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sabato 8 marzo 2025

Pasolini, La colpa non è dei teddy boys - Vie nuove numero 40, del 10 ottobre 1959

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


Il parere dello scrittore di 

"Ragazzi di vita" 

sul fenomeno della "gioventù traviata.."

Pier Paolo Pasolini
La colpa non è dei teddy boys

Vie nuove numero 40

10 ottobre 1959

da pag. 14 a pag. 17 

( © Questa trascrizione integrale da cartaceo, è stata curata da Bruno Esposito )


Si è tenuto recentemente a Venezia un congresso di «uomini illustri» sul problema della gioventù traviata; da questo congresso è risultato chiaro perché esistono i «teddy boys»: voglio dire non dai lavori e dalle discussioni del congresso, ma dal congresso stesso, dalla sua presenza: tanta presunzione pedagogica, tanta cecità reazionaria, tanto sciocco paternalismo, tanta superficiale visione dei valori, tanto represso sadismo, non possono che giustificare l'esistenza, in molte città italiane, di una gioventù insofferente e incattivita. 

Con simili padri ideali - perché è chiaro che la media dei padri è fornita dalla media dei partecipanti a quel triste congresso - i figli non possono che nutrire disprezzo per la morale vigente: disprezzo non critico, naturalmente, e quindi anarchico, improduttivo, patologico. Alla superficialità rispondono con la superficialità, alla crudeltà con la crudeltà. In effetti sono proprio i teddy boys i figli reali dei nostri avvocati, dei nostri professori, dei nostri luminari. 

Uno dei partecipanti al congresso veneziano, il prof. Pende, ha fornito un quadro clinico schematico ma completo dei tipi di anormalità psichica che porta il ragazzo all'anarchica ribellione del teddy boy: l'unico difetto del quadro del prof. Pende è quello di essere esclusivamente tecnico, quasi che nevrosi o paranoia cadessero dal cielo, come tegole, sui capi dei malcapitati: una disgrazia, così come si nasce ebrei o negri. Il che prospetta il problema dei teddy boys in termini che appaiono scientifici mentre in realtà sono del tutto irrazionali, appartengono alla famiglia delle teorie razziste. 


È chiaro che le nevrosi giovanili sono di origine sociale e ambientale: l'interesse tecnico primario risiede dunque nello studio della società e dell'ambiente: la fenomenologia dei casi interessa infinitamente meno. Un altro professore, Musatti, molto acutamente, ha osservato come i teddy boys usino esercitare la loro crudeltà contro gli omosessuali e le prostitute: c'è dunque, in essi, un pretesto moralistico, raccattato dalla morale corrente a cui sono educati: nel tempo stesso in cui si ribellano - esercitando atti di crudeltà esibizionistica e in fondo masochistica - si adeguano, si conformano: la loro è una ribellione conformista, la loro arma il ricatto, che è prodotto di una mentalità borghese. 

Ma: quanti sono i teddy boys, i ragazzi cattivi? 

Esistono statistiche abbastanza esatte? Che indichino non solo il numero e le caratteristiche attuali, ma il loro rapporto col numero e le caratteristiche delle precedenti generazioni?

Ecco intanto un lavoro da fare, subito.

Io, ad ogni modo, vorrei fare senz'altro un'osservazione: ci sono ora, in Italia, nell'epoca dei «teddy boys», nel momento della gioventù bruciata, migliaia, centinaia di migliaia di ragazzi ineccepibili. Voglio dire che il numero dei ragazzi bravi, ubbidienti, sensibili, desiderosi di imparare e di fare, è enormemente aumentato rispetto a una decina d'anni fa. Ad ogni passo si può incontrare un adolescente, pieno di umiltà e di forza, magari un pò qualunquista, ma ansioso di migliorare, di impadronirsi di quella realtà ideale di cui crede possessori gli adulti. 

Questo significa forse semplicemente che uno stato eccezionale (la guerra, il dopoguerra) tende a assimilare e a livellare, a rendere più o meno uguali, nell'inquietudine, nella disperazione, nella rabbia di sopravvivere, nella corruzione, nella spregiudicatezza, tutti i ragazzi. Mentre uno stato normale (com'è ormai questo in cui viviamo) tende a dissimilare, a differenziare: l'organizzazione ordinata di una società può produrre traumi dolorosi da una parte, e tranquille educazioni sentimentali dall'altra. 

Ma eccoci intanto entrati nel problema: prima di tutto, dunque, bisogna distinguere. La prima distinzione che io farei è tra Italia settentrionale e Italia meridionale. Nel Nord ci sono i teddy boys, nel Sud non ci sono. 

Sia chiaro, se per teddy boy si intende semplicemente ragazzo traviato, teppista, allora il teddy boy esiste ovunque ed è esistito sempre: ma se per teddy boy si intende una particolare, circostanziata variante del ragazzo traviato, un fenomeno irripetibile e tipico di una società, o di una sezione della società, allora è certo che non si possono non implicare circostanze di tempo e di luogo. 

Il ragazzo traviato con caratteristiche tipiche e moderne ha il suo modello a Londra, a New York, nei paesi scandinavi: ossia in società puritane e ad alto livello civile. 

Già il teddy boy francese è una variante meno perfetta (se vogliamo guardare le cose con distacco scientifico): in quanto appartiene a una società ad alto livello sì, ma cattolica. Ci sono quindi nei «blousons » elementi clerico-fascisti, che, dal punto di vista filologico, rendono meno perfetto l'esemplare. 

In parole povere: il teddy boy è il prodotto della società neocapitalistica irrigidita moralisticamente nelle sue sovrastrutture. 

L'Italia del Nord - specie Milano - appartiene a questa area neocapitalistica: è naturale, quindi, che vi si verifichino fenomeni analoghi alle altre società analoghe: come quello dei teddy boys. 

La relativa perfezione dell'organizzazione sociale, l'equilibrio del ciclo produzione-consumo, l'alto reddito medio ecc. .fanno di Milano e delle altre città industriali del Nord delle città poco italiane, nel senso tradizionale della parola, e quindi poco cattoliche: o, perlomeno, di un cattolicesimo colorato leggermente di protestantesimo, puritano (com'è, del resto, nelle tradizioni dell'Italia del Nord): il ragazzo nevrotico milanese, o torinese o bolognese, si trova a lottare contro una società apparentemente buona, capace di offrirgli garanzie, ma, in sostanza ingiusta, e quindi, sotto le apparenze democratiche, noiosa, ipocrita, feroce, carica di rancore teologico. Il ragazzo tutto questo lo avverte, e la oppressione di tale società su di lui, causa in lui le nevrosi che lo portano a una falsa rivendicazione della propria personalità: il narcisismo, l'esibizionismo, la protesta anarchica. 

Nel Sud, diciamo (per riferirei a un recente fatto di cronaca) da Bracciano in giù, le cose sono totalmente diverse: la società è una vecchia società agraria e cattolica: il che significa, nel nostro caso, una società assolutamente irreligiosa, assolutamente sorda alla morale cristiana: se la religiosità è puro vitalismo da una parte, superstizione pagana dall'altra; e se la morale è una morale precristiana, stoica, basata non sull'amore, ma sull'onore. 

La coazione che la società compie sull'individuo, fino a deformarlo e renderlo aberrante e malato, non è una coazione moralistica dunque, diciamo di tipo interclassista (dato il riavvicinamento delle classi nel Nord, la prossimità ideale, per esempio, di un operaio e di un impiegato della Fiat), ma di tipo ancora rigidamente classista: la classe dominante che urge sulla dominata, ancora con rabbia feudale, causando fenomeni di miseria così spaventosa da essere poi essa stessa causa di traumi psichici. Ci sono zone, nell'Italia meridionale, dove popolazioni di interi paesi hanno nella faccia i segni della psicosi, quando non della nevrosi. 

La mafia, la camorra, il malandrinismo, la serie di vendette a catena, il vagabondaggio, l'accattonaggio, il servilismo, ecco le caratteristiche di questo sottomondo. Una recente statistica, presentata dalla professoressa Orr al Congresso internazionale di prevenzione criminale, all'Unesco, parla di circa novantamila ragazzi e giovani vagabondi nel Napoletano, come di un fenomeno sociologico permanente. Potrà forse esserci, in qualche sezione della borghesia meridionale, qualche ragazzo che, nella sua protesta, abbia punti di contatto col teddy boy, ma si tratta semplicemente di moda: è una questione di blue-jeans. La sostanza delle cose è profondamente diversa. Nei teppisti meridionali non c'è una inconscia protesta moralistica, ma una inconscia protesta sociale: essi non appartengono, di fatto o d'elezione, alla classe borghese o alla sua area ideologica, ma appartengono al popolo o al sottoproletariato, sempre più vasto e insondabile; essi non commettono reati gratuiti, ma reati ben giustificati dalla necessità economica e dalla diseducazione ambientale. 

La differenza tra la delinquenza minorile del Nord e quella del Sud è profonda: indice del dislivello sempre più allarmante tra le due Italie. Fenomeno, anche questo, del neo-capitalismo, che tende ad accentuare le differenze già esistenti: sempre più alto il reddito a Milano, sempre più basso (in proporzione) il reddito ad Avellino. Sempre maggiore organizzazione al Nord, sempre peggiore sottogoverno al Sud. Una distanza sempre più grande separa il ragazzo settentrionale da quello meridionale, anche nelle circostanze, che qualche volta possono parere, nella scorza, analoghe, del reato. Come spinti da una fatale forza centrifuga i due mondi si distaccano sempre più. Le retoriche e eternamente formalistiche esigenze unitarie cadono sempre più nel vuoto: abbiamo visto la recente misera fine dei «trapianti» industriali del Nord al Sud. Tutto, come il solito, si basa sul vuoto della retorica, a mascherare furiose speculazioni. 

Il problema del Sud, che, esaurito l'interesse di «Cristo si è fermato a Eboli», pareva passato di moda, quasi estetizzante, è risorto con inaudita violenza in questi ultimi due o tre anni: come una specie di incubo (poiché il conformismo sonnecchia sempre in noi), mi sono accorto ultimamente che, nel Sud, non esiste la lingua italiana come koinè, come lingua strumentale di comunicazione pratica: dal dialetto si salta alla lingua letteraria, carica di latinismi e di stilizzazioni umanistiche liceali. Questa, fino solo a dieci anni fa, poteva parere una generale caratteristica italiana: ma ora non si può negare che la koinè nella Toscana e nel Nord si stia solidificando, appunto perché, in qualche modo, bene o male, una borghesia industriale esiste, e questa koinè è il suo effettivo linguaggio. Il Sud resta tagliato fuori anche da questo fenomeno linguistico: figurarsi se non resta tagliato fuori da quei sottili e modernissimi fenomeni che sono le implicazioni morali del teddy boy! 

Così la magistratura ha dovuto adeguarsi a questo stato di cose: a parte le atroci proposte avanzate da illustri luminari a Venezia, si guardi il caso di Bracciano. Una ragazza - chiaramente colpevole di assassinio, sia pure con tutte le attenuanti che si vogliono - è stata prosciolta in istruttoria: ad attentare alla sua «cattolica virtù» (padre Rotondi) erano stati cinque ragazzetti turbolenti di Bracciano, ed essa, armatasi di un coltellaccio, ne ha ammazzato uno. L'opinione pubblica - capeggiata dal gesuita, con agghiacciante truculenza - è stata per lei.

Perché? 

Per due ragioni: 

  • primo, difesa dell'onore; 
  • secondo, rancore contro i teddy boys. 

Non parlo dell'onore: ogni persona democratica sa bene che cosa sia l'onore, che è tutt'altra cosa da quella difesa dai clericali. Vorrei invece far notare che la magistratura non dovrebbe essere mai parenetica: essa dovrebbe difendere solo la giustizia, e per far questo dovrebbe applicare il codice: può un magistrato avere diritto di punire o premiare «per dare l'esempio?». Ma anche su questo non è qui il caso di discutere. Quello che invece vorrei far notare è che, anche se per ipotesi assurda, un magistrato avesse il diritto di «dare l'esempio», in questo caso non avrebbe dato nessun esempio, perché i ragazzetti di Bracciano, tra cui quello ammazzato da Alba Sbrighi, non sono teddy boys, se non formalisticamente, se non per qualche melenso cronista di rotocalco o qualche retorico luminare. 

Nella reazionaria baraonda dell'unico congresso autorevole tenutosi finora in Italia su questi problemi, a Venezia, poche sono state le voci umane: lo psicanalista Musatti, il professar Jemolo, l'avvocato Augenti, e anche il cardinale Urbani, a meno che le parole non siano mero flatus vocis: ma, sopra tutti, il giovane esponente della sinistra democristiana Vladimiro Dorigo. Questi ha affermato (secondo il referto che ne fa Laurenzi sul «Giorno»): 

«Io sono contro i sergenti e i ghetti di qualunque tipo. Il cattivo esempio viene dall'alto: si riformino la scuola e il carcere, si instauri una nuova dignità politica, si elimini il professionismo sportivo, si rieduchi la polizia, si favorisca una produzione cinematografica libera ed etica, si puniscano gli evasori fiscali ... ». 

Il presidente del Congresso, avvocato Carnelutti, l'ha interrotto ironicamente: 

«Lei ci sta esponendo un programma da presidente del Consiglio». 

E questo, invece, l'unico programma da esporre: le pene, le frustate pubbliche, le repressioni poliziesche sono cose ridicole - da ridere per non piangere, per non mordersi le mani: e Segni impari da Dorigo. Sì: per quel che riguarda i problemi dei nuovi giovani, le riforme, le misure d'emergenza, i provvedimenti non servono; anzi, non ne esistono: ed è bene che sia così, se questo dimostra, ancora una volta, che è la  nostra società, nelle sue strutture, che richiede una profonda modificazione.


Pier Paolo Pasolini



@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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