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sabato 13 marzo 2021

La rabbia di Pier Paolo Pasolini e Giuseppe Bertolucci.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro





L'Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo.
Pier Paolo Pasolini
(Vie Nuove n. 36, 6 settembre 1962)


La prima idea del film La rabbia (1963) è del produttore Gastone Ferranti, che propone a Pasolini di realizzare un film documentario a partire dal repertorio del cinegiornale Mondo libero. I cinegiornali di Mondo Libero e i materiali reperiti in Cecoslovacchia, Unione Sovietica e Inghilterra diventano, per Pier Paolo Pasolini, la base per dare vita a un'analisi lirica e polemica dei fenomeni e dei conflitti sociali e politici del mondo moderno, dalla Guerra Fredda al Miracolo economico, con un commento diviso fra una "voce in poesia" (Giorgio Bassani) ed una "voce in prosa" (Renato Guttuso).

Mentre Pasolini è al lavoro in moviola, il produttore, forse per scrupoli politici o forse per motivazioni commerciali, decide di trasformare il film in un'opera a quattro mani, affidandone una parte a Giovannino Guareschi, secondo lo schema giornalistico del "visto da destra visto da sinistra".
Pasolini reagisce con irritazione a quella coabitazione forzata, ma alla fine accetta e rinuncia alla prima parte del suo film per lasciare spazio all'episodio di Guareschi.

Attilio Bertolucci, i ricordi del poeta che si fece critico

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Attilio Bertolucci, i ricordi del poeta che si fece critico
Arturo Carlo Quintavalle 
9 ottobre 2011, Corriere della Sera



C'è un luogo dove si intrecciano tutte le storie, quella di un giovanissimo Attilio Bertolucci e quella di Pier Paolo Pasolini, quella di Giorgio Bassani e quella di Francesco Arcangeli, è l'aula di storia dell' arte all'Università di Bologna. Qui Roberto Longhi a fine anni 30 illustra, analizza, spiega una vicenda diversa, contrapposta a quella tradizionale fiorentino-centrica, scoprendo nella pittura riminese del '300, nel '600 lombardo e nella pittura veneziana dal '400 al '700 un alternativo realismo e in Giorgio Morandi il sublime dell'arte.

Intervista a Giuseppe Bertolucci sul documentario "Pasolini prossimo nostro"- Pier Paolo Pasolini

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro





intervista a Bertolucci,su radio Radicale.






                                                                                                                                            Fabio Fulfaro
La morte non è nel non potere più comunicare, ma nel non potere più essere compresi… Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario! (Pier Paolo Pasolini)

lunedì 28 dicembre 2020

Pasolini Prossimo Nostro, di Giuseppe Bertolucci

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Pasolini Prossimo Nostro, di Giuseppe Bertolucci

Presentato come Evento Speciale nella Sezione Orizzonti della 63° Mostra del Cinema di Venezia, "Pasolini prossimo nostro", un documentario realizzato da Giuseppe Bertolucci, che prende il via da un’intervista rilasciata dal regista friulano a Gideon Bachmann durante la lavorazione di "Salò: le 120 giornate di Sodoma".

L’intervista è alternata alle foto in bianco e nero scattate da Deborah Imogen Beer sul set, che scorrono dando quasi il tempo alle parole di Pasolini e che raccontano, come fosse un fotoromanzo, quello che si rivelerà essere l’ultimo film girato dal regista. 
"Salò" è stato il film dello scandalo e ha subito censure che ne hanno posticipato l'uscita in sala di alcuni anni, quasi gli stessi disagi e ingiustizie inflitte al suo autore, assassinato il 2 novembre del 1975 all'Idroscalo di Ostia poco prima di finirne il montaggio definitivo.
A trentun’anni dalla scomparsa di Pasolini, se ne torna dunque a parlare attraverso un'intervista amara e disarmante, come lo stesso regista fa notare al suo interlocutore, una confessione sulla dannazione del consumismo. Un manifesto contro i giovani omologati e senza virtù, una dura accusa all'anarchia del potere, una cristallizzazione delle idee nichiliste che tormentavano il Poeta di Casarsa. 
"Salò" è il fine ultimo delle ideologie, un viaggio senza speranza, tratto liberamente dal romanzo del Marchese de Sade e ambientato nell'elegante cittadina lombarda durante il secondo conflitto mondiale. 
Le sue parole sono sorprendenti per la modernità del pensiero che esprimoni - estremamente attuale e che il titolo del
documentario coglie con quell’espressione "prossimo nostro" - e per la profondità dei concetti. Mentre osserviamo le immagini di "Salò", testamento spirituale ed artistico di Pasolini, lo ascoltiamo scagliarsi contro il potere "che mercifica i corpi" in nome del consumismo di cui non si può più fare a meno.

Il tono impassibile e statico dell’opera originaria viene qui esasperato dall’esclusivo ricorso al fotogramma fisso. Il bianco e nero porta le immagini all’ambientazione temporale del film rendendo più evidenti certe connessioni che ovviamente Pasolini aveva chiare: come l’uso di due icone del cinema dei telefoni bianchi, Caterina Boratto e Elsa De’ Giorgi, nel ruolo di turpi narratrici.
Un documentario asciutto e privo di retorica per far apprezzare, a chi ancora non lo avesse fatto, la figura di uno dei più grandi e geniali intellettuali del secolo scorso e che invoglia, chi già lo conoscesse, a rivedere i capolavori pasoliniani.
Bertolucci non vuole dire la parola definitiva su "Salò", ma riportarlo all’attenzione mediante una sintesi che è speculare, nel suo piccolo, a quella che Pasolini ha compiuto su de Sade. E l’utilità del suo documentario è soprattutto quella di ricordare, cosa non sempre recepita, come l’estremo, disperato addio di Pasolini non sia solo una sdegnosa chiusura verso il mondo, ma un testo aperto e ancora denso di problematiche da affrontare.
Emanuela Semeraro

Fonte: aise



CAST ARTISTICO E TECNICO

  • Regia: Giuseppe Bertolucci 
  • Interpreti: Pier Paolo Pasolini
  • Il cast e la troupe di “Salò o le 120 giornate di Sodoma” 
  • Voce: Pier Paolo Pasolini 
  • Fotografie: Deborah Imogen Beer 
  • Interviste: Gideon Bachmann 
  • Montaggio: Federica Lang 
  • Supervisione montaggio HD: Paolo Benassi 
  • Supervisione musicale: Fabio Venturi 
  • Musiche: F. Ansaldo, C. A. Bixio, F. Chopin, A. Moretti, C. Orff Musiche eseguite da: Nanni Civitenga, Monica Ficarra, Ensemble Roma Sinfonietta diretta da Claudio Casini e Nuovo Coro Lirico Sinfonico Romano diretto da Francesco Lanzillotta 
  • Montaggio suono e mix musiche: Damiano Antinori 
  • Studio di registrazione: In A Box Studio, Roma 
  • HD film mastering: Digital Film Lab, Copenhagen 
  • Digitalizzazione foto: Studio Grafite,Roma 
  • Montaggio SDI e HD: ID4, Roma 
  • Postproduzione audio: In A Box Studio, Roma 
  • Mix: Francesco Tuminello - Technicolor Sound Services, Roma Trascrizione dialoghi: Claude Woznick 
  • Organizzazione: Angelo Palmieri, Laura Scarinzi, Cristina D’Osualdo 
  • Produzione esecutiva: Angelo S. Draicchio 
  • Produzione: Ripley’s Film Srl / Cinemazero 
  • Origine: Italia/Francia 
  • Anno: 2006 
  • Formato: 1:1.33 
  • Supporto: HDCAM SR / 35mm 
  • Durata: 63’



Nota del produttore.

50 ore di interviste audio, 3.000 metri di negativo cinematografico, 7.200 fotografie, centinaia di pagine di trascrizioni audio, 23 mesi di lavoro, tra preparazione, riflessioni, pause, discussioni e ripensamenti, un risultato di 63 minuti circa.

Sono trascorsi poco più di 2 anni dal momento in cui Andrea Crozzoli e Piero Colussi mi proposero di realizzare insieme un documentario su Pasolini, utilizzando l’enorme quantità di materiale girato da Gideon Bachmann e Deborah Beer sul set di Salò o le 120 giornate di Sodoma, e sono trascorsi quasi due anni dal giorno in cui, con Giuseppe Bertolucci, a cui avevamo deciso di affidare la regia, saggiammo i primi materiali a Pordenone.
Nonostante questi avessero un forte impatto emotivo - e fossero in buona parte assolutamente inediti -, altrettanto forte fu la sensazione di incertezza che provammo nell’immaginarne un film, per di più l’ennesimo, su una delle più importanti personalità della cultura italiana del ‘900.
Decidemmo comunque di provarci, trascrivendo dapprima tutto l’audio a nostra disposizione e analizzandolo, quasi fosse un testo incompiuto, abbandonato dall’autore. Un puzzle confuso da cui emergeva, a tratti tenera, la voce inconfondibile, potente, di un Pasolini amarissimo e disilluso che abiura la Trilogia della vita e, lucidamente, non lascia speranza alcuna. Un testo a cui abbiamo voluto dare voce, contestualizzandolo, con le immagini del regista alle prese con quella che sarà la sua ultima e straziante opera.

Piaccia o meno, Pasolini prossimo nostro ha la valenza di un definitivo testamento intellettuale; vuole essere un ulteriore tassello nella memoria collettiva, vuole dar voce, ancora una volta, a una delle intelligenze più vive e lucide della nostra cultura e, in generale, del secolo scorso.
Angelo S. Draicchio



Riassunto della trama.

Una voce, calma ed inconfondibile, emerge dal rumore di un operoso, disciplinato set cinematografico. È la voce di Pier Paolo Pasolini, al lavoro per completare la sua ultima, contestatissima (e postuma) opera cinematografica: Salò o le 120 giornate di Sodoma.

Nonostante le enormi, preventive polemiche suscitate dal film, un Pasolini tranquillo, quasi gioioso, si lascia seguire sul set da una piccola troupe capeggiata dal giornalista Gideon Bachmann, che lo coinvolge in una lunga, straordinaria intervista/conversazione.
Inizialmente perplesso, Pasolini trasforma l’intervista in un lucido e violento attacco alla società; un grido d’allarme che assieme alle immagini del set da vita ad una sorprendente sovrapposizione tra film e realtà a svelare la metaforica messa in scena pasoliniana della modernità.
È un Pasolini inedito, drammaticamente disperato e sdoppiato nel suo non concedere/si un futuro,una possibilità, seppure accennata, nel catartico e liberatorio primo finale del film, eliminato dal regista e qui ricostruito fotograficamente.




Note del regista

Il termine fotoromanzo, associato a un film “maledetto” come il Salò di Pasolini, sembra incongruo e quasi inopportuno. E invece a me pare assolutamente appropriato, perché di un foto-romanzo si tratta. Con Federica Lang abbiamo rivisitato il piccolo tesoro delle foto di scena di Deborah Beer (impeccabili sul piano della fedeltà e della qualità) e abbiamo creato una sorta di sintesi dell’ultima opera di Pasolini: sostituendo le immagini fisse alle sequenze cinematografiche. Ma l’archivio di

Gideon Bachmann conteneva anche alcune preziose testimonianze (filmate e sonore) dell’autore, che abbiamo posto a commento del nostro fotoromanzo. Arrivando, io credo, a una rilettura  inedita, assolutamente attendibile, di uno dei film più sconvolgenti degli anni settanta. Dalla quale emerge,potente, la spietata analisi pasoliniana di una società italiana sempre in bilico sulla voragine del fascismo. Il suo grido d’allarme fu strozzato la notte del 2 novembre 1975, ma continua ad  arrivarci,nitido e straziante, a trent’anni di distanza.


Fonte: https://docs.google.com/file/d/0B7DAI2JRpAZmZnFfSG1tWWhZT00/edit




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Grazie.

Curatore, Bruno Esposito

Collaborano alla creazione di queste pagine corsare:

Carlo Picca
Mario Pozzi
Alessandro Barbato
Maria Vittoria Chiarelli
Giovanna Caterina Salice
Simona Zecchi


lunedì 24 giugno 2013

Intervista, BERTOLUCCI RACCONTA IL "SUO" '68

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




BERTOLUCCI RACCONTA IL

BERTOLUCCI RACCONTA IL "SUO" '68


Conversazione con Bernardo Bertolucci su Pasolini, il ’68, Pierre Clementi, Elsa Morante, The Dreamers, Cocteau, Moravia e il Festival di Venezia

Daniele Basso e Emiliano Morreale


Lei ha passato il ‘68 tra l’Italia e Parigi. Che differenza c’era tra il movimento francese e quello italiano?

Il ‘68 parigino è iniziato a Roma. Mi trovavo per sbaglio a Valle Giulia, per sbaglio perché ero più vecchio. Vivevo in una specie di zona grigia tra due momenti storici molto importanti: ascoltavo gli ex partigiani ancora giovani che mi raccontavano quello che avevano vissuto e allo stesso tempo stavo con gli studenti. Ero a via del Babuino, sotto casa passava una manifestazione; sono sceso, studenti di Architettura e altri andavano alla facoltà a portare solidarietà agli occupanti. Guardandomi intorno mi sono sentito fuori posto perché avevo 27 anni e gli studenti 19 o 20. Mi sono unito a loro, abbiamo camminato fino a Valle Giulia e quando siamo arrivati davanti alla facoltà c’era la Celere che non permetteva di portare a quelli che erano dentro né cibo né coperte né acqua. Gli studenti hanno cercato di entrare e la Celere li ha caricati e così mi sono ritrovato in mezzo alla prima manifestazione violenta di quegli anni. Quando andavo a Parigi raccontavo cos’era accaduto a Valle Giulia. Durante il maggio dello stesso anno ho girato Partner: Pierre Clementi, il protagonista del film, il venerdì sera tornava a Parigi, la domenica sera rientrava in Italia e mi raccontava quello che aveva visto. Era quasi come avere il Maggio del ‘68 a Roma in presa diretta.

Per questo ha scelto di raccontare il ‘68 di Parigi?

Ho letto il romanzo di Gilbert Adair da cui è nato The Dreamers: parlava del come nessuno ne aveva ancora parlato né allora né negli anni successivi. L’autore è un inglese che a 20 anni è andato a vivere a Parigi trovandosi un po’ per caso e un po’ per scelta a vivere il ‘68 in una città non sua con delle problematiche e delle modalità che forse non lo riguardavano direttamente. Mi piaceva molto come era riuscito a innestare nel ‘68 una struttura non tanto diversa da quella di Les enfants terribles di Cocteau, mi affascinava la fusione tra Cocteau e il ‘68.

Quali sono state le reazioni all’uscita del film e quali sono secondo lei le reazioni che suscita parlare del ‘68?

Con The Dreamers ho visto che il ‘68 ancora infastidisce e irrita anche molti di quelli che vi hanno partecipato. C è una specie di revisionismo, il tentativo di archiviare quel periodo rivoluzionario come qualcosa di profondamente negativo come se il ‘68 ricordasse ai suoi protagonisti una sconfitta, quasi fosse un ricordo doloroso. Io penso che quello della rivoluzione sia stato un sogno, non ho mai creduto che si sarebbe realizzato. Quando sento dire che quel movimento è stato una sconfitta e che si è trascinato nel tempo, che il ‘68 ha portato alle Br mi sembra tutto molto confuso, inaccettabile, ingiusto. All’uscita di The Dreamers mi sono accorto che ci sono due parole che non si possono più usare in Italia una è “ideologia”, l’altra “nostalgia”. Il film è stato accusato di essere ideologicamente nostalgico del ‘68, cosa accaduta poi anche a Garrel. Il termine “nostalgia” viene usato perciò in senso dispregiativo, dovremmo gettare e dimenticare libri come l’Odissea e la Recherche, costruiti sulla nostalgia...

Lei ha avuto modo di frequentare in quegli anni Elsa Morante e Pier Paolo Pasolini. Quali erano le loro posizioni rispetto al ‘68?

Mio padre si lamentava perché non facevo l’università ma la mia università è stata il tempo passato con Elsa e Pier Paolo. “Vado all’università quando ceno con loro” rispondevo a mio padre. C’era anche Moravia. La Morante e Pasolini discutevano spesso, essendo entrambi ammirati l’una dal lavoro dell’altro, c’era tra i due un continuo scambio. Pasolini era molto conflittuale, su Valle Giulia aveva scritto quella poesia Il Pci ai giovani in cui dice: vi odio, cari studenti, siete paurosi e disperati ma anche prepotenti e ricattatori. Questa poesia lo aveva reso inviso agli studenti. Si trattava di un discorso molto sentimentale: io sto con i giovani del Sud, figli di contadini, costretti a fare i poliziotti; non sto con voi, con i capelli lunghi. Odiava i capelli lunghi, odiava tutto quello che avrebbe chiamato nel suo testamento, che sono gli editoriali scritti nel 1975 per il Corriere della Sera e Il Mondo, poi confluiti in Lettere luterane, la falsa permissività del consumismo. In Abiura per la trilogia della vita descrive i ragazzi di allora, la loro presunzione di essere i padroni della propria libertà dicendo loro: “Non è vero, non siete liberi, ripetete dei cliché che vi vengono imposti”, dichiarazione del tutto attuale. Qualche mese dopo i fatti di Valle Giulia, durante il contestato Festival del cinema di Venezia, Pasolini andò all’università e gli studenti gli sputarono addosso. Pier Paolo era alla ricerca di punizione e di redenzione, prese gli sputi e disse “Discutiamo”. Si sedette e alla fine tutti lo seguivano con ammirazione. Era riuscito a far ascoltare anche le sue idee. In alcuni momenti Pasolini aveva un atteggiamento quasi mistico, non religioso ma sicuramente dentro una sua sacralità.

E qual era l’atteggiamento della Morante verso i ragazzi del ‘68?

La Morante e Pasolini si erano molto avvicinati in occasione dell’uscita di Il mondo salvato dai ragazzini, libro che fu pubblicato nel ‘68 e che Pier Paolo considerava un vero e proprio manifesto politico che indicava la capacità rivoluzionaria e l’innocenza dei giovani. Entrambi avevano una visione creaturale della realtà, credevano in una rivoluzione che sarebbe poi stata agita per Pasolini nel Terzo mondo e dal sottoproletariato. Quando girai con lui Accattone ero l’aiutoregista, Pasolini mi diceva che i volti dei papponi erano come i volti dei santi delle pale d’altare, per questo c’erano loro continui primi piani. Negli anni Settanta Pasolini disse che la Trilogia della vita, Il Decameron, Il fiore delle Mille e una notte e I racconti di Canterbury era una finzione, una menzogna perché basata sulla forza di un innocenza in cui non credeva più e che non esisteva più. La sua visione della realtà divenne poi pessimista, senza scampo, atroce. Difficile dargli torto oggi.

Fonte: http://www.sagarana.net/anteprima.php?quale=341

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