"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
PROCESSO ALLA DC
MOTIVAZIONI
Sviluppo e Progresso
Indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione del denaro pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con gli industriali, con i banchieri, connivenza con la mafia, alto tradimento in favore di una nazione straniera, collaborazione con la Cia, uso illecito di enti come il Sid, responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna (almeno in quanto colpevole incapacità di punirne gli esecutori), distruzione paesaggistica e urbanistica dell’Italia, responsabilità della degradazione antropologica degli italiani (responsabilità, questa, aggravata dalla sua totale inconsapevolezza), responsabilità della condizione, come suol dirsi, paurosa, delle scuole, degli ospedali e di ogni opera pubblica primaria, responsabilità dell’abbandono «selvaggio» delle campagne, responsabilità dell‘esplosione «selvaggia» della cultura di massa e dei mass media, responsabilità della stupidità delittuosa della televisione, responsabilità del decadimento della Chiesa, e infine, oltre a tutto il resto, magari, distribuzione borbonica di cariche pubbliche ad adulatori. (Pier Paolo Pasolini - Lettere luterane)
Ecco le ragioni dello sfacelo dell’Italia secondo Pasolini, scritte sulle colonne del "Corriere della Sera" nell’estate del ’75, puntualmente e ossessivamente ripetute, sì da ritenersi un vero e proprio atto d’accusa contro la classe politica di allora, nella fattispecie la Democrazia Cristiana, che si stava preparando ad un altro vuoto di potere, consapevole che l’attuale, frutto del binomio Chiesa DC, si era totalmente esaurito, soppiantato da quello Economico, diverso, perverso ma pur sempre vuoto e dalle infinite configurazioni possibili.
Il suo Processo, non soltanto metaforico, ispirato a quello kafkiano, coinvolgeva i maggiori notabili della DC da Andreotti a Fanfani, Zaccagnini Gava...morti viventi, colpevoli di quel vuoto che avvalendosi del boom economico scoppiato dentro e fuori i confini, sull’onda di spinte transnazionali, andavano imponendo un nuovo regime, quello del Potere consumistico, aprendo il varco a quel processo di corruzione delle coscienze con l’imposizione di modelli e stili estranei alla nostra cultura. Non sapeva allora Pasolini che il Processo da lui ideato e vagheggiato si sarebbe realizzato veramente da lì a poco, tra terrorismo e stragi ma non sapeva neppure che forse gli italiani non erano così preoccupati e né consapevoli di quello che realmente era avvenuto prima e avveniva ora, presi dal godimento a "piene mani" di quello che ritenevano il "vero miracolo", quella cultura massmediologica che attraverso le televisioni commerciali si sarebbe consolidata proprio grazie al Processo, imponendo un altro tipo di dittatura consumistica ancora più strisciante, subdola, imbonitrice targata Berlusconi, che avrebbe sedotto l’Italia per oltre vent’anni.
A quella dichiarazione d’intenti fece seguire il 14 settembre una lettera alla "Stampa" rispondendo a quel e poi? provocatorio con una chiarificazione particolareggiata dei capi d’accusa che la roboante anafora I cittadini italiani vogliono consapevolmente sapere li contiene tutti, a partire dall’uso e lo sperpero fatto con i soldi dei cittadini ai disastri edilizi, urbanistici, paesaggistici, ecologici, dalla divisione sempre più netta tra nord e sud all’opera di diseducazione perpetrata attraverso la televisione e la scuola...
Insiste sulla responsabilità di chi si è assunto l’onere di traghettare l’Italia verso il benessere conducendola alla distruttività per alimentare la propria cupidigia e sete di potere e questa responsabilità l’individua principalmente nella classe dirigente al comando, la DC che non ha saputo e voluto individuare la nuova cultura della produzione emergente ma conclude che se tutto è fermo e immobile come in un "cimitero" c’è una ragione ancora più inquietante, la paura dell’altro Potere, quello indiscusso della Magistratura e del suo colore politico.
I vari intellettuali dell’epoca, soprattutto quelli di sinistra stentarono a capire la sua posizione in merito a fascismo e antifascismo tanto da essere sfiorati più volte dal dubbio che lo scrittore in realtà fosse vicino alla destra. Emblematico l’episodio di "Villa Giulia" da cui scaturì una poesia che non piacque alla sinistra disorientata dalla difesa di Pasolini in favore dei poliziotti invece che degli studenti, in netta contraddizione con quello che fu il suo credo di sempre.
Gli scritti diretti a Calvino, Petruccioli, Zanetti, Branca che aveva invitato ad intervenire su quanto andava dicendo rimasero inascoltati ma in una lettera a Calvino non nascose il rammarico per il suo "silenzio" o il dire senza spiegare, cosa che per lui era inammissibile dato il bisogno di "gettare il suo corpo nella lotta"
Perciò io vorrei soltanto vivere
pur essendo poeta
perché la vita si esprime anche solo con se' stessa.
Vorrei esprimermi con gli esempi.
Gettare il mio corpo nella lotta.
Ma se le azioni della vita sono espressive,
anche l'espressione è azione.
La sua visione sulla matrice delinquenziale di stampo borghese o popolare, senza distinzioni e uguale a Milano, come a Roma e in qualsiasi altra città del suolo italico lo allontanavano dalle deduzioni opposte di Calvino, interessato alla criminalità di stampo borghese, spunto fornitogli dal delitto del Circeo, come fosse un fenomeno raro da analizzare slegato dalla radice del male che Pasolini individuava nel genocidio del passato, nella nuova cultura della produzione che in mano alle categorie privilegiate borghesi diventava un modello da spalmare e imporre con la forza della superiorità economica, una colonizzazione a tutti gli effetti.
Si sentiva solo Pasolini, disperatamente solo quando doveva replicare non soltanto ai suoi nemici e detrattori ma a quelli che riteneva suoi simili, che spesso cercarono di metterlo in difficoltà per le sue apparenti contraddizioni ma le sue erano le contraddizioni dell’uomo libero, persino disarmante nel suo essere fuori da ogni recinto. La morte del fratello partigiano per mano dei suoi stessi compagni avrebbe dovuto allontanarlo dal PC invece lo rinsaldò nella fede comunista ma aveva una vera e propria idiosincrasia per tutto ciò che riguardava l’ordine precostituito, il potere fintamente democratico e tollerante di una DC ipocrita e servile. A differenza dei suoi amici intellettuali, Bocca, Moravia, Calvino per i quali il fascismo si era trasformato nei tanti volti del terrorismo nero, Pasolini seguiva una sua personalissima pista ed era sempre ed unicamente quella della DC perché secondo lui il vero fascismo risiedeva nel Palazzo e vestiva i panni di una deflagrante strisciante "modernizzazione" una vera e propria dittatura di pensiero che spazzò via l’anima del popolo per trasformarlo in una massa omologata, dando il via a quella che lui definì mutazione antropologica.
Pasolini era consapevole del fatto che lo sgomento e l’orrore che provava nei confronti del presente era estremo, eccessivo, si sentiva condannato all’incomprensione, ed era anche consapevole che la realtà che lui vedeva e interpretava era diversa da quella di qualsiasi sociologo avveduto. Nessuno si era accorto che le "lucciole erano scomparse" una potente metafora per affermare l’immane tragedia che aveva trasformato gli esseri umani in macchine che sbattevano impazzite l’una contro l’altra. Non era quindi nostalgia del "passato" come gli veniva imputato da più parti ma visione di una cultura possibile, non da recuperare. Lo sfrenato edonismo che stava caratterizzando e livellando la società, l’aveva in realtà imbarbarita e impoverita instaurando la morte del desiderio.
" [...] Altre mode, altri idoli,
la massa, non il popolo, la massa
decisa a farsi corrompere
al mondo ora si affaccia,
e lo trasforma, a ogni schermo, a ogni video
si abbevera, orda pura che irrompe
con pura avidità, informe
desiderio di partecipare alla festa.
E s'assesta là dove il Nuovo Capitale vuole.
Muta il il senso delle parole:
chi finora ha parlato, con speranza, resta
indietro, invecchiato.
Non serve, per ringiovanire, questo
offeso angosciarsi, questo disperato
arrendersi! Chi non parla è dimenticato" [...]
Da "Il Glicine" - La religione del mio tempo - 1961
Ma Perchè il Processo?
Qual era secondo Pasolini la principale colpa della DC?
[...]che senso ha pretendere o sperare qualcosa da parte dei democristiani? O addirittura chiedere loro qualcosa?
Non si può non solo governare, ma nemmeno amministrare senza dei principi. E il partito democristiano non ha mai avuto dei principi. Li ha identificati, e brutalmente, con quelli morali e religiosi della Chiesa in grazia della quale deteneva il potere. Una massa ignorante (e lo dico col più grande amore per questa massa) e una oligarchia di volgari demagoghi dalla fame insaziabile, non possono costituire un partito con un’anima. Ciò l’abbiamo sempre saputo, e l’abbiamo anche sempre detto: ma non l’abbiamo saputo e detto fino in fondo: per una ragione molto semplice: perché la Chiesa cattolica era una realtà, e la maggioranza degli italiani erano cattolici. […]
Dalle sue parole si evince che le responsabilità sono più morali che penali perché il Processo renderebbe chiaro – folgorante, definitivo – che governare e amministrare bene non significa più governare e amministrare bene in relazione al vecchio potere, bensì in relazione al nuovo potere.
Per esempio: i beni superflui in quantità enorme, ecco qualcosa di assolutamente nuovo rispetto a tutta la storia italiana, fatta di puro pane e miseria. Aver governato male significa dunque non aver saputo far sì che i beni superflui fossero un fatto (come oggettivamente dovrebbe essere) positivo: ma che, al contrario, fossero un fatto corruttore, di selvaggia distruzione di valori, di deterioramento antropologico, ecologico, civile.
Altro esempio: la democratizzazione derivante dal consumo estremamente esteso dei beni (compresi, perché no?, i beni superflui), ecco un’altra grande novità. Ebbene, l’aver governato male significa non aver fatto sì che tale democratizzazione fosse reale, viva: ma che, al contrario, fosse un orribile appiattimento o un decentramento puramente enfatico (gestito in genere da illusi progressisti.
Nasce tutto da un grande equivoco, l’aver confuso, o meglio voluto confondere deliberatamente il termine progresso con sviluppo, cercando di fonderli insieme per dare ad entrambi la stessa legittimità e valore pur essendo due fenomeni diversi che solo apparentemente coincidono e pur essendo usati indifferentemente, quali fossero sinonimi, appartengono a scelte politiche diametralmente opposte, da lui contestualizzate con acume e ragionamenti ineccepibili in "Scritti corsari" in cui sviscera tutte le contraddizioni, le differenze, gli effetti e le conseguenze di uno sviluppo selvaggio a scapito del progresso che il neocapitalismo ha ridotto a mera nozione ideale svuotandolo di significato.
Un fenomeno allarmante mai come oggi evidente osservando l’enorme massa globalizzata che servendosi di strumenti e mezzi altamente tecnologizzati va ad incrementare lo sviluppo senza che vi sia alcuna progressione culturale, sociale ed economica.
Autore:
Loretta Fusco
Fonti:
Scritti Corsari – P. Pasolini
Lettere Luterane – P.P.Pasolini
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