Vincenzo Cerami e le nuove
indagini sull’omicidio ... Vincenzo Cerami. «Non vorrei parlare dell’inchiesta
né di quello che riguarda la sua morte. È passato tanto tempo, è vero. Ma mi fa
male, mi fa soffrire. Per me, lui, è stato come un padre». ...
«Non ne parlo, mi fa
male».
Sono passati trentacinque anni dall’omicidio di Pier Paolo Pasolini,
all’Idroscalo di Ostia: eppure è proprio così che dice Vincenzo Cerami.
«Non
vorrei parlare dell’inchiesta né di quello che riguarda la sua morte. È passato
tanto tempo, è vero. Ma mi fa male, mi fa soffrire. Per me, lui, è stato come un
padre».
Poi, invece, ne parla. Ma la reticenza iniziale è comunque
comprensibile: «Fu mio insegnante di Lettere a Ciampino, dal 1950 al 1953,
lavorai con lui a Uccellacci e Uccellini e in altre occasioni feci il suo aiuto
regista, sposai sua cugina. E comunque, in tutto, lui fu per me fondamentale».
Scrittore, sceneggiatore, giornalista, politico, autore di testi teatrali, di
canzoni: la vita di Cerami è colma di successi. Impossibili da elencare. Il
primo libro: Un borghese piccolo piccolo. La sceneggiatura de La vita è bella.
Insomma: il talento, ma senza dubbio - come sempre - anche maestri eccellenti.
Pasolini, certo.
Eppure, nonostante la riconoscenza e l’affetto, Cerami
non si aggrappa alle novità. Snobba gli sviluppi dell’inchiesta. Soprattutto i
nuovi esami scientifici che secondo i giornali potrebbero offrire una nuova
chiave del delitto:
«Non porteranno a niente, e cosa dovrebbero dire? Che non è
stato ucciso da una sola persona? Quello lo sappiamo tutti (Pino Pelosi unico
condannato, 9 anni, ndr). A queste novità credono solo i giornali, per me è
tutto assurdo. L’unica verità è stata scritta con la prima sentenza, quella
contro ignoti. La seconda, quella che ha condannato Pelosi, è roba politica:
bisognava raccontare che Pasolini era un omosessuale morto in un incidente di
percorso...».
Solo che adesso, Cerami, analizzeranno gli abiti indossati da
Pasolini la notte dell’omicidio, e tutti i reperti archiviati 35 anni fa:
«E al
massimo scopriranno che non c’era solo Pelosi, quella notte. Bella scoperta...».
E però, Cerami, forse con l’esame del dna si potrebbe arrivare non solo
a capire che quella notte a uccidere Pasolini non fu solo Pelosi, ma anche a
stabilire chi era con lui.
«Solo che se il dna è di qualcuno che, dico
per dire, era dei servizi segreti, ecco che allora non si risalirà al
responsabile. Per come la vedo io, al massimo si risalirà a qualche coatto
adesso novantenne. Sinceramente, vorrei che si scoprisse altro. Vorrei che
venisse alla luce perché l’hanno ucciso. E non penso sia questa la strada. Per
me la prima sentenza era inequivocabile, la seconda, come ho già detto, è
tremenda. Invece, credo che siano altre le cose delle quali si dovrebbe
parlare».
Quali?
«L’ultimo capitolo di Petrolio, prima apparso poi scomparso...
perché non se ne parla più?».
Marcello Dell’Utri ha detto che lo avrebbe
presentato a una mostra, se l’uomo che glielo aveva offerto non fosse scomparso.
«Sì, certo... ma comunque, anche lo stesso Pelosi ha ammesso che non era
solo. Ma a quel punto sarebbe stato un omicidio premeditato, e allora non è
stato preso sul serio. La seconda sentenza, per come la vedo io, ha chiuso gli
armadi. E adesso, i nuovi esami: per me, una buffonata. Si può risalire agli
esecutori materiali? Sì, un novantenne di periferia...».
Cerami, è
chiaro: lei non crede ai nuovi sviluppi.
«Sinceramente, dopo tanti anni,
preferisco ricordare Pasolini per altro. Lui è stato l’unico che ha saputo
raccontare l’Italia. Non l’hanno fatto né gli storici, né i sociologi né, ancora
meno, i politici. Ci voleva un poeta. Uno che, come lui, oggi con un articolo,
domani con una tragedia, il terzo giorno con una poesia, sapesse mettere in
scena ciò che c’era eppure non si vedeva. Non a caso fu il primo a parlare di
globalizzazione, anche se lui la chiamava omologazione. Ma, insomma, fu l’unico
in grado di raccontare un’epoca».
Se dovesse scegliere una cosa, tra
quelle che le ha insegnato?
«Posso dire "tutto"? Vede, della sua morte e
dell’inchiesta non ho mai parlato, finora, perché per me è un fatto personale. E
poi, ripeto, non credo che si arriverà a scoprire niente che, personalmente, non
so già: non fu solo Pelosi a ucciderlo. Ma comunque, mettiamola così: voglio
vedere i fatti, sono stanco di certa morbosità».
Per lui, Pier Paolo
Pasolini è stato «come un padre». Per questo, 35 anni dopo l’omicidio, «queste
cose mi fanno stare male, ancora oggi».
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