"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Pier Paolo Pasolini
Referto per Botteghe Oscure
«Il Popolo di Roma»
15 settembre 1951.
( © Questa trascrizione da cartaceo è stata curata da Bruno Esposito )
( Con commento al testo o "Referto del Referto" )
Ad aprire l'ultimo numero di Botteghe Oscure » è Carlo Betocchi con sette timide e intense poesie della sua ultima maniera, di cui si attende un testo completo, necessario a definire questo poeta uscito dalle esperienze, eccezionali, di « Realtà vince il sogno » e « Altre poesie », ma soprattutto del prima: resistente a quasi due decenni di riletture, scritto in quella sua pagina diafana, e dura, al contrario, come avorio. L'ambiguità del suo primo periodo, cosi ricca di immagini già per loro natura prima ancora che tecnicamente « poetiche », è ancora la costante della poesia di Betocchi. Ma con contenuti meno evasivi, più diaristici: quasi un debito ch'egli dovesse pagare alle cose, agli eventi e alle persone allora irrigiditi o angelicati nell'atmosfera onirica della sua poesia, in voli, sdoppiamenti, dissolvenze che potrebbero far pensare anche a Chagall. Per es. in « All'uscita notturna dal cantiere » si sente nella durata a inno, nella spolpata, quasi asessuale trama linguistica - pensata, dalla mente in su - lo sforzo dell'intervento di una realtà ridotta a fossili mentali (le diurne rotate, il guardiano, il legname inchiodato: fotogrammi da film neorealistico o poesia engagée, in Betocchi depurati fino allo spasimo, fino alla secchezza di un ideale Leopardi melico). Uno sfondo di ideale atticità e anche dietro le grafiche sfuriate di Bartolini, con qualche bel frammento che ha la lucida scompostezza delle sue incisioni: è un cibo un po' salato, ma non va male, tra tante vivande troppo civili, la reazione alle quali e tanto parte della sua lingua, ribollente di una invetio un po' improvvisata, e approssimativa, ma non di rado disposta in acerbe figure poetiche.
Senza apparente sforzo, quasi senza apparente ragione, invece, il delizioso Penna, tra queste sue nove poesie, prensili come oggetti, prossime quanto è possibile al più alto modulo di purezza, ci da almeno (I'XIII e la IX) due piccoli capolavori. Cose di una saggezza e di una pazzia indimenticabili. Al suo confronto, poi, l'altra poesia qui raccolta pare incerta e meno necessaria. Di Velso Mucci avevamo letto cose più intime, difficili - specie in prosa - nel suo libriccino di « Costume » di due o tre anni fa: di Fortini, e meno ancora di Balestra, comprendiamo poco - o forse vogliamo poco comprendere - la poetica: ma Fortini ha qualche pezzo rilevato, arso dalla forza della voce. Su temi più scontati scrive Luciana Frezza, ma non è niente affatto da trascurare: la sua non nuova inquietudine si qualifica nella chiarezza con cui prende forma su una pagina che riesce a dare, sia pur in misura minima, la gioia della lettura: mentre invece finiremo col trovarci imbarazzati di fronte a « L'avventura » di Elsa Morante, capriccio a pastiche, o fondiglio di un tema narrativo: ondeggiante tra un dubbio gusto e un gusto squisito. Ultimo dei poeti abbiamo lasciato Rinaldi, con queste due poesie, « Canto di maggio » e « Fantasia » che, se non fosse per un lieve sospetto di eccesso, di troppa tensione, si potrebbero subito dire assai belle: d'una perfezione tecnica estrema, curate e soppesate fino all'ultima sillaba, benchè anche troppo caste, tacite. Dall'irrequietudine alla pienezza del sentimento: una concomitanza - resa, con la logica delle analogie poetiche, assolutamente indissolubile - tra l'emozione del poeta e l'evento naturale.
Tra i narratori dovremo 1imitarci a riferire i soli nomi dello spiritosissimo ed elegante Cecrope Barilli, di Raffaele Brignetti (ospite, in questa antologia, che pur non dichiarandolo ha un suo gusto, una sua legge di scelta: e non saremmo lontani dalla realtà indicando rozzamente l'ermetismo e il romanzo di memoria come punti di partenza: Brignetti è invece venuto dopo la guerra e senza ipoteca letteraria, pieno di aggressività freschezza naturale e qualche lettura non sempre buonissima) e di Enrico Pea, già ben definito anche per un lettore medio: per soffermarci invece su « La passeggiata prima di cena » di Giorgio Bassani, che, alle prime righe, potrebbe parere, benchè tenuissimamente, ritardataria in confronto alle ultime risoluzioni narrative dei romanzieri di memoria cui si accennava (Bilenchi, Cassola e mettiamo anche Landolfi) ma poi, nel complesso gioco tecnico, ricco di impegni e coscienze letterarie anzi compenetrato da queste - si risolve in pagine assai libere. Già nella e « Storia d'amore » pubblicata in questa stessa rivista, avevamo osservato il suo lavoro di costruzione - più dunque che di abbandono a priori poetico alla memoria - e quindi senza vaporosità poetizzanti, e anzi con chiarezza di ragionamento storico - di una vicenda d'amore, in un senso classico (o anche borghese) di questo termine.
Anche nella « Passeggiata », e con maggiore compostezza e forza, il fondo di Ferrara e del1'Emilia - studiato con una misura di gusto che non forza mai l'evocazione - da radici a una vicenda nella coscienza dell'autore già avvenuta, chiusa e quindi priva di evoluzioni. Cosi in Bassani il « tempo » del corrente modo di narrare - il tempo apparentemente logico, che giustappone in prospettive del resto arbitrarie i fatti ad esso incorporati - è sostituito da un tempo distaccato da quei fatti, che quindi si dispongono a se, liberi dalla sua logica lineare e finalistica. Essendo la vicenda a « conclusa », è uscita quindi dal tempo, è divenuta un cristallo, con le sue misure interne assolute, e la sua superficie che può mostrare indifferentemente ora l'una ora l'altra delle sue facce. Bassani, nel suo modo narrativo, gira liberamente questo prisma, e, nel generale tono evocativo, passa da un periodo all'altro della vita dei suoi personaggi, che così si mantengono sempre in piena luce: il tempo diviene una misura lirica - con le sue frizioni improvvise, le sue relazioni fantastiche. Molto altro resterebbe da dire, fuori da queste osservazioni di tecnica, sul mondo e « italiano » di Bassani, sulla civiltà letteraria in cui quel mondo trova un equilibrio poetico in una prosa che però non è più poetica, da capitolo. Ma c'è tutta l'abbondantissima sezione estera della rivista che pretende, benchè esulando dalla nostra competenza, almeno un cenno. Ma esiste - ci chiediamo - un comune criterio di leggibilità dei versi che si scrivono nelle varie lingue europee, ossia esiste una Europa letteraria? E' vero, i mezzi meccanici sono intervenuti ad accorciare le distanze anche interne: nel senso che non si potranno dare più divarii di un secolo tra una nazione e l'altra, come è stato nel '500, o nel 1800; e hanno del resto ragione di esistere anche dati di fatto filologici, quando non sia pensabile, per es., un Ungaretti senza simbolismo, un Montale senza Eliot ecc. ecc. (ma c'è già il salto di almeno una generazione, non siamo ancora alla perfetta contemporaneità). Si pensi anche all'irregolarità della recente ondata di esistenzialismo, di poesia un comune criterio di poesia e « impegnata » a ecc. Se non si può dunque ancora parlare di Europa letteraria, esiste tuttavia una provincia letteraria europea, col breve ma essenziale ritardo nel confronti di un suo centro? Ma il centro quale sarebbe? Parigi? o Londra? o la Germania di Jaspers e Barth? O non potrebbe essere ottimamente « capitale » la terra dove hanno lavorato i Mochado, i Lorca? Così in sede di dati: cercando poi in regioni più profonde, il problema si complica, il denominatore comune esce dal campo delle tecniche letterarie ed entra in quelle dello Spirito. Tuttavia, pur non essendo difficilissimo dimostrare i punti comuni di una crisi condivisa da tutti gli uomini moderni, praticamente davanti a un testo di poesia inglese, tedesca o anche francese, molle volte succede di restare disorientati, impreparati, e non raramente del tutto indisponibili.
La causa di questo non può naturalmente che essere esterna: infatti, ciò accade meno gravemente per la prosa narrativa, che ha trovato maggiore possibilità - sin pure commerciale - di scambi. E' soprattutto dunque a una frequenza di contatto che i grevi e immacolati volumi di «Botteghe Oscure» (e ne ringraziamo l'intelligente animatrice) ci invitano, e con merce di prim'ordine (qui tra gli anglosassoni: G. Barker, R. Duncan, M. Hamburger, T. Capote, W. F. Wesver; tra i francesi: R. Char, P. Reverdy, H. Michaux, F Ponge).
PIER PAOLO PASOLINI
Commento
"Referto del Referto"
1951
Pasolini: poeta, narratore, ma anche acuto e spesso destabilizzante critico letterario. La recensione, nella struttura e nel tono, si rivolge anzitutto a un pubblico colto, mettendo in luce la varietà delle poetiche e delle estetiche presenti nella produzione letteraria italiana ed europea del secondo dopoguerra e, insieme, riflettendo sulla funzione della critica e della letteratura in un’Italia in profonda trasformazione.
Il termine "referto" (generalmente usato in ambito clinico, tecnico o giuridico), scelto da Pasolini per intitolare la sua recensione, già indica una postura critica votata all’oggettività e alla distanziazione, quasi a voler suggerire un approccio “scientifico” ma anche spassionato. La struttura del Referto segue la sequenza dei testi pubblicati sulla rivista: poesie e racconti di autori diversissimi – Carlo Betocchi, Sandro Penna, Franco Fortini, Elsa Morante, Giorgio Bassani – e si conclude con una densa riflessione sul concetto di letteratura europea e sulla crisi dell’identità culturale del Dopoguerra.
Sul piano stilistico, Pasolini combina un registro “alto”, colto, con una vibrante coloritura di eclettismi linguistici. L’analisi letteraria si intreccia con un lessico specialistico (in particolare l’influsso di Contini è evidente nei saggi di questo periodo). Al tempo stesso, il suo linguaggio si fa a tratti lirico, quasi affettivo, specie nei confronti di quegli autori con cui instaura una più diretta sintonia poetica o esistenziale.
Pasolini rifiuta la neutralità distaccata: il commento è spesso polemico, polemizza sia con i letterati “istituzionali” che con le avanguardie dell’epoca. La sua è una critica vivente, mobile e dialettica, in cui la lingua funziona non solo come strumento di precisione ma anche come campo di battaglia, come espressione di crisi e di impegno.
“Non sarà mai troppo ripetuto quanto la pubblicazione di queste ‘Botteghe Oscure’ sia evento autentico nel clima letterario attuale.”
Pasolini apre sottolineando l’eccezionalità e la storicità della rivista. Il tono è assertivo, ma già venato di ironica diffidenza verso le formule rituali della critica (“non sarà mai troppo ripetuto”), come se volesse distaccarsi dagli stereotipi celebrativi ma, nello stesso tempo, ribadire l’essenzialità del “clima” di Botteghe Oscure per la letteratura contemporanea.
Il termine “evento autentico” allude a una veridicità, a una genuinità raramente associata all’editoria del tempo. Pasolini stabilisce da subito l’opposizione tra l’autenticità della rivista – spazio di libertà e selezione qualitativa – e un ambiente letterario spesso ripiegato in sterili accuse reciproche o in banali conformismi.
“È stato detto più volte: qui si dà lo spettacolo di una letteratura che non obbedisce a mode, a facili tensioni, a richieste di giornata.”
Pasolini pone in evidenza – riprendendo volutamente un luogo comune (“È stato detto più volte”) – la distanza tra la scrittura che si affida alla moda o alla gratificazione immediata e la produzione letteraria pubblicata sulla rivista. Il lessico (“spettacolo”, “mode”, “facili tensioni”, “richieste di giornata”) allude alle derive del consumo culturale, sottintendendo così una critica all’omologazione e alla spettacolarizzazione della letteratura.
Carlo Betocchi:
Poeta notoriamente vicino alla dimensione spirituale e francescana, viene così collocato da Pasolini all’intersezione tra il pathos della sofferenza e il rischio permanente della formalizzazione, cogliendo uno dei nodi più delicati della sua poesia: la tensione tra innocenza e consapevolezza, tra infanzia e storia, tra preghiera e mestiere poetico.
Sandro Penna:
Pasolini interpreta con lucidità e generosità la singolarità di Penna, colto nella sua centralità e nella sua inappartenenza al canone ermetico e al modernismo egemone. Il “rifiuto della Storia” si lega anche alla scelta linguistica di Penna: la sua chiarezza e la sua ripetitività sono la cifra di una resistenza alla violenza del reale.
Franco Fortini:
La lettura pasoliniana di Fortini anticipa la grande stagione della poesia civile degli anni Sessanta, e coglie la radicale messa in discussione del ruolo dell’intellettuale. Il “qui ed ora” della poesia fortiniana, la sua insistenza sull’incertezza e la disillusione, rappresenta una delle nervature profonde di tanta poesia italiana coeva.
Elsa Morante:
Pasolini comprende con particolare finezza la specificità morantiana, la sua capacità di abitare l’infanzia come luogo mitico e di utilizzare il racconto come strumento di conoscenza e di rivoluzione simbolica, molto prima che ciò venisse universalmente riconosciuto dalla critica.
Giorgio Bassani:
La posizione pasoliniana su Bassani rispecchia la percezione del secondo dopoguerra italiano, in cui il trauma della discriminazione, delle leggi razziali, delle deportazioni e delle complicità borghesi è ancora vivo e non “narrabile” se non per via di allusioni, reticenze, memoriali strazianti o silenzi assordanti.
Altri autori menzionati:
Fedele alla missione “refertiva”, nomina e passa in rassegna anche autori meno celebrati o parzialmente marginali, sempre nella prospettiva di fornire un quadro esauriente della pluralità letteraria accolta dalla rivista. Tra questi: Italo Calvino, Mario Soldati, Tommaso Landolfi, Rocco Scotellaro, Bertolucci, Caproni (su di loro offre rapidi ma affilati rilievi che ruotano attorno alla tensione tra tradizione e innovazione, tra poesia dialettale e nuova prosa narrativa).
La posizione di Pasolini verso questi autori rivela la sua capacità di cogliere le tensioni della letteratura italiana del secondo dopoguerra: la crisi delle certezze borghesi, la tentazione dell’avanguardia, la voglia di radicamento nella tradizione e, insieme, la pulsione verso il rinnovamento linguistico.
Il lessico pasoliniano nel Referto è insieme affettivo (quando si appassiona a un autore o a una poetica), filologico (nell’individuare le fonti, i modelli, i debiti intertestuali), politico-ideologico (tensione verso la storia, la società, la funzione della lingua). L’alternanza di registri – dall’alto al medio, con rare discese nel parlato – amplifica l’efficacia retorica del testo, dotando l’analisi di una pluralità di toni.


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