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martedì 30 settembre 2025

Pie Paolo Pasolini, La paura di essere mangiati - Tempo, numero 36, 3 settembre 1968, pag. 68

"Le pagine corsare " 

dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


Pie Paolo Pasolini
La paura di essere mangiati

Tempo

numero 36

3 settembre 1968, 

pag. 68

( © Questa trascrizione da cartaceo è stata curata da Bruno Esposito )

     

 Al lettore medio, cioè di cultura media - o che perlomeno abbia scarse nozioni di psicanalisi - sembrerà molto strana la seguente affermazione: noi siamo ancora determinati nel nostro destino, dalla paura di essere "mangiati". Ancora più strana sembrerà quest'altra affermazione: quando la paura di essere mangiati è eccessiva o ossessiva allora significa che noi "desideriamo" essere mangiati (si sa, per esempio, che la tanatofobia è in realtà ansia di autodistruzione; e non per niente anche nel parlare comune si dà per scontato che chi dice con troppa insistenza di odiare, in realtà ama, e magari viceversa).

 A nessuno di noi che viva con curiosità questi anni, è sfuggito che è diventato ossessivo l'uso della parola "sistema" e della sua negazione (il "dissenso", la "contestazione"): è una situazione tipica delle società molto avanzate. E infatti le suddette parole hanno molto più senso in America o in Germania che in Italia (dove si ha ancora purtroppo, una contestazione all'italiana: dato che anche il sistema è all'italiana).

 L'odio ossessivo, cieco, indiscriminato, totale, intimidatorio verso chi non lo condivide (tale da creare una sorta di conformismo terroristico della contestazione), può essere espresso sinteticamente in una nozione-guida, le cui origini dirette sono in Marcuse, per cui il "sistema" finisce sempre con l'assimilare tutto, con l'integrare ogni "possibile" diversità naturale o contestazione razionale ecc'. Questa nozione, fondamentalmente giusta, si è irrigidita, ripeto, in una specie di formula ossessiva, che rende insieme furenti e impotenti.

 É quello che dicevo prima: il terrore di essere mangiati, ossia l'identificazione con un archetipo storico-biologico di una situazione estremamente nuova. Ma il terrore di essere mangiati, spinto a questo punto, significa in realtà, appunto, "desiderio" di essere mangiati. Quando un giovane, o un anziano molto aggiornato, accusando se stesso e gli altri - fino a ridursi alla disperazione e allo sciopero - dice che non c'è nulla da fare, che il sistema non può fatalmente non "mangiare" dice in realtà: io desidero essere mangiato, sparire.   

 Tale desiderio di autodistruzione - come psicosi collettiva - non è però tipico soltanto di chi nega o contesta il sistema: ma è tipico piuttosto dell'intera umanità che vive con naturalezza nel sistema. E infatti come la natura non fa salti (è nozione liceale) tra specie animali, mettiamo, o tra mondo animale e mondo vegetale, o tra maschio e femmina, ma passa da un "finto" contrario a un altro "finto" contrario, attraverso gradazioni, senza soluzione di continuità, così tra il signor Rossi, votante Dc, e integrato nel sistema con la stessa naturalezza con cui un pesce è integrato al mare, e lo studente di architettura Muratori, oppositore disperato, non c'è soluzione di continuità, ma c'è soltanto gradazione: gradazione del desiderio di autodistruzione.   

 Non mi occuperò, ingiustamente, del signor Rossi, e mi occuperò piuttosto dello studente Muratori. L'organizzazione umana, il sistema - inevitabile - è una struttura che, per dominare la vita, la toglie alla sua assoluta naturalezza (che è poi non-storia, morte) e la rende non solo vivibile, ma "conoscibile". É sempre attraverso il sistema, qualunque esso sia - la democrazia diretta ateniese, la società capitalistica, o quella socialista - che noi "conosciamo" la vita (o la realtà).

 Prendiamo un oggetto di conoscenza qualsiasi, il più umile, il più irrisorio: per esempio, una foglia. Io "conosco" questa foglia: a) oggettivamente, attraverso la organizzazione umana che modifica, per ragioni sociali, la natura; b) soggettivamente, attraverso la mia cultura (mettiamo le mie letture di Virgilio). Cioè: io conosco questa foglia attraverso il sistema. Se la realtà di una foglia mi appare dunque solo attraverso il sistema, figurarsi la realtà di una persona umana, cioè il signor Rossi per lo studente Muratori, e lo studente Muratori per il signor Rossi! Il sistema mi fornisce insomma - e in questo non ha concorrenti, se non altri sistemi - una partita completa (non se ne potrebbe aggiungere uno) di strumenti di conoscenza della realtà. Rifiutare l'uso di questi strumenti significa non voler "conoscere" la realtà, cioè voler morire.

 Per questo io penso che la disperazione è oggi l'unica reazione possibile all'ingiustizia e alla volgarità del mondo, ma solo se individuale e non codificata. La codificazione della disperazione in forme di contestazione puramente negativa è una delle grandi minacce dell'immediato futuro (come l'atomica o la cultura di massa). Essa non può non far nascere degli estremismi, che, arrivando alla coincidenza diabolica di irrazionalismo e pragmatismo, finiscono col divenire nuove forme di fascismo: magari fascismo di sinistra: cieco di fronte a questa semplice realtà: che finché perdura il sistema che si combatte (nella specie, il sistema capitalistico) esso non va considerato il male, perché anche sotto di esso c'è la realtà, ossia Dio. Infatti la realtà è infinitamente più estesa del sistema, ma il sistema è infinitamente più esteso di noi: e quindi, come il sistema non coprirà mai tutta la vita, noi non potremo mai giungere ai confini del sistema e scavalcarlo. La realtà, di conseguenza, potremo sempre conoscerla "attraverso" il sistema, mai "al di là" del sistema. Tutto quello che possiamo fare è modificare il sistema, appunto, rivoluzionandolo, in modo che il rapporto con la realtà, il suo conoscerla, sia, almeno nelle nostre speranze, più puro e autentico.

Pier Paolo Pasolini


Curatore, Bruno Esposito

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