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venerdì 2 novembre 2012

Giallo Pasolini, L'opinione dell'avv. Nino Marazzita

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro





Giallo Pasolini, L'opinione dell'avv. Nino Marazzita

Il delitto dello scrittore, in linea puramente teorica, aveva due possibili mandanti politici: sia la destra che la sinistra. I magistrati non vollero approfondire

Comincerei ricordando l’omicidio di Pier Paolo Pasolini, che nel ’75 ha fatto discutere. Si sono mischiati vari aspetti, ma non si è mai capito se c’era un mistero, se era un giallo oppure solo un fatto di costume.

Come fatto di costume era un omicidio che faceva pensare a due possibili mandanti ideali, non nel senso criminale della parola.
Pasolini aveva un conto sempre aperto con la destra, nello stesso tempo aveva un conto aperto con la Democrazia Cristiana: sono famosi i suoi fondi sul Corriere della Sera in cui diceva che la Dc non era un partito ma un’associazione per delinquere e che bisognava intervenire. Nei suoi pezzi diceva tutto quello che pensava della Democrazia Cristiana e il ritornello ricorrente era "io so, ma non ho le prove".
In una chiave esclusivamente teorica, quel delitto aveva quindi due possibili mandanti, che potevano creare una situazione di impunità nei confronti di chiunque avesse intenzione di fargli del male. L’omicidio poteva essere l’atto più estremo, ma anche l’insulto, tentativi di aggressione che si erano realmente verificati. Soprattutto dalla parte della Dc e dell’estrema destra di quel tempo, c’era questa ghettizzazione - questo levare l’acqua dalla vasca come si fa con i pesci - per dare una specie di impunità all’aggressione.
Il processo è un vero e proprio giallo. Ho ricevuto dalla mamma, questo incarico, ero molto giovane e molti si stupirono perché aveva scelto me per questo incarico, allora un avvocato che andava molto di ‘moda’, ad esempio, era Adolfo Gatti (avvocato che spesso faceva processi per i cosiddetti intellettuali di sinitra e difendeva l’Espresso).
Per me fu una notevole prova, perché ricevevo continue pressioni da parte della intellighenzia italiana (parlo di registi, scrittori e giornalisti, pittori, per citare qualcuno, Moravia, Antonioni, e politici impegnati ovviamente a sinistra). Ricevevo sollecitazioni continue perché dovevo scoprire; dicevano che questo delitto doveva essere organizzato da qualcuno, non poteva essere un delitto di Pelosi. Secondo l’intellighenzia, secondo tutti questi nomi del cinema, della letteratura, del mondo politico, l’aggressione non poteva che essere stata dell’organizzazione di destra.
Io mi ritrovai in grande difficoltà, ma capii immediatamente che dovevo ignorare le pressioni che mi venivano fatte e restare su un piano processuale. Non fu una convinzione pilotata, ma una convinzione dettata dagli atti processuali.

Gli atti processuali davano una chiara indicazione della presenza di ignoti, di persone non identificate, quindi io feci questo processo sostenendo la colpevolezza di Pelosi perché era reo confesso, ma di omicidio colposo. Pelosi aveva confessato di aver investito Pasolini con la macchina, invece si è dimostrato che Pasolini era stato colpito più volte da diverse persone, era rimasto immobile ma non era morto, poi Pelosi e gli altri lo finirono passandogli con la macchina sopra.
Questa fu la mia tesi, supportata da un grande medico legale - che oggi non c’è più - Faustino Durante, secondo me il miglior medico legale che si potesse trovare in Italia, con grandi capacità professionali. Insieme riuscimmo a dimostrare tutti quegli elementi importanti che davano indicazioni sulla presenza di più ignoti. Sulla macchina si sono trovati oggetti che non erano di Pelosi né di Pasolini, impronte se ne sono trovate a bizzeffe; fu un’inchesta fatta male, soprattutto nei primi giorni, molto confusa e senza una strategia. Questo perché al tempo, il Tribunale dei Minori trattava solo piccoli casi di furtarelli che poi finivano con il perdono giudiziale; questo fu il primo caso in cui si è dovuto cimentare con un impegno investigativo gravoso e la cosa non funzionava. Chiesi immediatamente alla Procura generale di avocare l’inchiesta e questo fu subito fatto.
C’era una volontà politica nella Procura generale di Roma di non approfondire, pur disponendo allora di un magistrato di grande professionalità e di grande esperienza, lo dico con dati inconfutabili, documentati nella sentenza di primo grado.

Nella sentenza di primo grado, infatti, il presidente era Carlo Alfredo Moro (fratello di Aldo Moro) e giudici molto attenti che si convinsero gradualmente della presenza di altre persone. Io ebbi l’abilità di trasmettere in Tribunale quella graduale convinzione che mi ero fatto; quella gradualità fu una strategia vincente. Il Tribunale dei Minori di Roma stabilì che Pelosi aveva ucciso sicuramente Pier Paolo Pasolini, ma lo aveva fatto con persone rimaste sconosciute, quindi fu cambiata l’imputazione. L’imputazione originaria era solo contro Pelosi, nel dispositivo della sentenza Pelosi fu condannato per aver commesso il delitto unitamente ad altre persone.
Quindi il Tribunale espresse una certezza, che avrebbe dovuto dare luogo alla cosiddetta notitia criminis - cioè la notizia della commissione di questo reato riferito ad altre persone - e la prima cosa che doveva fare la Procura generale di Roma (che si occupava del caso su richiesta della mia avocatura) era continuare l’indagine, riprendendola dal filo della sentenza e sviluppandola. Invece impugnò la sentenza dicendo che non c’erano ignoti. Questo fu scandaloso perché fu fatto prima che il Tribunale dei Minorenni depositasse la sentenza. Avrebbero potuto farlo dopo, dicendo che non li convinceva, che non era motivata. Ciò dimostra che c’era una volontà politica di non approfondire.
Qual era, quindi, la paura? Che ci potessero essere mandanti tra l’estrema destra o, addirittura nel partito di maggioranza. Ovviamente parlo di mandanti morali, soprattutto per quanto riguarda la Dc che non era stata tenera con Pier Paolo Pasolini, così come non era stato tenero il Partito Comunista. La sinistra ha sempre espresso un giudizio morale negativo sulla omosessualità di Pier Paolo Pasolini.
Dopo la sua morte tutti sono diventati i padri politici o i figli politici di Pasolini, ma in realtà Pasolini non li aveva, il Partito Comunista lo aveva espulso dalle sue fila per un episodio di omossessualità. Era un uomo fuori margine, non era amato dalla Dc e dal Pci, non era amato sostanzialmente da nessuno. La Procura generale si rese interprete e contribuì a questo isolamento, perché le Procure sono sempre state sensibili a quello che era il desiderio dei partiti di maggioranza, che avevano poteri forti.
Poi ci fu la sentenza in Corte d’Appello che modificò l’atteggiamento di primo grado. La Corte d’Appello non se la sentì di smentire e di accogliere le richieste della Procura generale, ma si limitò a dire che la presenza di ignoti non era certa ma era altamente probabile. Quando Pelosi impugnò in Cassazione la sentenza di condanna, chiese che gli venisse riconosciuta la legittima difesa, poi chiese la provocazione, poi di aver agito in stato di incapacità di intendere e di volere. La Cassazione rispose no a tutte le richieste. La stampa dell’epoca riportò che la Cassazione metteva fine alla querelle sul delitto Pasolini e che non ci fu nessun complice, ma questa fu un’interpretazione arbitraria.
La stampa continuò ad occuparsi del processo, che fu riaperto due volte: fu fatto un fascicolo per la riapertura dell’indagine, ma l’indagine non fu mai svolta. Io ho fatto una sollecitazione perché arrivò una lettera, tra le tante, ad un giornale della sera, in cui si indicava un’automobile che aveva seguito la macchina di Pasolini, ci dava una targa di Catania, mancavano due numeri, e vari particolari come il colore dell’auto e altre indicazioni; nonostante questo non ci fu mai la volontà di andare a fondo.
Oggi questo tema non interessa più nessuno, l’opinione pubblica ha cominciato a interessarsi di nuovo a questo delitto quando Marco Tullio Giordana presentò al festival di Venezia il film "Pasolini, un delitto italiano". Questo film vinse un premio minore del festival, il premio della Presidenza del Senato. Dopo questo film chiesi la riapertura del caso perché la pellicola poteva riproporre degli elementi che il regista ha selezionato con accuratezza e che la Procura non aveva mai preso in considerazione. Fu aperto un fascicolo che poi fu chiuso.
Tutti si chiedono perché Pelosi si è accollato questo omicidio senza mai parlare. Intanto credo che Pelosi essendo minorenne, ha preso una pena massima che allora era di 9 anni, ridotta ad 8; andò in carcere perché uscendo commise altri delitti, ma non fece gli otto anni di carcere; se dietro di lui c’era una vera e propria organizzazione, avrà anche avuto paura di parlare. Poi divenne popolare, era un eroe per la parte più retrogada del Paese, per aver ucciso un omosessuale.
Questi sono gli elementi processuali; e quelli culturali?

Pier Paolo Pasolini manca perché era la coscienza critica dell’Italia, era l’intellettuale che aveva il coraggio delle sue idee; esprimeva le sue idee non solo quando andavano in sincronia col potere. Pier Paolo era uno che diceva la verità, quindi non era inseribile in nessuno schema, di maggioranza o di opposizione, era una voce libera. Un uomo di grande intelligenza, uno dei pochi che esprimeva un talento cinematografico, letterario, giornalistico.
Inoltre ricordo che lui si mise giustamente dalla parte dei poliziotti, dicendo che questi sono i proletari e che gli aspiranti terroristi li prendevano a sassate perché erano per la maggior parte figli della borghesia; lui si schierò con i poliziotti come espressione delle persone che venivano dal popolo.

a cura di Paolo Andruccioli



@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare


Curatore, Bruno Esposito

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