolitici" di Palazzo e Omologazione, difesi invece da Pietro Ingrao. Solo Franco Fortini, forse - e del tutto a parte Alberto Arbasino, la cui cinica umanissimo disinvoltura ancora in questi giorni ha profuso parole di disincanto, tra acido e amaro - ha tenuto duro fino alla fine: conservando bene in luce l'origine narcisistica, cioe' poetica, delle incursioni politiche di Pasolini: additando in esse il frutto di un vitalismo che finiva per portare al centro della scena il Corpo del Poeta, straziato e adorato, a scapito della realta' che la sua parola intendeva redimere. Pasolini amava troppo voracemente la realta' per conservarla intatta al giudizio politico: come il centauro Chirone all'inzio della sua Medea vedeva "tutto santo", niente di "naturale" ma tutto "miracoloso". La realta' era la sua ostia quotidiana. La stessa contraddizione di passione e ideologia, che dopo la guerra sentiva dal corpo a corpo con la figura di Gramsci, era apriori risolta nella poetica accettazione di una realta' mitica, indivisa: "il paese di temporali e primule". L'Appennino "dove azzurri gli ,,,,,,,,,,,,,,,,,,,, dormono". Il Testaccio nell'aria "impura" di maggio, il perso oriente... E mitica e indivisa sarebbe risultata poi, con l'omologazione e i suoi mostri, nel segno freddo di Salo'-Sade. Un mito buono si rovesciava, come seguendo l'ordine dei cicli stagionali, in un mito cattivo. Naturalmente non v'e' costruzione di miti laddove non lo richieda la realta', e assai ne richiedeva l'atroce sviluppo italiano. Ma essi non possono essere confusi con la realta', com'e' nel consumistico appiattimento politico che s'e' fatto dell'opera pasoliniana. Solo tenendoli separati, i miti pasoliniani possono illuminare la nostra realta', darsi come strumento energico di comprensione politica. Oggi un paese civile dovrebbe limitarsi a ricordare un suo poeta. Un poeta che non si e' espresso soltanto in forme disparate di poesia, ma finanche in politica. Che nella trasformazione del "popolo gramsciano" in "massa neo-capitalistica" avvertiva la poesia in pericolo - da tardo francofortese, come ancora suggerisce Fortini. Studio' disperatamente il modo di conservare alla poesia una voce in capitolo: a rischio e con l'ebbrezza di snaturarla, fino a renderne irriconoscibili le forme: e lui di mascherarsi da grande opinionista politico. Si dovrebbero riportare gli Scritti corsari o le Lettere luterane alle proprie ragioni prime: leggerli come opere di poesia. Solo cosi' sara' possibile comporre le spoglie di Pasolini, che vagano inquiete tra le pagine dei rotocalchi d'opinione: dare loro una cristiana sepoltura.
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