"Le pagine corsare " dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Pier Paolo Pasolini
DALLA LINGUA AL FRIULANO
CE FASTU?
Rivista della società filologica friulana
31 dicembre 1947 - numero 5-6
Premettiamo che della parola «tradurre» non ci sfuggono i significati più difficoltosi, e che è entro i termini del «traducibile» e dell’«intraducibile» che si muovono le più acute suggestioni della nostra poetica friulana; vogliamo dire che l’ossature délicate del nostro dialetto-linguaggio pur nell’ambito della lingua, ossia della traducibilità, non si nega affatto ai rischi dell’indefinitezza estetica, ossia dell’intraducibile...
Ma non è di ciò che intendiamo occuparci in questa breve nota; quanto ora ci importa è un dato esterno e utilitario del tradurre (e per quel che riguarda le difficoltà banali e già risapute della traduzione, rimandiamo ai saggi di Solmi, Montale, Ungaretti ecc. raccolti dall’Anceschi in un interessante volume). Il friulano ha bisogno di traduzioni essendo queste il passo più probatorio per una sua promozione a lingua. È vero che per noi il friulano è aprioristicamente lingua, a parte le considerazioni glottologiche (un deliberato ritorno all’Ascoli) e a parte lo sforzo cosciente di usarlo in condizioni di parità se non di uguaglianza con le grandi lingue romanze; tuttavia una prova come quella del tradurre verrebbe a costituire un terzo fatto, se non molto profondo, almeno perentorio.
È il momento quindi di riproporci il problema con dei termini nostri: non si tratterebbe (e qui si innesta la nostra polemica anti-zoruttiana e anti-vernacola) di ridurre, ma di tradurre; cioè non si tratterebbe di trasferire la materia da un piano superiore (la lingua) a un piano inferiore (il friulano), ma di trasporla da un piano all’altro a parità di livello. Può darsi che anche in questo secondo caso il testo italiano, francese o spagnolo risulti menomato: ma ciò è fatale per qualsiasi umana traduzione (fatalità a cui, del resto, teoricamente non crediamo); ad ogni modo la dignità del friulano sarebbe egualmente dimostrata anche da una mediocre riuscita di una simile operazione. Ma si pensi all’umiliazione inferta al friulano dai traduttori, battezziamoli pure a questo modo, zoruttiani, ossia dialettali. Essi danno al testo tradotto (i Paralipomeni, la Divina Commedia ecc.) una nuova natura, tutto il cromatismo, il descrittivismo e l’implacabile buon umore del dialetto, riuscendo così ad una (voluta, è vero) deformazione o ripetizione caricaturale del testo. Per noi, tutto al contrario, la traduzione dalla lingua al friulano richiede un gioco difficile di sostituzioni foniche e melodiche, che, senza degradare il testo a un rango più basso, lo spogli della sua pienezza letteraria, del suo timbro di grande lingua, e lo renda alle acerbità e alle grazie di una lingua minore ma non mai dialetto. Indichiamo questa fatica a chi ami il friulano non a parole, e avvertiamo che autori da tradurre possono essere trovati in tutte le letterature romantiche (dalla Germania alla Spagna; mentre in Italia crediamo che non ci sia molto materiale che faccia al caso nostro). Noi abbiamo tentato traduzioni soprattutto dai moderni, in quanto presentano difficoltà il cui superamento sarebbe stato più probatorio per il friulano, mettendolo al confronto con una esasperata coscienza linguistica. Abbiamo tradotto quindi da Ungaretti, ad esempio questo Peso:
Chel contadìn
al spera ta la imàzin
dal so Sant
e al para via lizèir.
Ma crota e bessola
senza fiabis
jo i puarti la me anima.
da C.M. Scott:
Se i pòssiu dati pì di chel ch’i ti dai?
Ch’i mi plei coma l’arzila ta li to mans
o ch’i cumbini il me pensèir cu’l bati
dal to còur? Dal to colòur ti implis il me vuli,
i ti plèis la me vòus, se jo i ti prei,
i ti respiris tal me ciant di stelis.
da Quasimodo, J. Guillén, J.R. Jiménez, Garcìa Lorca, T.S. Eliot, S. George, G. Trakl ecc.
MUART TA L’AGA
dall’inglese di T.S. ELIOT
Phlebas al è muart da quindis dis,
a no’l sa pì il sigu dai pluvies,
né il motu sidìn dal mar,
né il pierdi o il vuadagnà.
Na curìnt sot il mar
a roseà i so vuès murmurànt.
A rondolòns lui al passa i timps
di duta la so esistensa,
ju, tai revòcs. Cristiàn o pagàn,
tu ch’i ti tens il temòn e i ti jòs
là ch’a sòflin i vins
pensa a chel Phlebas
ch’al è stat alt e biel coma te.
Trad. di P.P. Pasolini
ENFANCE (IV)
dal francese di RIMBAUD
Tal bosc a è un usièl, il so ciant al vi fa fermà e doventà
duciu ros.
A è un arloi ch’a no’l suna.
A è na fonda cu’ un nit di bestiis blancis.
A è na glisia ch’a si innea e un lac ch’al cres.
A è na pìciula careta lassada ta la boscheta, o ch’a ven
ju pal troi curìnt, plena di galis.
A è un s’ciap di pìciuj Comediàns in custùm, olmàs par la
strada atravièrs la fumata dal bosc.
A è, in ultin, quan ch’a si à fan o sèit, qualchidùn ch’al vi
peta.
Trad. di P.P. Pasolini
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