"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Pier Paolo Pasolini
Calderon
di Bruno Esposito
L’opera teatrale 'Calderón' di Pier Paolo Pasolini, composta nel 1966 e pubblicata nel 1973, è unanimemente considerata il vertice della drammaturgia pasoliniana e una delle prove più mature e complesse del teatro italiano del secondo Novecento. Ispirandosi a 'La vida es sueño' di Pedro Calderón de la Barca, Pasolini trasferisce i motivi e la struttura di quel classico del Siglo de Oro spagnolo nella Spagna franchista del 1967, operando una potente riscrittura che impasta temi metateatrali, storici e politici, con la carica espressiva lirica e autobiografica che caratterizza tutta l’opera pasoliniana.
'Calderón' non è soltanto una trasposizione moderna di un grande classico: è soprattutto una riflessione radicale sulla crisi dell’identità, il potere, la repressione, l’impossibilità della fuga individuale e collettiva di fronte all’omologazione e all’autoritarismo. L’opera si distingue per la struttura meta-narrativa e per l’uso di molteplici livelli di realtà e sogno, in cui la protagonista, Rosaura, attraversa e incarna di volta in volta classi sociali e storie diverse, in un escalation di risvegli che si rivelano solo ulteriori illusioni.
Protagonista assoluto è il confronto tra sogno e realtà, tra individuo e potere, tra il desiderio di evasione e la costrizione della storia. L’ambientazione nella Spagna franchista, e la scenografia che richiama il quadro 'Las Meninas' di Velázquez, sono strumenti potenti per riflettere in parallelo anche sulla società italiana ed europea degli anni Sessanta e Settanta.
Personaggi principali
Rosaura:
Protagonista assoluta; attraversa identità (aristocratica, proletaria, borghese, prigioniera); vittima sacrificale e capro espiatorio; rappresenta la crisi d’identità, la repressione e l’impossibilità della liberazione.
Basilio:
Padre/Marito di Rosaura; rappresenta il potere patriarcale e autoritario; trasforma e controlla a proprio piacere i destini familiari e sociali; è il re, il borghese, il marito-benpensante. Simbolo dell’autorità, della repressione e del controllo sociale.
Sigismondo:
Vero padre di Rosaura; ex rivoluzionario, antagonista alla borghesia, ma anche figura tragica dell’impossibilità della vera rivoluzione.
Dottore e osservatore critico; figura razionale; interpreta la malattia di Rosaura e denuncia la decadenza borghese.
Sorelle di Rosaura; fungono da “accompagnatrici” nei diversi sogni, rappresentano le diverse sfaccettature della società femminile e l'impossibilità di solidarietà reale.
Pablo:
Figlio di Rosaura; giovane borghese drop-out, omosessuale; simbolo della diversità e della ribellione giovanile; incarnazione del tema identità/alterità.
Enrique:
Studente rivoluzionario, proiezione dei sogni del Sessantotto; rappresenta la speranza e la contestazione, ma anche il fallimento delle utopie.
Doña Lupe:
Madre di Rosaura; rappresenta la borghesia conservatrice, complice della repressione.
Leucos/Melainos:
Servi di Basilio, figure simboliche (tenebra/luce), strumenti del potere nei sogni di Rosaura.
Speaker:
Figura metateatrale e alter ego dell’autore; introduce la vicenda e riflette sul senso del teatro e della rappresentazione.
Lo stesso Sigismondo pasoliniano paragona la protagonista al protagonista di Calderón:
"Sigismondo la paragona al protagonista di La vida es sueño di Pedro Calderón de la Barca che porta il suo nome..."
Il tema fondamentale del rapporto tra sogno e realtà, tra libertà e destino, viene reinterpretato in chiave storica, politica e sociale, mostrando come la fuga nel sogno non sia altra via che un nuovo tipo di prigione:
"Non ho sognato niente, perché questo è un sogno"
Nella lettura pasoliniana, la prigionia dell’individuo non è solo metafisica, ma soprattutto sociale:
"La prigione umana risulta conseguente a dinamiche di ordine sociale, politico ed economico della modernità del capitalismo"
L’intera tragedia si articola in sedici episodi e tre "stasimi", secondo una struttura che richiama la tragedia greca ma che si scompone in una serie di scene-sogno in cui la protagonista, Rosaura, attraversa mondi differenti, cercando invano la libertà.
I sogni di Rosaura
Ogni sogno costituisce una realtà alternativa, una condizione sociale in cui Rosaura si risveglia ogni volta spaesata, domandandosi:Calderon (1992/93) - Teatro Stabile Torino
"Rosaura si sveglia nella notte, chiedendo dove essa si trovi come se avesse perso la memoria"
- Primo sogno (Aristocrazia, episodi 1–6): Rosaura è figlia di un ricco possidente madrileno, schiava delle convenzioni aristocratiche, vive con la madre Lupe, la sorella Stella e il padre Basilio, e si innamora di Sigismondo, ex contestatore del regime, che scopriremo essere suo padre, nato da una violenza sulla madre.
- Secondo sogno (Proletariato, episodi 7–11): Rosaura è una prostituta in un lurido bordello di Barcellona, sorella di Carmen, e si innamora di Pablo, giovane omosessuale, che si rivelerà essere suo figlio, frutto dello stupro subito nel primo sogno.
- Terzo sogno (Borghesia, episodi 12–16): Rosaura si risveglia come moglie borghese, malata di afasia, circondata da una famiglia rispettabile (il marito Basilio e i figli Carlos e Carmencita), e intreccia un legame amoroso con Enrique, giovane rivoluzionario, in fuga dalla repressione del regime.
- Sogno finale (Lager): Rosaura si risveglia, ultima volta, rinchiusa in un lager nazista, sfibrata, sognando la liberazione da parte del popolo, "fasciato dei colori del comunismo". La risposta di Basilio è conclusiva:
"Un bellissimo sogno, Rosaura, davvero un bellissimo sogno. Ma io penso (ed è mio dovere dirtelo) che proprio in questo momento comincia la vera tragedia. Perché di tutti i sogni che hai fatto o che farai si può dire che potrebbero essere anche realtà. Ma, quanto a questo degli operai, non c’è dubbio: esso è un sogno, niente altro che un sogno"
L'Aristocrazia
Nel primo episodio, Rosaura si sveglia come figlia di una ricca famiglia aristocratica, con la sorella Stella accanto che tenta di ricostruirle la memoria. Qui l'ambientazione richiama fortemente 'Las Meninas': la tenuta familiare, scherzosamente denominata 'il palazzo d’Inverno', è ricca e opulenta.Calderon (1992/93) - Teatro Stabile Torino
Nel secondo e terzo episodio, la madre (Doña Lupe) e la zia Doña Astrea discorrono della loro condizione borghese-aristocratica, tra rimossi e apparenti certezze religiose. L’arrivo di Sigismondo—amico del padre, ex rivoluzionario tornato dall’esilio—introduce nella storia il conflitto tra vecchi ideali e la restaurazione borghese, nonché il tema del desiderio (Rosaura si innamora di lui).
Segue una scena fortemente teatrale, in cui Basilio e Lupe appaiono riflessi nello specchio come i sovrani del celebre quadro di Velázquez, discutendo sull’impossibilità di infrangere le regole morali della società. Quando Rosaura dichiara il suo amore per Sigismondo, questi le rivela la verità: è figlia di una violenza subita da Lupe, perpetrata proprio da Sigismondo stesso. L’amore di Rosaura diviene così impossibile, segnato da una dimensione incestuosa e tragica.
Il Proletariato
Nel secondo ciclo di episodi, Rosaura si risveglia come prostituta nei bassifondi di Barcellona, in una misera baracca soprannominata 'La Fogna'. Questa volta è la sorella Carmen ad accompagnarla nel risveglio, immergendola in una routine fatta di degrado e sottomissione all’ordine sociale. L’anello aristocratico viene qui sostituito dalla catinella per lavarsi le parti intime: il passaggio dal lusso allo squallore è frontale e violento.
Al centro di questa sequenza compare Pablo, giovane di origini borghesi omosessuale e a disagio, che viene trascinato dagli amici alla prostituta per “fare l’esperienza”. Tra i due nasce un legame particolare, ed emerge la discussione sulla libertà e sulla società che opprime i “diversi”. Solo in seguito, un prete rivelerà a Rosaura di essere la madre biologica di Pablo, avuto precocemente e ceduto da Carmen e dalla madre a una famiglia benestante. Ancora una volta, l’amore di Rosaura, questa volta materno-filiale, si rivela incestuoso e impossibile, mentre la sua stessa identità viene annullata dalla brutalità delle convenzioni e dall’assoggettamento alla marginalità.
La Borghesia e il Manicomio
Il terzo sogno si svolge in un ambiente medio-borghese, dove Rosaura è moglie di Basilio (ora benpensante e apparentemente neutro rispetto al regime, ma in realtà icona della nuova borghesia complice del potere). La donna soffre di afasia, malattia del linguaggio che si rivela essere sintomo della sua incapacità di adattarsi alle nuove richieste sociali e al vuoto della realtà borghese. Il medico Manuel discute con i presenti sulla natura della malattia—la nega come vera patologia e la diagnostica piuttosto come strategia di fuga dalla crudeltà del mondo.Calderon (1992/93) - Teatro Stabile Torino
Durante una festa familiare Rosaura si addormenta accanto a Enrique, giovane rivoluzionario e dissidente (accostato allegoricamente alle contestazioni giovanili del ’68), mentre fuori si sentono rumori di sciopero, manifestazioni e lotte operaie. Basilio, ormai incarnazione gelida, assiste alla crescita dell’amore tra Rosaura e Enrique e denuncia quest’ultimo alle autorità, a conferma del totale asservimento al potere.
Il Lager come Destino Finale
Negli ultimi due episodi, la scenografia si trasfigura in un lager nazista, dove Rosaura, ormai ridotta a uno scheletro, racconta la propria condizione di prigioniera delle istituzioni totali. Basilio la ascolta e le nega illusioni di liberazione, liquidando l’utopia della rivoluzione operaia come un “bellissimo sogno”, ma nulla più.Calderon (1992/93) - Teatro Stabile Torino
Ogni sogno è introdotto da un risveglio-confusione, dalle identità fluide dei personaggi secondari (le sorelle Stella, Carmen, Agostina), e attraversato dalla presenza costante di Basilio (padre, marito, Re, simbolo del Potere) e dello Speaker, voce dell’autore e guida metateatrale. La scena si chiude sempre su una sospensione, su una domanda inevasa:
"La porta si può chiudere e aprire solo dal di fuori".
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Il ciclo dei risvegli e delle identità frammentate attraversate da Rosaura rappresenta al contempo la stratificazione della società spagnola/franchista (e di ogni società autoritaria e omologata) e la crisi dell’individuo schiacciato dalla storia. Ogni tentativo di evasione (incarnato dal sogno) è frustrato dalla ripetizione di schemi sociali, familiari e psicologici che riportano al centro il confronto fra individuo e Potere.
Il tema centrale che attraversa tutta l’opera è quello della identificazione tra sogno e realtà. Rosaura si “risveglia” sempre in una nuova dimensione, priva di identità, con la sola certezza che la realtà attuale–quella che sta vivendo–altro non è che un sogno, destinato a sua volta a dissolversi. Questo meccanismo, che richiama apertamente la struttura originale di 'La vida es sueño', viene tuttavia profondamente rovesciato: se nella versione seicentesca, la riflessione calderoniana portava a un insegnamento moralistico sul dominio di sé, in Pasolini il sogno è la metafora della prigione sociale, in cui ogni evento umano si rivela illusorio, ogni tentativo di evasione fallisce.
Pasolini trasforma il sogno/teatro in uno spazio claustrofobico dove, come sostiene Georgios Katsantonis: “il sogno non è più luogo di libertà ma diventa meccanismo di reclusione e controllo; la scena è uno specchio deformante della realtà, un rituale carcerario”. La costante alternanza fra realtà e allucinazione, fra superfici specchianti e ambientazioni irreali, sottolinea la perdita di ogni certezza ontologica dell’identità individuale.
L’intervento della figura dello speaker che si rivolge alla platea in apertura e nei passi centrali e finali, accentua ulteriormente la riflessione metateatrale: ogni livello di rappresentazione si scioglie rivelandosi finzione, maschera, impossibilità di legame autentico con la verità.
Basilio - nella sua triplice incarnazione di padre, re e marito—incarna la presenza del potere patriarcale, repressivo, cieco. Egli si serve degli altri personaggi, manipola i destini, soffoca ogni anelito di libertà, “guarisce” Rosaura solo per riportarla in una condizione di passiva accettazione del proprio ruolo, mettendo così in scena una parabola della sconfitta di ogni tentativo di emancipazione.
Il Potere – impersonificato sempre da Basilio – è l’elemento che conforma, reprime e istituzionalizza. Non solo si adegua sapientemente al tempo – padre e re, astrazione divina nel sogno proletario, marito borghese negazionista nel sogno piccolo borghese – ma fonda la sua autorità sulla nascita e sull’accettazione sociale:Calderon (1992/93) - Teatro Stabile Torino
"Basilio, che rappresenta il potere stesso, ha compreso di come Rosaura tenti di fuggire ad esso rifugiandosi nel sogno e plasmando quindi la realtà, senza però trovare una soluzione."
"Il nostro essere borghesi include sentimenti antichi come quello, per una donna, di amare il proprio padre e di essere amata dal proprio figlio: ancora per qualche anno, il riunire questi due amori fa parte del mestiere di marito."
"Il Potere PUÒ essere buono, anzi DEVE essere buono."
Basilio – e di riflesso la borghesia – si appropria del linguaggio della contestazione per inghiottirla e neutralizzarla:
"Il Potere si è servito di chi lo ha criticato per comprendersi dubbiosamente, prima. Poi si è servito di chi si è ribellato a lui in modo estremo, per avere estrema coscienza di sé."
Ecco la parabola fungibile del potere: si mostra prima come forza apertamente fascista, poi come colonna della borghesia “aperta”, ma in entrambi i casi è implacabile.
L'opera si chiude con la liquidazione dell’unico sogno utopico (la liberazione operaia): Basilio dice “questo degli operai è solo un sogno, niente altro che un sogno”, sottolineando il pessimismo storico di Pasolini sul Sessantotto, visto non come rivoluzione salvifica, ma come un tentativo velleitario della borghesia di perpetuare il suo potere.
Rosaura assume nel testo tre, se non quattro, identità diverse, ognuna delle quali le è comunque imposta e subita: da aristocratica, a prostituta, a borghese; donna, madre, figlia, amante incestuosa; ma mai veramente padrona di sé stessa:
"La soluzione che adotta Rosaura per cercare una ipotetica libertà è appunto il sogno, nel quale si rifugia e tramite il quale adotta tre diverse identità."
Questa moltiplicazione di ruoli evidenzia la crisi drammatica dell’individuo moderno:
"Io non sono più soltanto io. Che cosa mi si è aggiunto? Qualcosa che ero già o che dovevo ancora essere?"
Ogni identità è attraversata da segreti, reati (l’incesto), frustrazioni e desideri irrealizzabili, che si rimbalzano l’un l’altro come in una vertigine onirica di specchi e doppi.
Se la sua amnesia iniziale è presentata come condizione clinica, il dottor Manuel la smaschera: “La sua afasia è una scusa per non raccontare i suoi sogni. Finge di non distinguere i nomi delle cose, semplicemente perché le cose erano troppo cattive: vivere tra esse era come vivere in un lager”. La crisi dell’identità di Rosaura è la crisi di una donna (e di un individuo) imprigionato nelle gabbie della storia, del sesso, della famiglia, della classe sociale, della lingua stessa.
Il testo mostra in modo feroce l’invasività di una repressione che è sempre e comunque sociale, anche quando si declina in forme differenti: manicomiale, sessuale, psichica, domestica, ecclesiastica e infine totalitaria:
"La repressione è esercitata dal potere borghese. Rosaura viene rinchiusa in manicomio: Che le dò la sua libertà. Le apro le porte della prigione, o della casa di cura, o del convento..."
"La mia vera vita si svolge, in realtà, in un lager, in un gelo tenebroso."
Nessuna fuga è davvero possibile: il potere trova sempre nuovi strumenti, nuovi spazi e nuovi linguaggi per riaffermare sé stesso, come dimostra la parabola di Basilio.
'Las Meninas' è uno dei quadri più enigmatici e discussi dell’arte occidentale: vi sono rappresentati la famiglia reale, la corte, lo stesso Velázquez che dipinge e, tramite il gioco degli sguardi e degli specchi, lo spettatore stesso è incluso nella scena. Pasolini riprende questa struttura per mettere in scena il potere rappresentato dai sovrani Basilio e Lupe, la corte fatta famiglia, gli spettatori/attori come burattini, con i personaggi intenti a richiamare la propria condizione di prigionieri in un quadro/teatro.
Il palazzo di Rosaura è “il palazzo d’Inverno” e la stessa Rosaura riceve, nel primo sogno, l’anello di famiglia, “lo stesso che Velázquez dipinse nel quadro”. La scena si fa tableau vivant, la suddivisione degli spazi teatrali ricalca quella della tela, e la riflessione sul potere diventa riflessione sull’impossibilità dell’artista (pittore, drammaturgo, protagonista) di sfuggire all’autorità costrittiva del quadro/teatro.
Nel finale di 'Calderón', la condizione della protagonista si fa apertamente lagerizzata: l’ultima scena si ambienta non genericamente in una prigione, ma in un campo di concentramento, che Pasolini non esita ad assimilare alla prigione della borghesia e dello Stato capitalistico moderno. La metafora della società come lager ritorna, in parallelo, anche nella riflessione pasoliniana su Salò, sulla società dei consumi e nella sua polemica sul “nuovo fascismo” della modernità: non più una prigione/torre di Sigismondo, ma “istituzioni totali” che assoggettano i corpi e plasmano i desideri e i sogni.Calderon (1992/93) - Teatro Stabile Torino
La scelta del nome e della struttura dell’opera è dichiaratamente ispirata a 'La vida es sueño': ne rimangono i nomi (Basilio, Rosaura, Sigismondo), la tematica dell’apparenza, dell’illusorietà della realtà, della fragilità della libertà umana. Ma in Pasolini la svolta è totale: se in Calderón de la Barca la coscienza cristiana porta al superamento della predestinazione grazie al perdono e alla misericordia, nell’autore italiano il destino si fa ineluttabile, la libertà soltanto utopia onirica. Il “risveglio” non coincide più con l’ingresso nella realtà, ma con una nuova forma di incubo e asservimento.
Il sogno come strategia di resistenza è al contempo extrema ratio ed ennesima illusione. Nel finale, la liberazione dagli operai con le bandiere rosse è esplicitamente relegata da Basilio alla categoria dell’irrealtà: “un bellissimo sogno, Rosaura, ma niente altro che un sogno”.
'Calderón' di Pier Paolo Pasolini è molto di più di una riscrittura contemporanea di un classico seicentesco. È un dispositivo tragico, filosofico e politico che interroga la natura della realtà, la funzione della prigione sociale, il rapporto fra individuo e storia, la dissoluzione di ogni identità in un gioco infinito di specchi, ruoli e maschere.
La scelta di ambientare l’opera nella Spagna franchista diventa occasione per riflettere, tramite lo strumento teatrale e la metafora del sogno, sulla persistenza e la pervasività del potere, sulle illusioni della rivoluzione, sulla complessa dialettica tra ribellione e omologazione. Rosaura, vittima esemplare del potere, attraversa tutti gli inferni possibili della società moderna—aristocratica, proletaria, borghese, prigionia—senza mai incontrare una vera salvezza.
Attraverso i continui riferimenti a 'Las Meninas' di Velázquez, Pasolini mette in scena l’impossibilità della fuga: ogni atto umano è un gioco di rimandi ottici e teatrali, uno specchio che riflette un altro specchio. La liberazione finale, affidata al desiderio—l’adunata degli operai con le bandiere rosse—rimane nel regno del sogno, pronto a essere smentito dal potere.
In un paese, l’Italia, segnato allora da nuove forme di repressione mascherate da liberazione, 'Calderón' resta attualissimo, richiamando i lettori e gli spettatori di oggi a chiedersi: quante delle nostre realtà sono solo sogni (o incubi) indotti dal Potere? E, soprattutto, come uscirne? La risposta, per Pasolini, è nell’amare la parola poetica e l’arte come unica, dolente, impronunciabile forma di resistenza.
Bruno Esposito
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