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domenica 13 febbraio 2022

Lettera al Presidente del Consiglio Giovanni Leone di Pier Paolo Pasolini - Tempo numero 39, 21 settembre 1968

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro





Lettera al Presidente del Consiglio Giovanni Leone 
di Pier Paolo Pasolini 
(Sulla contestazione alla Mostra del Cinema di Venezia e sulla repressione del Movimento Studentesco)
“Il Caos”, rubrica in “Tempo”, numero 39, 21 settembre 1968


Lettera al Presidente del Consiglio


Ci siamo conosciuti - se lo ricorda onorevole Leone? - a una proiezione privata di "Uccellacci e uccellini" (Lei, come si sono riaccese le luci, mi ha dato sul film il primo giudizio: sospeso ma cordiale); Le posso dunque scrivere non come a un remoto Capo del Governo, ma come a uomo in carne e ossa, come a un amico. 
Vorrei porle una domanda precisa (una "interrogazione"?), seguita da altre domande nascenti da una curiosità puramente intellettuale, non implicanti una risposta.
La prima domanda è: per quale ragione il governo da Lei presieduto, e che, appunto perché provvisorio, rappresenta in modo più funzionale e trasparente il potere statale, ne è emanazione diretta e impretestuale, si è dimostrato violentemente ostile a una richiesta così "squisitamente" democratica, com'era quella delle forze di contestazione contro la Mostra di Venezia (dopo un primo momento, diciamo, eversivo: l'occupazione, del resto solo minacciata)? 

Una pretesa di democrazia reale


Come Lei sa, la nostra richiesta si imperniava su due punti: autogestione, e, quindi, decentramento. Nel momento stesso, insomma, in cui chiedevamo che un ente statale - sovvenzionato dallo Stato - fosse autogestito dagli interessati (nella fattispecie gli autori cinematografici e i critici) era evidentemente una richiesta di "decentramento" del potere dello Stato che noi chiedevamo. Ma sia l'autogestione che il conseguente effetto di decentramento del potere - come ho scritto nel "Caos" di una settimana fa (6) - non escono dal quadro di assestamento democratico della nostra società. Non era una richiesta rivoluzionaria, ecco, che noi avanzavamo, e - questo sia ben chiaro - non era neanche una "riforma". Era semplicemente una pretesa di democrazia reale. Ora, Lei non può essere contro nessuna forma di democrazia reale. La Costituzione italiana vuol essere la Costituzione di una democrazia reale; non rientra nel suo spirito soltanto la necessità (capita solo dopo vent'anni) di riformare lo Statuto fascista della Biennale (ma perché non il Codice penale fascista?); ma deve rientrare nel suo spirito anche qualsiasi richiesta dei cittadini che pretendano di esercitare i propri diritti entro il quadro di una effettiva democrazia.

Lo Stato spende (se non sbaglio) circa 150 milioni per la Mostra di Venezia: una cifra irrisoria, eppure, in qualche modo, sacra. A quale fine lo Stato stanzia questi 150 milioni? É indubbio: il fine è culturale. A chi sta veramente a cuore la cultura, agli autori o ai produttori? É indubbio: agli autori. L'unica garanzia dunque perché la Mostra sia una Mostra culturale, è che il potere venga decentrato e che la Mostra venga direttamente gestita dagli autori. (Se i produttori vogliono lanciare i loro film, che si paghino un Festival coi loro soldi: non invochino un Direttore eletto dal potere centrale, loro complice).

Perché dunque, il Suo governo non ha preso nella minima considerazione la nostra più che giustificata pretesa di autogestione, e, anzi, è intervenuto con la violenza? Perché il Suo governo ha difeso così accanitamente il centralismo statale, intaccato solo da una irrisoria richiesta di democrazia diretta, da parte di quattro gatti di autori?

Questo è certo: la richiesta di questi quattro gatti è stata molto impopolare: essa è "fuori" da ogni abitudine mentale dei nostri concittadini (a sinistra, poi, la chiamano riformistica). Solo dopo che essa venga accuratamente chiarita, comincia a essere, timidamente, presa in considerazione (come per esempio è accaduto per i giornalisti presenti al Lido).

Ma lasciamo stare Venezia (per poi tornarci magari al di fuori di questa maledetta Mostra). É, il popolo italiano, in grado di accepire le nozioni di autogestione e di decentramento? Ha mai vissuto, il popolo italiano, non dico un momento di democrazia reale, ma il desiderio di una democrazia reale? Ebbene... sì. Nel '44-45 e nel '68, sia pure parzialmente, il popolo italiano ha saputo cosa vuol dire - magari solo a livello pragmatico - cosa siano autogestione e decentramento, e ha vissuto, con violenza, una pretesa, sia pure indefinita, di democrazia reale. La Resistenza e il Movimento Studentesco sono le due uniche esperienze democratiche-rivoluzionarie del popolo italiano. Intorno c'è silenzio e deserto: il qualunquismo, la degenerazione statalistica, le orrende tradizioni sabaude, borboniche, papaline.

Sia nella Resistenza sia nel Movimento Studentesco, la richiesta di democrazia reale veniva convogliata all'interno di una idea più vasta: l'idea del socialismo. E ciò è stato e sarà inevitabile. Per esempio, la richiesta di democrazia reale, che è il senso della lotta della Nuova Sinistra americana, non potrà non portare a una sua originale forma di socialismo non marxista, pur senza avere niente in comune con la socialdemocrazia, che nasce da concessioni e riforme, ossia da una lenta evoluzione della borghesia (cosa che il potere italiano programma, con grande pavidità, del resto, per il futuro). 

Governo colpevole di violenza


Una richiesta realmente democratica (collettivizzazione, gestione diretta, decentramento del potere) non può essere che socialista: tuttavia permane in essa un momento puramente democratico, al quale nessun Potere ha il diritto, neanche soltanto formale, di rispondere con la brutalità e la violenza. Il Suo governo - innocente - si è reso colpevole di questa brutalità e di questa violenza. Forse perché Lei e i Suoi collaboratori contano sulla tacita complicità dell'intero popolo italiano e sull'impopolarità dell'idea di autogestione e di decentramento?

Oh, certamente: il popolo italiano, nel suo insieme, ha il culto del potere e dell'autorità (vedi anche nel campo comunista: la necessità assoluta che ha avuto finora la base operaia di avere un'autorità da seguire: mettiamo lo Stato-Guida dell'Urss); e ben rari sono coloro che sentono in sé la maturità necessaria a volersi responsabili di un'autogestione, e di quel minimo di potere democratico che il decentramento comporta.

Tuttavia c'è da aggiungere questo; che il culto per l'autorità del popolo italiano deriva da condizioni storiche che stanno per concludere il loro ciclo e "pesano" ancora per inerzia. Gli italiani hanno insomma il culto di una "autorità" astratta, che ha preso il posto delle varie autorità concrete che per secoli li hanno oppressi. Essi, è vero, identificano tale autorità astratta con il potere centrale (che chiamano "Governo"): ma anche questa identificazione è un'astrazione.

Provi a parlare amichevolmente, signor Presidente, con un milanese, con un torinese, con un friulano, con un veneziano, con un siciliano: e vedrà dove andrà a finire il culto di Roma come sede del potere centrale dello Stato! Il fatto è che nessuna storia nazionale è stata meno centralistica della storia italiana, che è storia regionale o municipale, non storia nazionale! Ed è perciò che il culto dell'autorità è sempre stato corretto in Italia da un profondo scetticismo, sia pure qualunquistico, verso quella stessa autorità. 

Forse tutte queste cose sembrano disumane a Lei, dati i Suoi studi, la Sua formazione, la Sua nascita: eppure è Lei l'eccezione: Lei, col suo senso dello Stato, col suo indiscusso e, in qualche modo infantile e perciò commovente, culto di Roma come Centro.

Un'idea vecchia e intollerabile


Il Movimento Studentesco (che Lei, come appare chiaro da molti sintomi, si prepara a reprimere con la violenza, in nome di una idea dello Stato ormai vecchia e intollerabile) è ancora una volta esempio, sia pure confuso, della realtà italiana così come storicamente è in questo momento: il Male, il peccato, l'Errore per il Movimento Studentesco, s'identifica col potere del Centro. E, evidentemente per reazione (e, insieme per la tradizione nazionale italiana, frazionata in mille tradizioni particolari), tale maniaco odio verso il centralismo è più forte nel Movimento Studentesco italiano che in tutti gli altri Paesi dove esistano Movimenti analoghi.

E torniamo all'argomento, minimo e pretestuale, da dove eravamo partiti (mi rivolgo, insieme, al Suo interesse per il cinema e al Suo istinto legalitario): è concepibile qualcosa di più giusto di una Mostra di Venezia gestita dagli autori e dai veneziani? Gestita cioè, collettivamente, in un luogo ideale, sede di una decentrazione del potere in direzione di due particolarismi che rappresentano la vera realtà contro la falsa realtà del centralismo statale: ossia il particolarismo specialistico degli autori, e il particolarismo politico della città di Venezia?

Oppure tutto questo è terribile, e minaccia il vecchio apparato statale (per certi aspetti ancora clerico-Fascista) a cui sembriamo tanto affezionati?

Mi scusi il tono spregiudicato con cui Le ho scritto, e mi creda cordialmente Suo.

Pier Paolo Pasolini
Tempo n. 39, a. XXX,  21 settembre 1968






@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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