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domenica 13 luglio 2025

Pasolini intervistato da Aldo Onorati - rivista italo-americana Virgola, 1960

"Le pagine corsare " 

dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Pasolini intervistato da Aldo Onorati

rivista italo-americana Virgola

1960

A. O. − Chiediamo dopo i primi convenevoli – lei ha cominciato subito a scrivere per l’editore Garzanti o esistono altri suoi scritti a cura di altri editori?

P.P.P. − Sì, esistono, pubblicate da Sansone, le Poesie Friulane, uscite in edizioncine fuori commercio; a cura di Guanda è stato poi pubblicato anche un volume di critica.

A. O. − Da giovane si è dedicato di più alla poesia? Quali sono stati nei primi anni i suoi autori preferiti?

P.P.P. − Mi sono dedicato molto alla poesia, da giovane. La prima che scrissi fu all’età di sette anni e mezzo. Da ragazzo, parlo di autori extrascolastici, ho letto Carducci, un po’ meno Pascoli. A quindici anni Shakespeare e Dostoevskij.

A. O. − Non rammenta nessun particolare spiacevole, in gioventù, relativo alla sua attività di scrittore?

P.P.P. − Mi lasci un po’ ricordare… Sui diciassette anni, una poesia rifiutata dal giornale del Guf di Bologna perché considerata troppo personalistica.

A. O. − E uno piacevole? 

P.P.P. − La cartolina del critico Franco Cantini: «Il suo libro mi è piaciuto tanto. Lo recensirò». Si tratta delle poesie in friulano pubblicate a venti anni.   Abbiamo atteso che terminasse di dare un’occhiata al numero di marzo del nostro periodico, poi abbiamo continuato.

A. O. − È un po’ lunga questa intervista. Ci scuserà.   Indubbiamente le piacerà la musica classica. Quale autore predilige? E che pensa degli indiavolati ritmi moderni? 

P.P.P. − Fra tutti, Bach, per il suo estremo rigore mentale, per la sua mancanza di facilità. Niente da ridire sulla musica moderna. Ai cantanti italiani però preferisco quelli americani. Gli italiani mi sembrano dei dilettanti. E poiché volevamo entrare in un argomento molto delicato, siamo andati per le lunghe. Quindi abbiamo cominciato a parlare di “Una vita violenta”.

A. O. − Le è costato quattro anni di lavoro. A differenza della Sagan che sforna due libri l’anno…

P.P.P. − Affronta problemi difficili…

A. O. − Un semianalfabeta – abbiamo incalzato – in un paio d’ore legge la Sagan. A nostro modesto parere non esistono personaggi che s’impongono, né problemi, né originalità di trama in questi romanzi.

   Ma con un sorrisetto diplomatico, Pasolini è passato ad altro argomento. E noi non abbiamo insistito.


A. O. − Leggemmo sul «Reporter» la polemica con Marotta. Riuscire a fare una bella fusione tra dialetto e lingua è senz’altro molto difficile. Potrebbe dirci, per favore, quali motivi l’hanno spinta a scrivere così?

P.P.P. − Sono motivi troppo lunghi per riassumerli in una risposta… Ho usato il dialetto soltanto nei due romanzi. Ho l’ambizione di scrivere romanzi veramente oggettivi, non soltanto nella sostanza ma anche nella superficie; voglio cioè raggiungere un’oggettività integrale e non posso prescindere dal fatto che nell’ambiente nel quale creo i miei personaggi si usa esprimersi in dialetto. Quando abbiamo parlato di una recensione apparsa sul «Quotidiano», di “Una vita violenta”, nella quale si diceva: «Lessi dieci anni fa una bellissima poesia di Pasolini… Cosa può ora in un fervido ingegno un’anima malata!», Pasolini ci ha spiegato che il recensore si riferiva alle prime poesie, a quelle decadentistiche e misticheggianti. Le altre del secondo periodo (“Le ceneri di Gramsci”, “La meglio gioventù”) erano già di un’anima malata. Diciamolo tra noi, cari lettori: quel critico ha fatto meticolosamente il suo dovere di recensore.

A. O. − Ha qualche altro lavoro in preparazione?

P.P.P. − Sto scrivendo delle poesie che raccoglierò in due volumi. Sto mettendo a posto un libro di saggi. È in preparazione un nuovo lavoro, “La mortaccia”, che descrive la discesa di una prostituta all’inferno secondo la falsariga dell’Inferno Dantesco. I personaggi che vi si trovano sono contemporanei.

A. O. − Quando avremo il piacere di leggerlo?

P.P.P. − Fra due o tre anni.

A. O. − Qui non possiamo che esprimere i nostri auguri più fervidi: è chiaro il perché Pasolini prediliga Bach.

A. O. − Per concludere, la nostra Rivista nega che esista un problema dei giovani. Esistono i teddy-boys? E se esistono, quali pensa ne siano le cause?

 

P.P.P. − I teddy-boys esistono nelle città che somigliano alle metropoli americane: Milano, Torino, Bologna, e sono frutto della scontentezza ideologica; in questa nazione dominata dal capitalismo. Da Roma in giù, nelle zone agricole sono pochissimi e per questi ultimi la causa è da attribuirsi alla disoccupazione e alla mancanza di scuole.

L'intervista fu pubblicata nel luglio del 1960

sulla rivista italo-americana “Virgola”

Fonte:

https://lombradelleparole.wordpress.com/tag/pier-paolo-pasolini-intervistato-da-aldo-onorati/


@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare


Curatore, Bruno Esposito

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