"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Oltre la dialettica della sovranità coloniale: Pasolini e l’Africa
di Rossana de Gennaro
1. Dare voce
all'inespresso
Voi discepoli del
progresso / di tutto ciò che progredisce / comunisti, socialisti, democratici,
repubblicani / guardate il quadro di oggi: non è bello a vedersi. / Intanto i
barattoli di vernice traboccano / c'è nuova tela per soddisfare le richieste. / Voi direte /
“Ma non sono affari miei” / oppure modellerete questa parte / in modo che il suo ritratto si adatti / al salone
accecante di sole / dell'America Ideale?
I versi del poeta
afro-americano Frank Marshall Davis sono citati da Pasolini nella prefazione a
Letteratura negra, scritta per un'antologia di poeti africani (1961,
Editori Riuniti). Alludendo alla necessità che il processo di liberazione
dell'Africa non venga filtrato dai modelli politici e ideologici dell'Occidente,
traviato dal mito del progresso senza sviluppo, gli appaiono un esempio
di Resistenza negra, un appello
progressista a considerare l'urgenza storica dei problemi delle masse dei
sottoproletari di metà del mondo, quella
“metà del mondo che non produce, ma consuma, che non fa la storia, ma la
subisce, ma che intanto è alla testa della comune lotta, in quanto resistente e
armata”.
Una fortissima carica utopica
pervade il pensiero di Pasolini sul “Terzo Mondo”: è possibile scoprirne
l'attualità seguendone le tracce
disseminate in numerosi scritti, saggi, poesie, sceneggiature per il cinema e
per il teatro, che testimoniano il suo interesse costante per questo tema e
dalle quali è arduo tuttavia ricavare un'elaborazione organica, esente da
contraddizioni. La sua riflessione, sviluppatasi tra gli anni ‘60 e ‘70,
stimolata da numerosi viaggi in Asia, Africa, Paesi Arabi, molti dei quali
precedono e accompagnano le riprese dei suoi film, contiene alcune intuizioni
rispetto alla fase attuale, caratterizzata dalla rinascita di atteggiamenti
neoimperialisti nella politica estera di alcuni paesi dell'Occidente
capitalistico, leggibili nella pretesa di esportare i valori della libertà,
eguaglianza e democrazia, soprattutto ma non solo tramite la strategia della
“guerra preventiva” di Bush al terrorismo in Iraq. Alcuni spunti di riflessione
sono forniti dagli scritti sull'Africa, risalenti al 1965-66, in particolare da
Appunti per un'Orestiade africana, inizialmente pensato come un episodio
di un'opera più vasta, Appunti per un poema sul Terzo mondo, che Pasolini
non realizzò mai.
Era già del 1961 la sua idea
di un film di ambientazione africana. Seguì il viaggio in Kenya e
successivamente la sceneggiatura de Il Padre selvaggio. Nel corso del
viaggio in Palestina per i sopralluoghi
in Terrasanta e in Giordania nel 1963, si andava creando nel suo pensiero
l'originale interazione fra simbologia del Cristo, Terzo Mondo e proletariato.
Contemporaneamente nascevano La Ricotta e Mamma
Roma.
Fu pubblicata in quegli anni
l'opera di Fanon, I dannati della terra, dove la “naturale” distinzione
oriente/occidente (e insieme il concetto che l'identità coloniale è regolata in
primo luogo dalla logica manichea dell'esclusione) è posta in discussione e
convertita nella valorizzazione dell'alterità dei popoli del Terzo Mondo, intesa
come leva di riscatto e liberazione.
Nasce da queste premesse
l'originalità della posizione di Pasolini, che in particolare nello scritto I
diseredati sono il nostro Terzo Mondo1 chiarisce
di volere assimilare nella medesima condizione di “diseredati della terra” i
marocchini e gli algerini che lottavano per la libertà e i contadini veneti e
toscani, il mondo preistorico dell'Africa e la realtà rurale, chiusa in un
arcaismo immobile.
Se nel poemetto Le Ceneri
di Gramsci del 1954 il popolo assumeva per Pasolini una valenza di sincerità quasi religiosa2, nella raccolta di poemetti Poesie in forma di
rosa, uscita nel 1964, la riflessione del poeta sulla società segnata dal
neocapitalismo, visto come la Nuova Preistoria, si orienta verso la
contrapposizione del “mito popolare” al “patto industriale”, corruttore della
vecchia Europa, a partire dalla rappresentazione di un'Africa come mondo di
forme primigenie, corrispondenti ad uno stato di innocenza infantile ed
aurorale, e contro la mostruosa “Dopostoria” neocapitalistica: in particolare
nella poesia Guinea, metonimia per indicare generalmente il Sud del
mondo3. E' nella poesia Profezia, pubblicata
dapprima in Poesie in forma di rosa, poi nel volume del 1965, Alì
dagli occhi azzurri, più tardi destinata
ad essere rinnegata4, che il messaggio della
liberazione cristiana e comunista si intrecciano, nella comune speranza della
libertà dei popoli.
Con tono profetico e
messianico Pasolini traduce in immagini poetiche la speranza della rivoluzione:
il personaggio chiave della poesia, Alì dagli Occhi Azzurri5, rappresenta le masse dei diseredati che irrompono
nel nostro occidente, dal migrante calabrese all'immigrato marocchino. Qui
sembrava ricercare una condizione di affinità fra il proprio status di
intellettuale borghese, traditore della propria classe ed eretico rispetto alla
chiesa cattolica, e le masse dei diseredati, gli Ebrei, i Neri, ogni “umanità
bandita”.
In molti altri testi poetici
Pasolini dimostra di volere tradurre in immagini l'irrapresentabile, la
pietra dello scandalo: così aveva chiamato, nello scritto I diseredati
sono il nostro Terzo Mondo, il
“residuo”del mondo industrializzato, l'umanità subalterna ed esclusa
dalla corsa verso il benessere e la ricchezza.
Così nascono le sezioni Israele e L'Alba meridionale che
contengono “appunti in versi” e testi scritti durante il suo viaggio in
Palestina e in Italia meridionale nell'estate del 1963, prima di girare Il
Vangelo secondo Matteo, fino a testi come L'uomo di Bandung, E
l'Africa?, Canto di un bianco errante dell'Africa, nonché la poesia
pubblicata in appendice a Poesie in forma di rosa, scritta per spiegare
il suo dissenso, dopo la guerra dei sei giorni all'orientamento dei comunisti che appoggiavano la “folle
politica” di Nasser.
Pasolini esprime, in queste
poesie, la convinzione che questo mondo di forme aurorali contiene qualcosa, il
rapporto plurilinguistico e mistico con le cose, che precede e fonda la cultura.
La poesia è discorso sull'“inespresso esistente” cioè sul segreto mai rivelabile
della realtà, sul suo mistero, prestandosi a fare parlare la lingua muta delle
cose che precede ogni traduzione e codificazione.
2. Un film sul Terzo
mondo
Annuncia l'idea di scrivere
un film sul Terzo Mondo nel corso di un'intervista, realizzata per la rivista di
studi cinematografici Inquadrature dal direttore Lino Peroni nel 1968,
nella quale Pasolini sostiene, a proposito dei film realizzati negli ultimi
anni, che la sua scelta di passare dalla letteratura al cinema, esprime
l'aspirazione a rappresentare in modo più efficace il carattere mitico e sacrale
dei personaggi, siano appartenenti al mondo del proletariato o a quello
borghese. La scelta di rinunciare al piano-sequenza e di ricorrere ad attori non
professionisti gli appare in sintonia col desiderio di esprimere
quell'autenticità che attraverso la parola scritta evapora e si
dissolve.
Sua è l'intenzione di
allargare il soggetto già presentato ne Il padre selvaggio, facendo un
film sul Terzo mondo: “Il prossimo film che farò si intitolerà Appunti
per un poema sul Terzo Mondo e comprenderà quattro o cinque episodi e uno di
questi si svolgerà in Africa e sarà
Il padre selvaggio; però non ne sono certo. Può darsi che anziché fare Il
padre selvaggio faccia un altro film che mi è venuto in mente, sempre però su
questa linea, cioè un'Orestiade ambientata in Africa. Ricreerei delle
analogie, per quanto arbitrarie e poetiche, e in parte irrazionali, tra il mondo
arcaico greco, in cui appare Atena che dà, attraverso Oreste, le prime
istituzioni democratiche, e L'Africa moderna. Quindi Oreste sarebbe un giovane
negro, mettiamo Cassius Clay, (pensavo a
lui come protagonista), che ripete la tragedia di Oreste. Comunque sia che si
tratti di un film su Il padre selvaggio che sull'Orestiade, in
ogni caso non sarà fatto come un vero e proprio film, ma come un film da
farsi”6.
Il film doveva consistere in
cinque episodi girati in India, Africa, Paesi Arabi, America del Sud e ghetti
del Nordamerica, episodi non nettamente suddivisi, senza una netta soluzione di
continuità. In una nota introduttiva ad Appunti per un poema sul terzo mondo
così scriveva: “non mancheranno altri ambienti tra questi cinque
fondamentali, per esempio l'Italia del Sud, o le zone minerarie di grandi paesi
nordici con le baracche degli immigrati italiani, spagnoli, arabi, ecc”7.
Ognuno di questi episodi
avrebbe affrontato un problema diverso; in particolare l'episodio girato in
Africa avrebbe trattato il rapporto tra la cultura “bianca, occidentale,
razionalistica”, e la cultura “di colore” cioè arcaica, popolare, preindustriale
e preborghese (con tutti i conflitti stridenti che ne conseguono.)
Pasolini, rispondendo al
critico Salinari che gli aveva attribuito un pensiero “terzomondista”, e di
“voler considerare le zone sottosviluppate i centri motori della rivoluzione
mondiale”, aveva già chiarito che piuttosto il suo era il tentativo di esprimere
poeticamente l'abolizione delle barriere tra gli sfruttati di tutto il mondo, e
che questo significava, dopo la crisi dell'umanesimo borghese, rinunciare ad una
“narrazione” del Terzo Mondo da parte di un soggetto intellettuale borghese,
fatalmente intrappolato nei dualismi dell'immaginario occidentale, e fare
parlare le cose, gli uomini, le situazioni attraverso la forma del frammento, del documento, della
testimonianza. Nella nota introduttiva agli Appunti dichiarava, infatti,
che avrebbe seguito la formula di “un film su un film da farsi”, dove
l'immensa varietà del materiale pratico, ideologico, sociologico e politico,
avrebbe impedito la manipolazione tipica di un film “normale” e sarebbe
stata assemblata secondo un sentimento “violentemente e magari anche
velleitariamente rivoluzionario”8.
Anche se il progetto
annunciato nella nota si rivelò irrealizzabile per ostacoli inerenti alla
produzione, e rimasero solo ampi spezzoni di pellicola, tuttavia Pasolini girò
per la televisione italiana, in Kenya e Tanzania, nel 1969, il documentario
Appunti per un'Orestiade Africana, rappresentando un'Africa mitica e
preistorica, in cui si proiettano le immagini della modernità neocapitalistica,
con i processi di omologazione e sradicamento indotti dalla crescita selvaggia.
Come era avvenuto per precedenti documentari prodotti per la RAI, il film segue
un itinerario scandito alla ricerca dei volti e dei luoghi, in questo caso per
le figure di Agamennone, Oreste, Clitennestra, Cassandra e Pilade, tra le
popolazioni dell'Uganda e della Tanzania. La voce fuori campo del regista si
sofferma a commentare le scelte possibili di visi e corpi per i personaggi del
suo film; le scene della umile vita quotidiana, le riprese delle poverissime
capanne dove vive la gente, i mercati affollati, la savana, sono accostati ad
immagini dell'Africa moderna, una fabbrica nelle vicinanze di Daar es Salaam,
una scuola moderna “Livingstone” nei pressi di Kigoma. Il poeta poi confronta la
sua visione dell'Africa con quella di alcuni studenti africani dell'Università
di Roma, cui mostra alcune sequenze.
È l'uso del racconto mitico
come archetipo dell'immaginario: Pasolini trasferisce il dramma di Eschilo
nell'Africa di oggi per raccontarci la vicenda di Oreste, tornato in patria per
vendicare la morte del padre Agamennone ed uccidere i traditori, Egisto e
Clitennestra, e perseguitato dalle Erinni, le dee dell'istinto animale dell'uomo
e della vendetta. La vicenda culmina nel momento in cui gli istinti cruenti e
preistorici vengono trasformati in leggi e regole: le Erinni sono trasformate da
Atena in Eumenidi, e costrette a dare vita alla prima forma di democrazia,
quella del Tribunale.
Nella Nota del
traduttore del 1960 con la quale, dieci anni prima, accompagnava la sua
traduzione della tragedia di Eschilo, Pasolini esprimeva la lettura politica
della trilogia di Eschilo e individuava come nucleo essenziale dell'Orestiade
il passaggio da una società primitiva, dominata da sentimenti oscuri ed
irrazionali, ad una nuova comunità statale democratica, guidata dalla ragione e
fondata su istituzioni umane: il tribunale, la prima assemblea democratica della
storia, il suffragio. Culmine di questo processo appare a Pasolini la
trasformazione delle Erinni in Eumenidi, che induce a riflettere sulla necessità
di non far scomparire del tutto dalla nuova società le radici dell'antico mondo,
per quanto possano rappresentare un'immagine paurosa e destabilizzante.
“Nessuna vicenda, nessuna
morte, nessuna angoscia delle tragedie dà una commozione più profonda e assoluta
di questa pagina. Le maledizioni si trasformano in benedizioni. L'incertezza
esistenziale della società primitiva permane come categoria dell'angoscia
esistenziale o della fantasia della società più evoluta”9.
Nella figura di Oreste si
riflette il ruolo della élite dirigente africana, destinata a
confrontarsi con la cultura dei popoli colonizzatori per mutuarne gli strumenti
concettuali atti a concepire la propria stessa liberazione dal giogo della
dominazione coloniale. Se la funzione di Oreste è quella di confrontarsi con le
forze irrazionali e primitive che governano la sua gente per convogliarle verso
un'espressione razionale (la razionalità organizzativa che caratterizza la
società civilizzata), egli può rappresentare l'umanità nera alla ricerca della
propria liberazione che passa fatalmente attraverso la sconfitta della propria
primordialità. Oreste rappresenta quella élite africana formatasi nelle
università occidentali della Francia e dell'Inghilterra che torna in patria per
fare la rivoluzione, “e che può salvare l'identità del proprio popolo solo
attraverso l'adozione di quegli strumenti politici che appartengono, in tutto e
per tutto, agli usurpatori di cui ci si è liberati.”10.
L'emancipazione di questi
popoli, quando è guidata dai modelli del pensiero politico occidentale, rischia
di travolgere le loro specificità e di procurarne l'omologazione. Quando
Pasolini chiede agli studenti africani se la trasposizione africana della
tragedia eschilea sia convincente e quali siano le loro impressioni a proposito
di Oreste, l'opinione degli studenti è che l'Africa è un'invenzione
dell'Occidente, proiezione dell'immaginario europeo, e che il più grande limite
delle lotte per l'emancipazione coloniale è il dover fare ricorso alla
strumentazione teorico-concettuale della cultura occidentale; la liberazione,
infine, è il risultato del passaggio di questi paesi dalla soggezione coloniale
ad un nazionalismo assogettato al dominio economico e politico
dell'Occidente.
Pasolini intuisce che lo
stato nazionale e le strutture democratiche nate dai processi di liberazione
sono il “regalo avvelenato della dialettica della sovranità coloniale”, e
che è fittizio il processo di liberazione che passa attraverso l'adeguamento ai
modelli della democrazia occidentale, se poi gli stati nati dalla
decolonizzazione sono parte integrante di un sistema che omologa ogni diversità
economica, politica e culturale.
3. Decolonizzare
l'immaginario
Il collegamento tra il testo
di Eschilo, il mondo arcaico del mito e l'Africa degli anni sessanta, impegnata
nel faticoso processo di fuoriuscita dal periodo coloniale, viene sviluppato nel
film tramite fulminanti analogie: la guerra di Troia può essere rappresentata
dal sanguinoso conflitto del Biafra; lo stravolgimento dei riti ancestrali a
contatto col consumismo occidentale dalla danza prezzolata delle donne della
tribù davanti ai turisti; la “modernizzazione senza sviluppo”, che ha provocato
forme di omologazione culturale a modelli di benessere piccolo borghese ed ha
consegnato i paesi dell'Africa a nuove èlites dirigenti borghesi e
asservite al dominio politico di potenze capitalistiche, è descritta proiettando
le immagini del presente sul mondo arcaico
mentre la voce fuori campo di Pasolini spiega le ragioni e il metodo
della sua ricerca.
Ritraendo gli aspetti
“ibridi” della società africana, la contaminazione dell'antico e del moderno
nelle scene di vita quotidiana a cavallo tra l'arcaismo locale e la
contaminazione consumistica occidentale, Pasolini traduce metaforicamente in
linguaggio poetico la tragedia reale dell'Africa, i cui territori, coinvolti
nella dialettica della formazione della sovranità nazionale, unica strada che
nell'età del colonialismo sembrava condurre alla libertà e
all'autodeterminazione, sono passati alle istituzioni di una democrazia formale,
in cui sono sussunti alla potenza economica dell'Impero. Oggi Hardt e
Negri sostengono che la sovranità nata dai processi di liberazione nazionale è
ambigua, perché è servita ad istituire strutture di dominio interno egualmente
dure, e che lo stato postcoloniale è una componente essenziale, e ad un tempo
subordinata, dell'organizzazione globale del mercato capitalistico11. La liberazione e la sovranità nazionale si
rivelano impotenti nei confronti delle strutture e delle gerarchie del
capitalismo globale, diventando elementi del tutto funzionali alla sua
organizzazione e alla sua azione; la forma democratica che ne risulta, fondata
sulla rappresentanza, diviene strumento di nuove forme di potere su scala
globale.
La fine del colonialismo è un
passaggio importante dal paradigma della sovranità statuale a quello della
sovranità imperiale. Pasolini aveva
intravisto nei processi di trasformazione che stavano investendo il terzo mondo
negli anni ‘60 la speranza di realizzare l'utopia della rivoluzione - la
Resistenza negra - che non intendeva come sradicamento dal passato e dalle forme
più autentiche di vita ma come processo in cui il passato poteva essere
redento
Non resta che far parlare le
immagini documento e rinunciare ad adoperare il filtro della coscienza
intellettuale: una scelta estetica e politica. L'arte è la possibilità di
mostrare la compresenza di opposti inconciliabili, e di raffigurare qualcosa che
di quel mondo atavico e preistorico non deve essere sacrificato nella dialettica
della liberazione. Dare espressione all'inespresso, a ciò che non ha voce,
secondo la vocazione di Pasolini, significa già realizzare un'azione che è
rivoluzionaria.
La raffigurazione delle
Erinni è traccia di una preistoria rimossa, ombra della civiltà. Pasolini
rinuncia ad ogni rappresentazione antropomorfica delle divinità selvagge e le
raffigura come un vento impetuoso che scuote le piante della savana. La sua
voce, fuori campo, dice:
“Restano altri personaggi
da ricercare: le Furie. Ma le Furie sono irrapresentabili sotto l'aspetto umano
e quindi deciderei di rappresentarle sotto un aspetto non umano. Questi alberi,
per esempio, perduti nel silenzio della foresta, mostruosi, in qualche modo, e
terribili. La terribilità dell'Africa è la sua solitudine, le forme mostruose
che vi può assumere la natura, i silenzi profondi e paurosi. L'irrazionalità è
animale. Le Furie sono le dee del momento animale dell'uomo”12.
Il poeta, che in un primo
momento aveva pensato di rappresentare le divinità innominabili ed orrifiche
della Grecia con elementi di forte impatto visivo, come vesti ed orridi tatuaggi
africani13, poi cambiò idea e, scegliendo di rappresentarle attraverso i tratti del
paesaggio sconvolto dal vento, arricchì la prospettiva con la quale interpretava
la vicenda delle genti africane di una nuova efficace opposizione binaria:
Furie/irrazionalità/Natura - Ragione/Città democratica. Oreste, ormai
compiuto l'assassinio della madre,
perseguitato dalla furia vendicatrice delle Erinni, s'allontana a piedi nel
paesaggio africano solcato da una lunga strada diritta, mentre gli alberi
sconvolti dal vento rappresentano “il canto ancestrale di terrore e di rimorso”
delle Furie.
In maniera sintonica rispetto
al testo di Eschilo, Pasolini si muove in una direzione che recupera importanti
elementi della mentalità arcaica greca in relazione alle azioni delle Erinni,
nei confronti degli omicidi: “il vagare solitario di Oreste trova
corrispondenza nell'antica concezione del vagabondaggio dell'assassino, che in
quanto contaminato dall'atto commesso non poteva restare nella sua città ma
doveva vagare a lungo in cerca di purificazione, restando esposto
all'aggressione da parte delle entità che tutelano i diritti del sangue”14. La rappresentazione scenica metaforizza lo
sradicamento dell'eroe, l'esposizione - nel faticoso processo di costruzione
identitaria legato alla definizione di norme e regole che rappresentino la
solare razionalità della civiltà - al perturbante ritorno delle origini in forma
irrazionale e distruttiva. La mediazione di Atena, che nella tragedia impone al
matricida di accettare le regole del Tribunale, offre l'intuizione che la
civiltà e la democrazia non possono edificarsi sulla rimozione e lo sradicamento
del passato ma devono consentire la difficile convivenza fra il nuovo e
l'antico.
Assai più complesso di quanto
possa rendere conto questa parziale lettura, il pensiero di Pasolini sul Terzo
Mondo fornisce dell'Africa non un concetto storico o sociologico ma una
rappresentazione mitologica e poetica.
L'Africa, passato preistorico, attende un riscatto teologico e messianico che
può emergere solo dalle macerie che la Storia dello sviluppo ha lasciato dietro
di sé. Con le immagini di questo documentario Pasolini vuole alludere ad un
originario rimosso della nostra civiltà e del nostro immaginario di uomini e
donne occidentali.
Oggi il Terzo Mondo, pur
molto cambiato, rappresenta ancora le Erinni della nostra immagine di progresso
e di razionalità. Il ritorno perturbante del rimosso è legato alla necessità dei
governi di porsi e di risolvere in
qualche modo i problemi creati dai flussi di migrazione diretti verso i paesi
dell'Occidente, di contenere la pressione esercitata dalle migliaia di uomini
che sulle “barche della speranza”
approdano alle nostre coste. Decolonizzare l'immaginario, per usare la felice
espressione di Latouche15, ripensare a quello che
intendiamo per sviluppo, benessere, processi democratici e di liberazione, è il
compito a cui ci richiama la insostenibilità, nel medio e lungo periodo, del
nostro modello di sviluppo, destinato probabilmente ad esaurire le risorse della
terra nell'arco dei prossimi cinquant'anni. Decolonizzare l'immaginario è
liberarsi dal “mito sviluppista”, dall'etnocentrismo che scambia per progresso
la distruzione delle differenze; è considerare la sua relazione con la creazione
di falsi bisogni, con i paradossi ecologici, con la guerra economica, con il
saccheggio senza limiti della natura che la occidentalizzazione del mondo e
l'omologazione planetaria hanno
contribuito a realizzare; è,
soprattutto, smascherare il “genocidio “ di tutte le culture differenti e la
nostra arrogante pretesa di rappresentare la misura di ogni
valore.
Le radici della democrazia
sono impiantate molto al di là dei riferimenti alle pratiche viste
consuetudinariamente come democratiche: la pratica di democrazia che si è
imposta nell'Occidente moderno è solo il risultato di un particolare processo
storico. Libertà e democrazia non sono concetti esclusivamente occidentali.
D'accordo con Amartya Sen16, non c'è ragione per
essere restii a fornire un sostegno globale alla lotta per la democrazia, ma è
necessario assumere il concetto nella
più ampia prospettiva di discussione pubblica e libera, attuato non
semplicemente in vista e attraverso le elezioni.
1 Nello scritto, comparso su “Paese Sera” nel 1966, lo scrittore sostiene che la volontà di marxismo di un intellettuale borghese può anche manifestarsi come volontà di vivere un'esperienza vitale diversa dalla propria e può esprimersi come “apertura verso un mondo socialmente non nostro che contraddice, contesta e rende caotico il mio: il mondo pre-borghese sopravvissuto, le strutture del Terzo mondo, etc”. (P. P. PASOLINI, I diseredati sono il nostro Terzo Mondo, in Saggi sulla politica e sulla società, Mondadori, Milano 1999, p. 828). In precedenza, durante un viaggio in Marocco, aveva invece osservato il processo di omologazione che aveva coinvolto le società africane. La società marocchina dipinta con rapide pennellate (dal mondo contadino arabo-arcaico alla burocrazia, dalla polizia all'esercito, al mondo del commercio), gli appare sorprendente perché costringe a rivedere il concetto che abbiamo del Terzo mondo, dove la continuità fra il vecchio stile colonialistico francese e il neocapitalismo western, in mano ai predoni, alleati a finanziatori stranieri, è il segnale della trasformazione violenta di una società sfigurata in cui i marocchini assimilano i sogni dell'immaginario piccolo borghese, magari accomunato con la fedeltà al Corano. (P. P. PASOLINI, Viaggio in Marocco, in “Vie Nuove”, 1965, Saggi sulla politica e sulla società, cit., p. 1056-1062). In altri scritti come Che fare del buon selvaggio? (Op. cit., p. 217-222), Pasolini legge il concetto di Terzo Mondo non in termini storici ma in senso archetipico fondando la somiglianza fra l'Africa e la Grecia antica nella comune appartenenza alle forme del pensiero selvaggio in cui sono prioritari l'esperienza religiosa e sacrale e lo scambio simbolico.
2 Cfr. A. ASOR ROSA, Scrittori e popolo. Il populismo nella letteratura italiana contemporanea, Einaudi, Torino 1965.
3 Nella poesia l'autore rappresenta l'opposizione tra l'Occidente che ha consumato alle radici il sogno illuministico del progresso, e la cultura dell'Africa, vista come terra dell'utopia e della redenzione: La Negritudine dico che sarà Ragione. Risalta l'assimilazione dell'Africa alla realtà contadina di Casarsa; la poverissima terra friulana è ancora recinto di una sacralità scomparsa, consumata dal “patto industriale”. (P. P. PASOLINI, Tutte le poesie, Mondadori, Milano 1999 cit, vol. I, p.1085).
5 Cfr. P. P. PASOLINI, Tutte le poesie, cit., vol. I, p.1285.
6 Cfr. P. P. PASOLINI, Intervista rilasciata a Lino Peroni, in Pasolini per il Cinema, Mondadori, Milano 1999, p. 2935.
7 Cfr. P. P. PASOLINI, Appunti per un poema sul Terzo Mondo, in Pasolini per il Cinema, Mondadori, Milano 1999, vol.II, p. 2679.
8 Ivi, p. 2681.
9 La Lettera del traduttore accompagnava la traduzione che Pasolini realizzò dell'Orestiade di Eschilo per le rappresentazioni classiche nel teatro greco di Siracusa nel 1960; la traduzione fu pubblicata da Einaudi nel 1960 insieme alla lettera. Ora in P. P. PASOLINI, Teatro, Mondadori, Milano 2001, pp. 1008-1009.
11 Cfr. M. HARDT e A. NEGRI, Impero, Rizzoli, Milano 2002.
12 P. P. PASOLINI, Appunti per un'Orestiade africana, in Pasolini per il Cinema, cit, vol. I, p.1183.
14 E. MEDDA, Rappresentare l'arcaico, in Il mito greco nell'opera di Pasolini, Forum editrice universitaria, Udine 2006.
16 Cfr. A. SEN, La Democrazia degli altri, Mondadori, Milano 2005.
Fonte:
http://digilander.libero.it/lepassionidisinistra/n_14/oltre.htm
@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare |
Curatore, Bruno Esposito
Grazie per aver visitato il mio blog
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