"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
...Verde, trasparente e tiepida, l'acqua si gonfiava e si sgonfiava tra le colonne del molo, ora pesante come un blocco di marmo, ora lieve come l'aria. Benché fosse alta già due o tre metri non c'era granello di sabbia che non si potesse distinguere dall'alto della rotonda: ed era una sabbia morbida e pulita , un tappeto meraviglioso per chi potesse vivere sotto acqua...
(Tratto da Terracina
Un racconto inedito di Pier Paolo Pasolini
Oggi è inserito in Storie della città di Dio a cura di Walter Siti
e nel volume Romanzi e racconti (vol. I, pp. 775-797)
dei Meridiani Mondadori. )
Come dice Nico Naldini nella sua introduzione al volume:
“E quindi una discesa «ebbra» lungo i fiumi dell’infanzia.
Bruno Fraccaroli
Il mare di Pasolini
Frammenti tratti da: “Operetta marina”,
nel libro Romàns di Pier Paolo Pasolini
a cura di Nico Naldini.
Edizioni Tascabili Guanda 2019
Davanti alla corrente del Po, niente avrebbe potuto, spostarmi fuori dal campo della mia uniforme fantasia. Il solo vederlo, riaccendeva, come in un vastissimo solco, già da tempo profondamente scavato in me, l’immagine di un mare; ma, poiché il mare non l’avevo mai visto se non nei versi e le figure dell’Odissea…
dal Po prendeva la vertigine, la torbidità, moltiplicandole migliaia di volte ma fissandole in uno splendore salato, abbacinante, fossile; si presentava quell’immagine, non appena ci fossimo avvicinati al pelo dell’acqua, a sporgerci nel vuoto, mescolando l’odore che la corrente sommuoveva dalla superficie dell’acqua, odore freddo, vegetale, con quello tutto mentale, dei grandi golfi, delle spiagge dei tropici…
il sommovimento che produceva nel mio petto, svuotato di me, e riempito di quelle estensioni brucianti, fermava quasi lo scorrere del pensiero, che vi si impaludava in una ebbrezza sempre uguale, una nudità così assoluta da non avere moto. Sopraffatto dallo spazio e dal profumo…
di me non esisteva che il mio mondo interno, ma rovesciato a farsi infiammare dal sole complice dei suoi orgasmi… con la mia sensualità di impubere scatenata in quei solitari meriggi primaverili, l’alta terrazza incavata tra i tetti di Cremona veniva trasformata, si, in un mare…
ma non era un mare originario…
Si trattava di un mare radicalmente rinnovato nella mia fantasia…
Affrontavo così, impreparato le disadorne e severe linee di navigazione, da Glasgow a New York, da Le Havre a Panama, i porti congestionati dal traffico, sporchi unti, tenebrosi in crepuscoli di nebbia con bagliori rossi sull’Oceano, o fusi da un sole puzzolente di cordame, sale e pece…
La rotta doveva essere seguita senza una deviazione: rigida come il ciglio rosso che nella carta geografica univa Genova a New York, Genova a Buenos Aires. L’Oceano Atlantico… un mare di armatori, non più di pirati, freddo e nebbioso...
[…] Quando sarò grande farò il poeta e il capitano di marina»: lo ricordo con precisione e dolcezza, il suono delle mie parole, l’aria gelida e tiepida che scorreva dalla finestra, mia mamma che mi ascoltava, nella luce del tempo sacilese.
[…] Sfogliavo allora per un piacere che si sarebbe subito interrotto… i libri le cui illustrazioni, luoghi ben noti alla mia avvampante vocazione, non finivano mai di sedurmi.
[…] Il viaggio attraverso l’Oceano che da quel porto d’Olanda… il Curaçao, immoto, si accingeva per la prima volta in Europa a intraprendere, come senza proporzione nel pensiero degli Olandesi che lì intorno gremivano le biancastre banchine, evaporava nell’atmosfera l’acre maestà dell’attesa.
[…] Il mare del Nord nero e tenue, le coste schiumose della Scandinavia, il verde insano della Danimarca: e il cielo lattiginoso, percosso nel fondo bagliore delle Faroe o delle Ebridi…e i gesti, le parole, recitati come in una pagina di Dickens…
o di Melville…
Non era più possibile definire il limite…
ed è vero che io sono giunto a Singapore, nel Borneo, nella Baia di Hudson o a Santa Cruz…
ricordo di essermi trovato dinanzi alla stupenda pagoda dov’era custodito lo smeraldo di Ceylon, nel giardino rigurgitante di liane; dietro, tra i pinnacoli e i baobab, in fondo al dirupo, lampeggiava fermo in un accecante sereno l’Oceano Indiano…
Bastava la parola «indiano» perché tutto il paesaggio ricevesse una scossa che lo dilatava in orizzonti smisurati, con velature di miasmi, nel loro splendore perlaceo. Dove si trovava Mompracem? Lungo le coste della Birmania, all’altezza della Malacca o nelle zone blu intensissimo, morto, dove l’Asia cominciava a farsi Australia? Tutto un mare «bianco», come di latte o di smalto…
si estendeva dalle coste orientali dell’India a quelle occidentali dell’Indocina, che solo a Calcutta o a Singapore riprendevano il reale senso dell’atlante…
Collocavo lassù il regno di Yanez, in quel verde macerato di una pianura che con grandiosa espansione mi ricordava l’arco dell’Adriatico tra Venezia e Trieste; e tutto marciva e si impastava in quel verde mortalmente indifferenziato…
la reggia della rahani, la piazza del mercato musulmano, le cloache…
Soltanto nel mio Salgari il mare era puro, tinto di un colore geografico e perfettamente funzionale…
non solcato da navi a vapore, ma da trealberi, golette, brigantini, giunche e vascelli, era veramente il regno dell’arbitrio interiore…
il mare, il mare fisso, emblematico, vivente senza che io l’avessi mai visto di un incanto violentissimo; della baia di Hudson… o delle Antille, caldissimo nell’uniformità di un indaco meridiano…
o appena più sbavato, smunto, arso, tra le Azzorre, al largo della costa del Marocco, arancione, o ancora più in giù, verso le foci del Congo, senza più vita, venti, maree, onde o increspamenti, ma africano, unicamente africano, con tutta l’assolutezza dell’Africa riflessa in lui divenuto nero; vi si ripercuotevano i tam-tam colpiti tra capanne, fetide e secche come giacigli di belve, incrostate di sporcizia religiosa;…
Nel mare io mi rifugiavo, come in una non vita, un mio segreto benessere; mi lasciavo assorbire dal suo colore inanimato, che nasceva e moriva con me, come in una estensione esterna crea «dentro», un esilio sconfinato, azzurro, ai cui margini come rifiuti restavano i rimorsi; era come se fin da quei lontani anni avessi imparato l’innocente gioco, accettare dall’esterno, il male, col più violento, il più conscio e il più breve dolore, ma senza dargli uno svolgimento, quasi assorbendolo tutto nel puro presente. Ed era il mare, non altro, che sparso dentro di me, in uno dei più crudi e ferocemente sacilesi dei miei giorni, salava, rendeva aperto e come troppo bruciante o lontano il mio silenzio dentro le grotte della Livenza, mentre sul limo dall’odore medicinale, spalmato di feci, spioveva dall’alto una strana luce mattutina…
Ma in realtà l’unico sentimento resistente nel sommuoversi interno causato dalla percossa che io non mostravo di avere ricevuto…
era quello di perdermi: come se la sproporzione, denudata, della mia vocazione alle lontananze del mare, con tutto ciò che nella vita quotidiana, vera, poteva accadermi, mi faceva parere inutile ogni sforzo della volontà.
Frammenti scelti da Bruno Fraccaroli
@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare |
Curatore, Bruno Esposito
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