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domenica 13 febbraio 2022

Pier Paolo Pasolini, CHE COSA È SUCCESSO A VENEZIA - Tempo, numero 38, del 14 settembre 1968

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


Pier Paolo Pasolini
CHE COSA È SUCCESSO A VENEZIA

Tempo,  numero 38, del 14 settembre 1968

È questa una breve cronaca dei primi giorni della Mostra di Venezia, da cui cercherò di far emergere quello che, secondo me, è il senso reale di quanto è successo.

L’occupazione della Mostra, decisa dall’Anac - che la definiva una «occupazione pacifica di lavoro» - e portata avanti da un Comitato di coordinamento formato dalle più svariate forze di opposizione - dai partiti di sinistra, compresa parte del Psu, a una esigua rappresentanza di studenti - si è presentata all’opinione pubblica come una lotta per la cultura, e quindi solo implicitamente politica.

Ciò ha creato un’enorme confusione: 

  • a) presso gli uomini di cultura, che, sul piano culturalistico, ci rimproveravano di opporci a una Mostra che era effettivamente dalla parte della cultura; 
  • b) presso gli operai, che non si sentivano più di accettare l’equivalenza, tautologica e retorica - buona per tutti gli anni Cinquanta -: lotta per la cultura «progressista» uguale lotta politica; 
  • c) presso gli studenti, che si disinteressano, a ragione o a torto, dei problemi strettamente culturali, e che, non essendo vissuti negli anni Cinquanta, non ci pensano nemmeno a operare un’identificazione aprioristica tra una lotta per la cultura e una lotta politica; 
  • d) presso gli osservatori e i giornalisti, che hanno visto nella lotta dell’Anac semplicemente una misera lotta competitiva col direttore della Mostra.

CI SONO ANCHE I FASCISTI

Gli unici che hanno avuto subito idee chiare sul senso politico dell’opposizione alla Mostra, sono stati gli uomini politici: ma non tutti gli uomini politici, bensì gli uomini politici al potere.

Ma andiamo per ordine.

  • Sabato 24 agosto, la sera. C’è una riunione delle forze della lotta contro la Mostra (che, sia ben chiaro, non si proponevano di impedire la Mostra, ma di farla loro), in cui si decide di andare fino in fondo: occupazione pacifica, ma anche una pacifica dimostrazione di forza.

  • Domenica 25 agosto, la sera. Gli autori dell’Anac con tutti i loro alleati (ci sono però intorno anche un centinaio di fascisti) si presentano davanti al Palazzo del Cinema.

Qui si sta svolgendo, da molte ore, una tempestosa riunione, che vede uno contro l’altro il presidente della Biennale, sindaco di Venezia, e il direttore della Mostra. Quest’ultimo rassegna alla fine delle ambigue dimissioni; non accetta infatti la posizione del sindaco, il quale, sia pure entro limiti ristrettissimi, e per ragioni sia pure dettate dal semplice buon senso e dalla prudenza, è propenso a trattare con gli oppositori. Con le dimissioni del direttore - date le automatiche dimissioni dell’intera amministrazione - la Mostra passa, almeno provvisoriamente e formalmente, nelle mani del Comune di Venezia.

È dunque ora possibile un incontro fra i delegati del Comitato e il sindaco. Questo incontro avviene, infatti, verso le nove e dura fino a tarda notte.

Il sindaco accetta, in linea di massima, l’eventualità che, da quel momento, la direzione amministrativa, tecnica e burocratica venga affidata al Comune di Venezia mentre la direzione culturale venga affidata a un’Assemblea formata di diritto da tutti i cineasti. Tale Assemblea avrebbe, contemporaneamente, elaborato il nuovo regolamento della Mostra: cioè, in pratica, avrebbe rivendicato e sancito ai cineasti il diritto all’autogestione della Mostra.

Accettata dunque in linea di massima questa soluzione, il sindaco emana un comunicato ufficiale in cui si stabilisce: a) che il sindaco avrebbe consultato il giorno dopo l’Amministrazione Comunale; b) che nel frattempo il Comitato dell’opposizione si sarebbe riunito, senza limiti di orario, nella Sala Volpi per elaborare le sue proposte; c) che il sindaco avrebbe consultato entro lunedì il Comitato, per procedere eventualmente insieme verso la soluzione provvisoria della cogestione.

ARRIVA L’UOMO DEL GOVERNO

  • Lunedì, 26 agosto. Il Comitato, secondo gli accordi, si riunisce nella Sala Volpi, e comincia i suoi lavori. Si sa intanto che un importante uomo politico è venuto da Roma, ed è con lui, non con l’Amministrazione Comunale, che il sindaco parla. Inoltre il sindaco, senza che il Comitato ne sappia nulla, emette un comunicato che annuncia che la Sala Volpi è concessa fino alle 23.

  • Lunedì 26 agosto, pomeriggio. Mentre il Comitato prosegue nei suoi lavori, nella Sala Grande del Palazzo del Cinema si riunisce improvvisamente un’Assemblea formata dai giornalisti presenti alla Mostra. Una delegazione dell’Anac - benché indesiderata - passa dalla Sala Volpi alla Sala Grande, bloccando i giornalisti che stanno sciamando fuori, aiutati, in questa operazione, da alcuni giornalisti cattolici. Si ha così, dentro la Sala Grande, un incontro amichevole, in cui i giornalisti realizzano finalmente che non è in questione un passaggio violento e demagogico del potere dalle cure culturali di Chiarini alle cure culturali dell’Anac: ma che essi stessi sono di diritto membri di quell'Assemblea di tutti i cineasti, che avrebbe provvisoriamente diretto la Mostra di quest’anno, e, insieme, avrebbe elaborato la nuova struttura della Mostra.

Capiscono cioè che si tratta di una lotta per una forma di democrazia reale e diretta, in cui un Ente di Stato vuol venire strappato dalle mani autoritarie della falsa democrazia del Potere, e affidato alle mani di cittadini interessati ad esso. E tutto ciò attraverso un’Assemblea, diciamo, costituente, in cui l'Anac, fra l’altro, sarebbe stata in minoranza.

L’Assemblea dei giornalisti allora decide, con 109 voti, contro 10 o 12, di riunirsi la sera stessa con l’Assemblea del Comitato, per discutere la possibilità di una Assemblea congiunta.

  • Lunedì 26 agosto, sera. È a questo punto, e solo a questo punto, che interviene l’autorità statale. Essa poteva infatti patteggiare (attraverso un sindaco che aveva interesse a mantenere la calma in città) a proposito di un’occupazione: ma evidentemente non può, nel modo più assoluto, trattare a proposito di una autogestione, sia pure solo progettata. E infatti non ha esitazioni. Attraverso il buon sindaco ricorre immediatamente e brutalmente all’uso della forza.

Così, quando il Comitato dell’opposizione, esce dalla Sala Volpi, per incontrarsi nella Sala Grande con l’Assemblea dei giornalisti, prima, sotto gli occhi dei poliziotti indifferenti, viene selvaggiamente aggredito dai fascisti: poi si vede impedito dalla polizia, per ordine del sindaco, l’ingresso nella Sala Grande.

Non può dunque far altro che riparare di nuovo nella Sala Volpi.

La polizia allora, prima ha sgomberato la Sala Grande dai giornalisti, poi, dopo qualche tempo, entra nella Sala Volpi, e trasporta fuori di peso gli uomini del Comitato38. La punizione è assolutamente senza precedenti: infatti gli uomini del Comitato vengono di peso buttati tra i fascisti urlanti, che li pestano, in un vero e proprio linciaggio.

Ecco perché dicevo da principio che solo gli uomini politici al potere hanno capito che la lotta contro la Mostra è una lotta politica, il cui obbiettivo è una forma di democrazia diretta assolutamente nuova per l’Italia e forse per l’Europa. L’autogestione del microcosmo culturale della Mostra avrebbe costituito un precedente che il potere non avrebbe mai, in nessun modo, potuto accettare.

Se dunque la paura e la violenza di chi è al potere sono la misura per giudicare quali siano i fatti veramente rivoluzionari, la conseguenza è semplice: la paura e la violenza del potere contro il progetto di autogestione di un ente statale, dimostra che questo progetto è un fatto rivoluzionario.

Ma la richiesta dell’autogestione è una richiesta democratica. Una richiesta democratica è, dunque, rivoluzionaria.

DALL’ORDINE NON NASCE ORDINE

E mi si permetta ancora questo semplice elenco di

considerazioni:

1) I fatti gravissimi che succedono in America e in Europa (la Cecoslovacchia) dimostrano come la lotta-principe sia ancora una lotta per la democrazia reale.

2) La democrazia reale non ha nulla a che fare con la socialdemocrazia, che è finto socialismo in una finta democrazia.

3) Stalin, Breznev e Kossighin sono possibili in un Paese che non ha mai conosciuto una democrazia reale.

4) L’unica esperienza democratica reale è vissuta dalla classe operaia e dagli intellettuali che lottano per il socialismo in una democrazia capitalistica avanzata (eccettuata l’America, dove la democrazia reale è l’obbiettivo esplicito della lotta della Nuova Sinistra).

5) Marx aveva dunque ragione: solo la classe operaia di una democrazia capitalistica avanzata può fare la rivoluzione. Egli è stato poi smentito dai fatti: ma la sua affermazione era, più che una possibilità reale, un desiderio: contenente la profezia «negativa» dello stalinismo e del revisionismo.

6) La Cecoslovacchia - specie la Boemia - ha vissuto, sia pure parzialmente, un’esperienza democratica: la Russia no. Il socialismo sovietico è ordine: il socialismo ceco è progresso. Dalla democrazia nasce democrazia. Ma dall’ordine non nasce ordine.

Tempo,  numero 38, del 14 settembre 1968




Curatore, Bruno Esposito
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