Benvenuto/a nel mio blog

Benvenuto nel blog

Questo blog non ha alcuna finalità di "lucro".
Viene aggiornato di frequente e arricchito sempre di nuovi contenuti, anche se non in forma periodica.
Sono certo che navigando al suo interno potrai trovare ciò che cerchi.
Al momento sono presenti oltre 1600 post e molti altri ne verranno aggiunti.
Ti ringrazio per aver visitato il mio blog e di condividere con me la voglia di conoscere uno dei più grandi intellettuali del trascorso secolo.

sabato 6 settembre 2025

Pier Paolo Pasolini, Parola e immagini - L'Avanti, anno LXIX, nuova serie, numero 289 - (supplemento della Domenica) - Roma, 5 dicembre 1965, pag. 8

"Le pagine corsare " 

dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Pier Paolo Pasolini
Parola e immagini

Appunti di Pasolini sui problemi dell'espressione cinematografica

L'Avanti

anno LXIX

nuova serie

numero 289

(supplemento della Domenica)

Roma

5 dicembre 1965

pag. 8

( © Questa trascrizione da cartaceo è stata curata da Bruno Esposito )


Per gentile concessione dell'autore, pubblichiamo tre stralci di un ampio saggio sui problemi del linguaggio cinematografico al quale Pasolini sta attualmente lavorando.


La singola parola espressiva da potenti emozioni nei veri poeti perché collocata (per esprimersi molto rapidamente) in un momento traumatico dell'intero contesto: quando il contesto è quello di un poeta moderno la cui << scrittura >> non è più classica, ma usa le parole in senso verticale, come nei dizionari, imponendole nella loro ambiguità, nel loro mistero ece. ece. (Rimbaud), c'è ugualmente un contesto sia pure non convenzionale e classicistico che le carica, ece, ecc.

Nel cinema tale carica è infinitamente più necessaria. In realtà per Dante bastano poche parole (<< conobbi il tremolar della marina >>), per dare la commozione estetica, anche prescindendo da tutto il resto del capitolo e del poema: mai un regista potrà raggiungere tale intensità con due o tre immagini (il corrispondente di un endecasillabo).

Un'immagine è di per sé infinitamente meno significativa di una parola. Se l'immagine evocata da Dante a correlare e a integrare il suo segno - con la collaborazione del lettore - è meravigliosa, la stessa immagine fotografata, inquadrata, e inserita in una rapidissima sequenzina non è più affatto cosi meravigliosa.

Ce una differenza qualitativa tra la parola e l'immagine: ed è questa: che la parola è una trinità: grafema, fonema e cinema, mentre l'immagine non è che un elemento di tale trinità. L'immagine fa parte della parola.

Il cinematografo si fonda quindi su un linguaggio reale ma parziale: ossia sul sistema visivo che accompagna il sistema di segni grafici e orali della nostra comunicazione. Tutto il grande sforzo del cinematografo è dire con un solo elemento quello che di solito si dice con tre. Ma come una parola << grafica >> evoca immediatamente il suo fonema e il suo cinema, cosi il cinema evoca a sua volta fonema e grafema, ma con me no immediatezza, per i nostri cervelli di robot abituati da secoli al principale tipo di evocazione: quello della parola grafica o orale che evoca suono e immagine.

Per ragioni storiche, dunque, è molto più difficile per un regista che per uno scrittore esprimersi interamente (per altre ragioni tuttavia, quelle della maggiore facilità e oniricità dei segni oltre che della loro favolosa novità gli è più facile).

Solo un'insieme di immagini può raggiungere anche se rozzamente il potere significativo di una sola parola. Esse divengono significative solo se in grandi gruppi: tanto che la monade linguistica del cinema non è un'immagine sola, ma un'insieme di immagini: si tratta insomma di una monade pluricellare - che al limite può essere anche monocellulare, nel caso che si tratti però di una inquadratura e immagine sola particolarmente lunga (ossessiva) o iterata. Tali monadi pluricellulari che sostituiscono quello che nel linguaggio scritto è il sostantivo (monocellulare, almeno apparentemente, se non si tiene conto della sua polivalenza, e quanto meno della sua ambiguità, delle sue diverse accezioni o dei vari strati storici della sua etimologia) possono essere di varie entità: da un'unione di tre e quattro immagini a un'unione di una ventina di immagini (chi lo sa?), legate fra loro con dei nessi rozzamente sintattici (da movimento a movimento, da inquadratura ferma a inquadratura in movimento, dal dettaglio al campo lungo ece. ecc.): non esistono particelle congiuntive, la diversità dei nessi sintattici è data non dalla congiunzione ma dal tipo delle due immagini congiunte: c'è ancora da fare tutta la grammatica del cinema (mentre Godard sta già buttandola all'aria). Sarebbe perciò esatto considerare a fondamento del linguaggio cinematografico i << sintassemi >> le cui strutture sono ancora tutte da studiare, nel cinema d'arte (mentre il fondo puramente comunicativo dei film commerciali è di più facile analisi: si osservino le acute osservazioni della sua segnaletica di R. Barthes, in un capitolo sui romani al cinema di <<  Mithologies >>).

***

Quali sono i sostantivi, i verbi. le congiunzioni, le interiezioni nella lingua cinematografica? E, soprattutto, è necessario che, obbedendo alla nostra legge dell'analogia e dell'abitudine, vi siano? Se il cinema è un'altra lingua, tale lingua sconosciuta non può essere fondata su leggi che non hanno niente a che fare con le leggi linguistiche cui siamo abituati? Cose, fisicamente, l'im-segno? Un fotogramma? Una durata particolare di fotogrammi? Un insieme pluricellulare di fotogrammi? Una sequenza significativa di fotogrammi dotati di durata? Questo deve essere ancora deciso. E non lo sarà finché non si sarà scritta una grammatica del cinema. Dire, per esempio, che l'im-segno o monade del linguaggio cinematografico è un << sintassema >> cioè una insieme coordinato di fotogrammi (o di inquadrature?) ancora arbitrario. Com'è ancora arbitrario dire, per esempio, che il cinema è una lingua totalmente verbale osia che nel cinema non esistono sostantivi, congiunzioni, interiezioni, ma solo verbi. E che quindi il nucleo della lingua cinematografica, l'im-segno, è un taglio in movimento di immagini, dalla durata indeterminabile e informe, magmatica. Onde una grammatica << magmatica >> per definizione, deserivibile attraverso paragrafi e capitoli inusitati nelle grammatiche scritto-parlate.

Ciò che non è arbitrario è invece dire che il cinema è fondato su un sistema di segni diverso da quello scritto-parlato, ossia che il cinema è un'altra lingua.

Ma non un'altra lingua come il bantù è diverso dall'italiano, per esempio, tanto per accostare due lingue difficilmente accostabili: e a ragion veduta, se anche la traduzione implica un'operazione analoga a quella che abbiamo visto per lo scenotesto e per certe scritture come la poesia simbolista: richiede cioè una collaborazione speciale del lettore e i suoi segni hanno  due canali di riferimento al significato. E' il momento della traduzione letterale con testo afronte. Su una pagina il testo bantu, sull'altra il testo italiano: i segni del testo italiano eseguono quella doppia carambola che solo delle raffinatissime macchine per pensare, come sono i nostri cervelli, possono seguire. Essi cioè rendono il significato direttamente (il segno palma che mi indica la palma) indirettamente, rimandando prima al segno bantù per indicare la stessa parola in un mondo psico-fisico o culturale diverso. Il lettore, naturalmente, non comprende il segno bantù che è per lui lettera morta: tuttavia si rende conto almeno che il significato reso dal segno palma va integrato modificato, come? magari senza sapere come: comunque il sentimento che esso va modificato in qualche modo lo modifica. L'operazione di collaborazione tra traduttore e lettore è quindi doppia: segno-significato, e segno-segno di un'altra lingua (primitiva) significato.

L'esempio di una lingua primitiva si avvicina a quello che vogliamo dire del cinema: tale lingua primitiva ha infatti strutture anche immensamente diverse dalle nostre, appartenenti vediamo al mondo del << pensiero selvaggio >>. Tuttavia il << pensiero selvaggio >> è in noi: e c'è una fondamentale struttura fondamentalmente identica fra le nostre lingue e quelle primitive: ambedue sono costituite da lin-segni, e quindi c'è una fondamentale concepibilità tra esse. Le due rispettive grammatiche hanno degli schemi analoghi. Siamo abituati a interrompere le nostre abitudini grammaticali per rispetto alle strutture di un'altra lingua, anche la più compromettente e diversa: non siamo invece capaci di interrompere le nostre abitudini cinematografiche. E questo fin che non si sarà scritta una grammatica scientifica del cinema, come potenziale grammatica di un sistema di im-segni su cui il cinema si fonda.

***

Che un individuo, in quanto autore, reagisca al sistema costruendone un altro, mi sembra semplice e naturale; cosi come gli uomini, in quanto autori di storia, reagiscono alla struttura costruendone un'altra, attraverso la rivoluzione, ossia alla volontà di trasformare la struttura. Non intendo quindi parlare, secondo la critica sociologica americana, di valori e volizioni << naturali >> ontologici: ma parlo di volontà rivoluzionaria sia nell'autore in quanto creatore di un sistema stilistico individuale che contraddice il sistema grammaticale e letterario-gergale vigente, sia negli uomini in quanto sovvertitori di sistemi politici.

Nel caso di un autore di sceno-testi, e, più ancora, di film, siamo davanti a un fatto curioso: la presenza di un sistema stilistico là dove non è ancora definito un sistema linguistico,  e dove la struttura non è cosciente e descritta scientificamente. Un regista, mettiamo come Godard, distrugge la grammatica cinematografica, prima che si sappia quale. Ed è naturale, perché ogni sistema stilistico personale urta più o meno violentemente contro i sistemi istituzionali. Nel caso del cinema, ciò avviene per analogia con la letteratura. L'autore cioè cosciente che il sistema stilistico (o forse meglio scrittura come suggerisce Barthes) contraddice alla grammatica e la sovverte, ma non sa di che grammatica si tratti.

C'è per esempio ormai una vera e propria scuola internazionale, una <<< internazionale stilistica >> che adotta per il cinema i canoni della << lingua poesia >>, e quindi non può non deludere, sfidare, frantumare, giocare la grammatica (che non conosce, perché è la grammatica di un'altra lingua, di un sistema di segni visivi non ancora ben chiaro nella coscienza critica). Tale lingua della poesia, nel cinema, è già una vera e propria istituzione stilistica recente, con sue leggi proprie e qualità, come si dice, solidali: riconoscibili in un film parigino e in un film praghese, in un film italiano o in un film brasiliano. Essi già, come genere cinematografico, tendono ad avere i loro circuiti, i loro canali specifici di distribuzione (è recente un convegno di Cinema d'essay in Italia, dove tale esigenza sta diventando cosciente: cosi, insomma, come un editore ha il suo modo e la sua strada per smerciare libri preventivamente considerati di piccola tiratura, per destinatari eletti: che però non è detto siano un cattivo affare commerciale, se la distribuzione avviene entro i limiti preventivati).

La distinzione tra lingua << della prosa >> e << lingua della poesia >> è un vecchio concetto tra i linguisti. Ma se dovessi indicare un capitolo recente di tale distinzione, indicherei alcune pagine ad essa dedicate nel << Grado zero della scrittura >> di Barthes, dove la distinzione è radicale e elettrizzante. (Dovrei solo aggiungere che Barthes, ha alle sue spalle la serie di sequenze progressive della lingua francese, mentre gli italiani hanno alle loro spalle un caos, che rende sempre indefinito e sensuale il loro classicismo. Inoltre osserverei ancora che l'<< isolamento delle parole >> tipico della lingua della poesia << decadente >>, ha risultati solo apparentemente anticlassicistici, ossia di prevalenza della parola isolata - come mostruosità e mistero - tutto solidale del periodo. Infatti, se un analista paziente fosse in grado di ricostruire i <<nessi >> tra le parole << isolate >> della lingua della poesia del novecento, ricostruirebbe dei nessi classicistici - come ogni operazione estetica in quanto tale presuppone).

In conclusione, nel cinema si hanno indubbiamente dei sistemi o strutture, con tutte le caratteristiche tipiche di ogni sistema e di ogni struttura: un esame stilistico paziente, come quello di un etnologo tra le tribù australiane, ricostruirebbe i dati permanenti e solidali di quei sistemi, sia in quanto scuola ( << il cinema di poesia >> internazionale, come una specie di gotico squisito) sia in quanto veri e propri sistemi individuali.

PIER PAOLO PASOLINI


@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare


Curatore, Bruno Esposito


Grazie per aver visitato il mio blog 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.