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martedì 14 ottobre 2025

Pasolini a Scicli, dove le parole sono pietre - il dibattito - Vie nuove, numero 22, 30 maggio 1959

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


Pasolini a  Scicli
dove le parole sono pietre

il dibattito

Vie nuove

numero 22

30 maggio 1959 

( © Questa trascrizione da cartaceo è stata curata da Bruno Esposito )


Vedi anche:

Pasolini a Scicli, La loro coscienza è già nel domani ( Ho discusso per un giorno con i giovani di Scicli)


Bartolomeo Amenta

(studente membro del direttivo del circolo « V. Brancati »)

Ho il piacere di presentare il gruppo di scrittori, di artisti e di giornalisti che son venuti a Scicli per visitare le grotte di Formello e per prendere visione di uno degli aspetti più crudi e gravi della vita siciliana, che rappresenta una macchia nera non solo per la nostra città, non solo per la Sicilia, ma per l'Italia intera. Essi con la loro opera faranno in modo di portare questo problema al livello nazionale, di farlo conoscere, e farlo sentire come questione attorno alla quale vale la pena di muovere le forze di tutti coloro che sono interessati ad un avvenire di civiltà dell'Italia. E' stata preparata dal nostro circolo culturale «Vitaliano Brancati», composto di giovani di varia parte politica, una conferenza del pittore e scrittore Carlo Levi, che tutti conoscete. L'iniziativa è stata presa di accordo con i dirigenti del Comune di Scicli. Colgo intanto l'occasione per ringraziare tutti i componenti la comitiva: Carlo Levi, lo scrittore, Renato Guttuso, Pier Paolo Pasolini, lo storico Paolo Alatri, Maria Antonietta Macciocchi, direttrice di Vie Nuove, la quale si scusa di non essere presente al dibattito essendosi dovuta recare a Ragusa, e Antonello Trombadori, direttore de Il Contemporaneo. Voglio anche ringraziarli a nome del Circolo Brancati, di essere venuti fino a Scicli e di onorarci con la loro presenza. Cedo la parola a Guttuso, per la presentazione dell'oratore che introdurrà la conversazione.

Renato Guttuso

Cari amici, la presentazione di Carlo Levi è pressochè inutile. Carlo Levi, pittore, scrittore, è una delle persone più note d'Italia, soprattutto molto noto al Mezzogiorno d'Italia, al quale egli ha dedicato la sua vita di scrittore e di pittore.

Desideriamo ora dirvi soltanto quale emozione abbiamo provato oggi nell'attraversare questa zona della Sicilia, così bella, così ridente, così piena di colori, così consolante per l'occhio e per l'anima, e quale tristezza ci ha stretto il cuore di fronte allo spettacolo di centinaia di famiglie, costrette in luoghi indegni della vita umana, indegni delle conquiste civili che l'uomo ha operato in nome del progresso. Questa sera non si tratterà di una vera e propria conferenza, quanto di una conversazione cordiale tra noi e il popolo di Scicli, conversazione che vi chiediamo di incoraggiare come pubblico, così che quando Carlo Levi avrà finito la sua esposizione, se voi vorrete fare domande singole, allo stesso Carlo Levi, e a Pier Paolo Pasolini, al prof. Alatri, ad Antonello Trombadori e a me stesso, saremo lieti non solo perchè avremo occasione di rispondervi ma perchè potremo arricchirci delle vostre esperienze.

Carlo Levi

Non a torto i giovani amici del Circolo Vitaliano Brancati hanno voluto scegliere come tema di questo scambio d'idee la « realtà del Mezzogiorno ». Quaranta, о soltanto venti anni fa avremmo letto sul biglietto d'invito « il problema meridionale », non la « realtà del Mezzogiorno ». Questo mi pare di per sé un fatto significativo, l'indice di un cambiamento di situazione. Se mi consentite di partire dall'esperienza personale vorrei ricordare alcuni momenti della mia vita attraverso i quali accadde anche a me di effettuare il passaggio dal « problema » alla «realtà»> del Mezzogiorno. Ero ancora quasi un ragazzo quando un mio scritto apparve, per la prima volta, pubblicato su una rivista. Era un saggio sul liberalismo nel Mezzogiorno, che avevo scritto sotto la spinta e la sollecitazione di Piero Gobetti: la rivista era Rivoluzione Liberale. Era uno scritto serio e informato su ciò che di più interessante e di più preciso si andava pubblicando sul problema del Mezzogiorno: ma quella conoscenza teorica ben lontana da una conoscenza reale.

Quando, anni dopo, trovandomi nel carcere romano di Regina Coeli, ricevetti verso l'una di notte l'avviso, in quelle circostanze assai gradevole, che invece di essere stato deferito al Tribunale Speciale ero stato assegnato al confino in un paese della provincia di Matera, confesso che non avevo ben chiaro dove fosse geograficamente questo paese, dove fosse Matera. Quello che trovai laggiù fu per me una rivelazione.

Fu qualcosa che andava al di là delle acquisizioni approfondite ed elaborate negli studi sulla questione meridionale. Una realtà fatta di storia secolare e anche di immobilità secolare; una civiltà contadina che non riusciva ad affermare la sua coscienza; una infinità di forze, di valori umani che premevano per manifestarsi in modo positivo: per me (per tutti) una lezione profondissima su ciò che significa il coraggio di vivere. La realtà del Mezzogiorno quale io la conobbi al primo incontro appariva veramente immobile, non soltanto per il fatto che il fascismo aveva bloccato la situazione, ma a causa dell'intero processo storico che su di essa gravava, a causa del blocco agrario che senza alcuna incrinatura ne fissava, risalendo nel tempo, tutte le strutture, a causa del modo come si era realizzata la eversione della feudalità, senza una vera rivoluzione e senza che una economia moderna fosse nata dal suo seno, Ma dentro l'immobilità si preparava quello che, a mio avviso, è il fatto più positivo della storia contemporanea: vale a dire la rottura della secolare immobilità di grandi masse di uomini, l'inizio d'una trasformazione profondissima, la quale avanza, giorno per giorno, attraverso difficoltà enormi, dolori, stenti, lotte, delusioni, ma senza interruzione.

Rocco Scotellaro il poeta lucano morto giovanissimo qualche anno fa, usava un termine poetico molto profondo, « l'amore della propria somiglianza », per affermare che il modo migliore di comprendere la realtà del Mezzogiorno è quello di viverla e di amarla, di aver fiducia nel movimento meridionale. Oggi, ad esempio, siamo stati tutti profondamente colpiti da ciò che abbiamo visto nelle grotte di Scicli. Abbiamo visto condizioni che sono al di sotto di quelle necessarie alla vita umana. Questo fatto e i problemi che ne derivano possono ispirarci pietà, indurci ad azioni di carattere benefico, ma si tratterebbe d'un modo del tutto parziale di accostarsi alla realtà meridionale. Essa infatti non è riducibile ai suoi soli aspetti di miseria. Agire nel senso dell'aiuto immediato è certo meglio che astenersene. Ma non basta. Queste grotte di Scicli, le ormai famose grotte di Matera che sono certamente assai meno penose, assai meno disumane di quanto non siano le vostre, i bassi di Napoli o i tuguri di Andria, il quartiere Cascino di Palermo o le casupole dei minatori di Lercara, come le altre mille miserie nelle quali ci imbattiamo girando per le terre del Mezzogiorno, vivendo con i disoccupati, con i braccianti che riescono a stento a lavorare una piccola parte dell'anno senza raggiungere neppure le 100.000 lire di guadagno in dodici mesi, parlano non soltanto di destituzione, di indigenza, di disperazione: dicono parole umane, affermano l'esistenza di un popolo che non vuole più vivere in simili condizioni. Tutti i luoghi della miseria meridionale chiedono anzitutto quella reciproca fiducia e quella azione comune che sola può permettere di risolvere i problemi su un piano più vasto. Ciò non significa che non debbano essere presi tutti i possibili provvedimenti immediati. Non prenderli per rimanere in attesa d'una risoluzione integrale del problema, sarebbe un altro modo di evasione. L'essenziale è che anche i provvedimenti immediati siano adottati nello spirito della presa di coscienza da parte del popolo di una ben più generale necessità e volontà di progresso. Esaminata, sotto questo aspetto, anche la particolare situazione delle grotte di Scicli può permetterci di comprendere la intiera realtà meridionale.

Esiste una realtà meridionale delle classi dirigenti: anche questo è un problema del quale occorre parlare. Purtroppo si tratta del suo aspetto più negativo. Da secoli il Mezzogiorno attende una classe dirigente degna della sua funzione. Il maggior successo editoriale di quest'anno si chiama Il Gattopardo, un libro di eccellenti valori letterari e ricco di problemi. Esso si occupa esattamente della storia e della realtà delle classi dirigenti siciliane ed è, a mio avviso, un libro estremamente negativo e deprimente per la posizione che esprime. Credo si possa affermare che il suo successo sia uno dei sintomi del momento di generale depressione al quale assistiamo, e dal quale non dobbiamo noi stessi lasciarci deprimere, che coincide con le ispirazioni negative che stanno alla base del Gattopardo. Penso che il successo universale d'un altro libro, Il Dottor Zivago, bellissimo letterariamente, possa, in modo analogo, interpretarci come espressione del momento di ristagno e di depressione di tanta parte della cultura. Se la realtà delle classi dirigenti meridionali offre, malgrado le sempre possibili eccezioni, uno spettacolo davvero non rallegrante, la realtà del popolo meridionale, dei lavoratori, dei contadini è tale da essere al centro del progresso politico e culturale contemporaneo.

Si tratta d'una realtà che non è certo giusto raffigurarsi con troppo facile ottimismo, Continuamente possiamo misurarne le contraddizioni, le interne difficoltà, non soltanto quelle esterne che nella veste della miseria si mostrano ad ogni passo nelle strade, Il grande movimento contadino può subire degli arresti, delle sconfitte. E malgrado ciò io insisto a dire che esso si pone al centro della vita e della cultura moderna. La mia affermazione va al di là dello stretto ambito del Mezzogiorno d'Italia. Milioni e milioni di uomini in tutto il mondo muovono da condizioni analoghe a quelle del popolo meridionale; queste condizioni vanno ponendosi dappertutto al centro della modificazione positiva del mondo intiero. In che modo? Vorrei porre la questione da un punto di vista non strettamente politico e metterne in rilievo la tendenza culturale. Che cosa ha, in sommo grado, valore poetico, valore di irreversibile acquisizione culturale e umana? Il passaggio dallo stato di inesistenza allo stato di esistenza: la parola che si dice per la prima volta, la coscienza del reale per la prima volta ottenuta, l'ingresso dell'uomo nel vivere fatto di relazioni. Nella vita del popolo meridionale questo passaggio dall'inesistenza all'esistenza si pone come problema di mutamento della classe dirigente, si chiama presa di coscienza, da parte delle grandi masse, della possibilità e della necessità di diventare protagonista della propria storia. Dappertutto, in questa Sicilia così bella, così povera e così immobile per tanti secoli, così piena di terribili esigenze e problemi, irta di difficoltà che sembrano addirittura insormontabili, abbiamo visto sorgere per la prima volta, e perciò con la forza d'una acquisizione trasformatrice, la coscienza collettiva di masse nuove di uomini che affermano se stessi come persone umane, capaci di dirigere il proprio destino.

Questo è l'essenziale e l'importante della moderna realtà meridionale. Così come è l'essenziale e l'importante della realtà di interi popoli e nazioni che, tenuti fuori dalla storia del mondo, ne divengono oggi protagonisti. Ecco perchè il movimento della realtà meridionale si presenta, continuando la Resistenza, in modo duraturo e profondo, e legato a problemi fondamentali e concreti come il fatto di cultura più importante che l'Italia unita abbia conosciuto.

Ho già detto che tutto ciò non può essere guardato con gli occhi di un facile ottimismo. Si tratta di un movimento drammatico estremamente complesso tanto nel suo momento collettivo che nel suo momento individuale. Permangono nel mondo contadino meridionale tutti gli elementi della precedente immobilità e vi sono forze sociali che tendono a perpetuarla, tuttavia, e contro la sua propria passività e contro queste forze, è in atto l'avanzata del mondo contadino, della realtà meridionale. Nei versi di Rocco Scotellaro questo concetto è diventato poesia:

Spuntano ai pali ancora

le teste dei briganti, e la caverna,

oasi verde della triste speranza,

lindo conserva il guanciale di

[pietra.

Ma nei sentieri non si torna in-

Altre ali fuggiranno

dalle paglie della cova

[dietro.

perchè lungo il perire dei tempi,

l'alba è nuova, è nuova.

Mentre rimangono i residui dell'immobile mondo d'un tempo (il brigante, la caverna, questa oasi verde della triste speranza della rivolta individuale, della protesta anarchica di chi si leva, isolato, contro lo Stato e non può trovare la via di un moderno sviluppo rivoluzionario), sui sentieri del grande movimento contadino non si torna indietro: l'alba nuova è nata. Tutto sta assieme: nulla avviene nel più remoto e sperduto villaggio del Mezzogiorno sconosciuto che non valga per tutta la nazione e per il mondo: il minimo cambiamento di costume, o la vittoria sindacale, o l'occupazione delle terre sono tutti affermazione cosciente di libertà: e tutti dobbiamo, in essi, riconoscerci. Se sul campo di Sciara muore un povero contadino come Salvatore Carnevale, il suo sacrificio ha un valore assoluto, è un apporto per ciascuno di noi, per il nostro paese, per tutti. E' in questo senso, forse, che intitolai il mio libro sulla Sicilia Le parole sono pietre, perchè sono dure come le pietre le parole che legano insieme il mondo, che lo fanno compatto, unito; che fanno reale l'esistenza, e verde la speranza.

Vincenzo Portelli

(Segretario del Liceo comunale di Scicli)

Inizio con un'annotazione generale: sono nato anch'io nelle grotte di Chiafura, e per questo la visita di oggi mi ha profondamente colpito. Mentre parlava lo scrittore Carlo Levi mi è venuta alla mente una domanda. Come mai la Sicilia che nel passato vide avvicendarsi sul suo territorio tante imponenti civiltà non ne trasse beneficio e soprattutto dalla costituzione del regno d'Italia in poi, è stata abbandonata in un così grave stato di arretratezza? E oggi, mentre si afferma che il Mediterraneo è un mare di primaria importanza strategica come mai la classe dirigente non vede che il mantenimento della Sicilia allo stato di polveriera per la permanente oppressione e opposizione delle masse contadine, è cosa contraria ai suoi stessi interessi? Una classe dirigente più provvida e intelligente avrebbe certamente provveduto a tenere il più possibile la Sicilia legata al resto della nazione. Si tratta di una classe dirigente che non ha saputo pensare al futuro?

Paolo Alatri

E' una domanda da far tremare le vene e i polsi, perchè pone tutto il problema storico e non soltanto della Sicilia, ma di tutta l'Italia. Vorrei premettere comunque che non sono del tutto d'accordo sul modo in cui il problema è stato posto dal nostro amico. Non credo che si possa dire che da cento anni a questa parte tutto è rimasto uguale. Nella storia della Sicilia ci sono stati periodi in cui si sono compiuti passi avanti fondamentali, e questi passi avanti decisivi sono stati compiuti quando il popolo siciliano è stato unito, compatto verso determinate mete. Se voi ripercorrete la storia della Sicilia dal 1860 ad oggi, individuate immediatamente alcuni di questi periodi: gli anni di poco successivi alla spedizione dei Mille, quando in Sicilia fermenta un'agitazione che costringe la classe dirigente a cominciare la costruzione delle prime strade, dei primi ospedali, delle prime scuole, qualcosa insomma che nonostante tutto non esisteva ai tempi dei Borboni; se fate un balzo avanti, incontrate nei moti dei Fasci siciliani un altro momento di grande progresso del popolo siciliano; nel primo dopoguerra si sviluppa un largo movimento di massa così in Sicilia come in tutta Italia; e infine non dimentichiamo quello che è stato il processo di avanzamento da una decina d'anni a questa parte. Questa coscienza dell'autonomia siciliana che si è venuta formando e che ha costituito i propri istituti giuridici e politici, non è stata una grande svolta nella storia siciliana? L'autonomia è uno strumento di portata storica, di cui i siciliani per primi, naturalmente, devono valutare tutta l'importanza.

Ma questi avanzamenti è vero si sono compiuti in tutti i tempi tra resistenze, ostacoli, repressioni ricorrenti: così nel 1866, così nel 1894 così nel 1922, così sotto i nostri occhi in questi anni. Per questo non possiamo e non dobbiamo abbandonarci a un facile ottimismo: questo ammonimento ci veniva poco fa anche dal nostro Carlo Levi. Non dobbiamo abbandonarci a un facile ottimismo, ma d'altra parte dobbiamo, dalla constatazione delle difficoltà, trarre una volontà di movimento e di lotta. Non è vero che nulla si può fare, che nulla si è mai fatto: si è fatto e si può fare!

Quali le cause, non certo dell'immobilità, ma delle difficoltà e dei ritardi? Ebbene, non credo che queste cause si possano cercare esclusivamente nello stretto ambito dell'isola siciliana, ma in quello più ampio dei rapporti tra la Sicilia e l'Italia nel quadro della lotta politica e sociale italiana nel suo complesso: cioè nei mezzi istituiti, nella direzione della vita politica italiana, dalla classe dirigente nazionale nel suo insieme. Questo Stato italiano come nacque? Nacque sulla base di certi rapporti di forze, a immagine e somiglianza degli interessi della classe dirigente, che aveva interesse a mantenere in una condizione di relativa immobilità talune parti di Italia e soprattutto taluni ceti del popolo italiano.

Si tratta dunque di lottare contro le forze della resistenza, e quello che si ottiene nel movimento e nella lotta dipende dalle forze che si possono mettere in campo. Ora, è qui - mi pare - la grande novità storica della Sicilia di oggi: che oggi il popolo siciliano è in grado di mettere in campo una forza che finora non aveva mai avuto a sua disposizione. Da una parte, infatti, esso dispone ormai di uno strumento nuovo, quale l'autonomia, la cui coscienza mi sembra si sia venuta grandemente rafforzando in questi ultimi anni; dall'altra una parte almeno della classe dirigente isolana, che una volta era nemica del popolo, si è venuta spostando su posizioni nuove, il che ha dato luogo ad alleanze politiche che costituiscono il fenomeno saliente non solo della Sicilia, ma dell'Italia d'oggi.

Parlavo poco fa col vostro Sindaco, il quale mi illustrava, con la competenza che gli viene dalla passione con cui si è sempre dedicato ai problemi di Scicli, alcuni dettagli della vita di questa città. E io sentivo attraverso le sue parole come in poco tempo siano state almeno avviate a soluzione alcune questioni che da anni e da secoli attendevano anche semplicemente una prima deliberazione: e ciò, grazie ai nuovi ordinamenti autonomistici.

C'è, dunque un'accelerazione nel moto, ch'è dovuta principalmente e forse esclusivamente a questa nuova capacità che ha il popolo siciliano di far sentire che esiste, che vuole avanzare e progredire, che non intende più di vivere nelle condizioni in cui è vissuto da tempo immemorabile. E se oggi gli uomini di cultura si legano al movimento e alla lotta della Sicilia, questo è dovuto al popolo siciliano, è dovuto alla forza con cui il popolo siciliano esprime se stesso e le proprie esigenze. Questa forza si riflette, in maniera impossibile ad essere elusa, sugli uomini di cultura, i quali non possono sottrarsi alla spinta che promana dalla vostra Isola. E' quindi un merito della Sicilia, perchè adesso la Sicilia è nuova! I problemi non si risolvono in un giorno, ma con la tenacia, con la compattezza, con la decisione. Con questi sentimenti, voi dovete guardare al futuro, con fiducia e con speranza.

Pier Paolo Pasolini

Vorrei aggiungere una brevissima postilla alla risposta di Alatri. Secondo me occorre sottolineare le cose da lui dette entrando più nel merito e rispondendo con maggiore precisione alla domanda rivoltagli dall'amico. In sostanza, una domanda molto semplice. L'amico si meravigliava del perchè e si chiedeva come mai la classe dirigente italiana, dal 1860 ad oggi, abbia trattato la Sicilia in modo non dissimile se non peggiore di come la trattarono i Borboni. Con la sua lucida, precisa, ostinata intelligenza siciliana egli non riusciva, in altri termini, a rendersi conto del perchè la classe dirigente italiana, dal 1860 in poi, sia stata oltretutto così idiota. Mi pare che ci sia da confermare il dubbio dell'amico con due sole parole: la classe dirigente italiana è stata idiota, se non criminale.

Giuseppe Portelli

(Maestro)

Le considerazioni del professor Alatri mi pare meritino di essere completate tenendo conto del fatto che a tutti i malanni che non videro la fine con l'unificazione della Sicilia al resto d'Italia si aggiunge quello, particolarmente grave da noi, del distacco degli intellettuali dai contadini e dalle masse popolari in generale. L'incontro che tra di noi sta avvenendo oggi nella sala del Consiglio comunale di Scicli è la prova che molte cose sono cambiate. Nella passata storia della nostra Sicilia non c'è traccia di incontri di questo genere come scarsissime sono le tracce d'un vero mutuo scambio delle idee fra popolo e intellettuali. E lo asserisce un uomo come me che, nato a sua volta nelle Grotte di Chiafura, ha fatto, per vivere, un duro mestiere fino a 18 anni, e che ha conquistato un titolo di studio quando era già adulto. I contadini non hanno mai avuto, prima d'ora, una coscienza sicura dei propri diritti umani e quindi culturali. Tuttavia il popolo vive ancora per conto suo. Gli incontri, come quello di oggi, hanno per il solo fatto che sono possibili, una grande importanza. Ma non bastano. L'iniziativa degli scrittori e degli artisti deve spingersi più oltre. Tocca ai più avanzati tra di essi raccogliere la voce del popolo e farla vivere per iscritto. Questo mi pare un fatto che non può essere trascurato se si vuol cogliere la complessità della realtà meridionale.

Trombadori

Carlo Levi ha esposto in termini molto generali, ma al tempo stesso toccanti e umani, la sua esperienza di uomo legato alle lotte e alla realtà del Mezzogiorno. La sua analogia tra il movimento di liberazione delle grandi masse lavoratrici meridionali del nostro paese e il presentarsi alla ribalta della storia di popoli interi che, fino a ieri, furono oggetto della storia (è questa un'evidente allusione al valore della rivoluzione d'ottobre, della rivoluzione cinese e del moto di affrancamento anticoloniale) credo possa trovare d'accordo anche chi come me è portato, per le sue convinzioni ideologiche e per le sue posizioni politiche, a vedere tutto ciò come il risultato dell'affermarsi su scala mondiale, del socialismo quale possente e insostituibile matrice di liberazione collettiva e individuale.

Mi pare che il nostro vero punto di incontro risieda là dove Carlo Levi ha indicato quale condizione fondamentale della lotta per un mondo nuovo la presa di coscienza da parte del popolo della necessità d'un movimento che superi le contingenze e miri a una generale trasformazione dell'ordine esistente. Noi sappiamo che questa coscienza è oggi a disposizione del popolo italiano, e meridionale in particolare, non soltanto come l'inevitabile portato del progresso storico ma come il faticato frutto delle lotte pratiche e ideali che sono state condotte da parte di chi sa che le idee contano se camminano sulle gambe degli uomini e che la coscienza stessa, non è definibile se non come forza attiva ed organizzata.

Vorrei, a mia volta, attirare la vostra attenzione sulla complessità dei motivi che hanno portato a questo incontro di Scicli. Vi è ovviamente un motivo politico, il medesimo per cui, pur essendo noi uomini di diverse convinzioni, siamo fermamente uniti nell'apprezzamento che si deve dare dell'attuale momento storico e dell'attuale lotta del popolo siciliano. Ma vi è un motivo, non meno profondo, di natura ideale e culturale. Le idee politiche di Levi, di Pasolini, di Guttuso hanno camminato di pari passo con le loro convinzioni di poeti e di artisti. Voglio dire che la loro opera creativa non è concepibile al di fuori di quel rapporto tra popolo e intellettuali che tanto ha fatto difetto nella formazione della coscienza nazionale italiana. Si potrà apprezzare con maggiore o minore adesione ciò che individualmente Levi, Guttuso e Pasolini hanno raggiunto in questo ordine di ricerca; non v'è dubbio però, che nella loro opera si riflette uno sforzo continuo per conoscere, comprendere ed elaborare i sentimenti popolari, non soltanto per fotografarli rimanendone estranei ma per partecipare alla loro trasformazione in superiore coscienza della realtà. E' il principale aspetto di quella che noi chiamiamo, con un termine molto generale, la questione del realismo. Ecco il motivo che toglie a questo incontro di Scicli ogni transitorio sapore di avvenimento propagandistico e che farà delle nostre azioni pratiche per denunciare l'infamia delle grotte e dei cavernicoli, un fatto sociale e culturale ispirato a un profondo bisogno morale e a una profonda convinzione ideale.

Su questo aspetto dell'incontro io richiamo l'attenzione vostra. Il movimento popolare siciliano, così ricco d'un patrimonio pratico-politico che lo fa tuttora primeggiare in Italia, ha un prepotente bisogno di esprimere il suo potenziale di rinnovamento culturale e artistico. Io condivido pienamente le osservazioni di Carlo Levi sul Gattopardo. E vorrei aggiungere che quel libro non è deprimente soltanto perchè imbevuto di quel pessimismo irrazionale e di maniera che rimane incapace di accendere l'ottimismo della volontà, ma perchè, in modo specifico, generalizza un luogo comune che tanta parte della cultura siciliana tradizionale ha alimentato: vale a dire la figurazione deformata d'una Sicilia che, avendone tante viste e tante sopportate senza mai scorgere luce, dovrebbe unicamente preoccuparsi di filosofare sull'inutilità delle cose umane e rinunziare a qualsiasi intervento modificatore. E' questo un luogo comune al quale non rimase estraneo neppure il grande realismo di Giovanni Verga, per i suoi limiti fatalistici, e, tanto meno, lo scrittore antifascista al quale voi avete intitolato il vostro circolo, Vitaliano Brancati, per i limiti della sua satira di costume rimasta quasi completamente insensibile alla ben più profonda critica e alla ben più profonda ironia del popolo contro le classi dirigenti. Guai a noi se continuassimo a leggere questi scrittori, ai quali pur tanto debbono le lettere italiane, secondo la chiave gattopardesca del luogo comune della Sicilia immobile e rassegnata (e, peggio, beata o addirittura superba della sua immobilità e rassegnazione). Non vedremmo più ciò che in Verga e nello stesso Brancati è invece per sempre vivo, capiremmo male le stesse proposte di autocritica da essi avanzate al popolo siciliano nel suo complesso, e, soprattutto, non vedremmo più ciò che la presa di coscienza di cui Carlo Levi parlava, ha già messo a disposizione anche della ricerca artistica e della creazione d'una nuova cultura.

Ugo Melfi

(Professore di francese)

Mi pare che di un altro fatto si debba tener conto per comprendere fino in fondo i mutamenti della realtà meridionale e per vedere nella sua interezza politica e psicologica quello che è stato definito un processo di presa di coscienza da parte del popolo. Oggi il popolo siciliano è cosciente che la responsabilità della sua miseria non gli spetta, poichè essa è tutta della classe dirigente padronale. Fino a poco tempo fa, da noi, la miseria era accettata come una malattia e come tutte le malattie anche la miseria cercava di tenersi segreta. Da noi un tubercoloso, per esempio, non voleva andare all'ospedale, perchè non voleva far sapere a nessuno di essere ammalato. Ne aveva ritegno e quasi vergogna. Oggi questo non accade più. Anche l'uomo del popolo quando è ammalato va all'ospedale, non ha ritegno di far conoscere la sua malattia: ha capito che la colpa non è sua. E avendo, in pari tempo, capito che non è sua la colpa della miseria in cui vive l'intera isola non soltanto non ha vergogna di mostrarla ma ne ricerca i rimedi nella lotta contro i responsabili. La classe dirigente della Sicilia è stata sempre uguale, da secoli, sotto tutti i governi, sotto tutte le dominazioni. La coscienza di questa verità s'è fatta strada malgrado tutti gl'intoppi, anche di ordine intellettuale e discendenti dall'alto sotto le vesti di mistificazione culturale; la mente del contadino ne ha fatto giustizia sottoponendoli alla critica dei fatti e si è appropriata della convinzione che la miseria non è inevitabilmente connessa al destino del lavoratore. Mi pare che questa sia una garanzia per il superamento delle attuali condizioni.

Gaetano Giavatto

(Maestro)

Vorrei sapere da Pasolini, da Guttuso, da Levi e da tutti gli altri qualcosa di più preciso sulle impressioni ricevute dalla visita alle grotte e se credono che qualcosa di pratico sarà possibile fare per denunciare ancora una volta e risolvere questo gravissimo problema.

Melfi

Lo diranno a tutti e noi non ce ne vergogneremo.

Levi

Questa è la migliore risposta.

Pasolini

Ripeto con Levi che questa è la migliore risposta. Lo diremo a tutti e voi non ve ne vergognerete perchè la lotta del popolo siciliano ha da tempo superato i limiti della pura denuncia. Il popolo siciliano non ha più vergogna della propria miseria, mi pare possa essere lo slogan della nostra riunione, perchè dalla miseria è intenzionato ad uscire. 

Quanto alle mie personali impressioni, non so se conoscete quel che finora ho scritto. Generalmente il mio argomento sono le borgate di Roma. Si tratta d'una cosa spaventosa, della quale forse non avete idea. Uomini che vivono in tuguri, forse peggiori delle grotte di Scicli. Ci sono cavernicoli anche a Roma a duecento metri dal Vaticano dove abita il Papa: duecento metri in linea d'aria, al Gelsomino, una borgata che nulla ha da invidiare alle grotte di Chiafura, ve lo assicuro! Ma mentre nelle grotte di Scicli si avverte lo sforzo degli abitanti verso una vita dignitosa, nelle borgate romane, non per colpa di chi le abita, ma a causa dell'ambiente cittadino che le circonda e delle condizioni storico-sociali nelle quali si sviluppa la cultura del popolo, molto spesso nemmeno si avverte l'aspirazione a una diversa dignità e onestà di vita. Quindi la miseria è doppia: una miseria oltrechè fisica, oltrechè materiale, anche morale. Io son venuto alle grotte di Scicli ben immunizzato dalla mia quotidiana esperienza romana. La mia impressione quindi non è stata traumatica, violenta. Permettetemi invece di dire che quel che mi ha davvero colpito a Scicli sono gli elementi positivi, di movimento e di coscienza. Rare volte nella vita mi è capitato di trovarmi a parlare con gente come voi, così viva, così onesta.

...

Il dibattito continua con gli interventi di:

Ennio Firullo

(Vice-sindaco - medico)

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Guttuso

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Giuseppe Cartia

(sindaco di Scicli) 

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Curatore, Bruno Esposito

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