"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
L'Avanti 23 dicembre 1965
pagina 3
Prima domanda:
In che cosa le « autenticità » di Moravia si distingue dal « realismo »?, e crede che quella autenticità o realismo debbano pre-esistere all’interno della dimensione — psicologica, sociale, storica — che si prende in esame nel lavoro artistico?, e in che misura ritiene che una ideologia possa costituire metodo di ricerca?
Risposta
L'autenticità di cui parla Moravia è una cosa, l’autenticità del libro è un'altra cosa. Ciò che dice il personaggio che si chiama « io » nell'« Attenzione » non va considerato attendibile. E ’ uno scherzo. E’ straordinariamente critica l’intuizione del traduttore inglese che ha dato al libro il titolo « Storia di una bugia ». Infatti tutto ciò che dice il personaggio del libro è bugiardo. Egli non può dire la verità. Può viverla a patto di non dirla.
Si tenga perciò presente questo dato bruto e letterale della « trama del romanzo »: in una delle ultime cinque o sei pagine del libro, il personaggio-protagonista in prima persona, confessa che era lui il cliente che era comparso alla figliastra, nel primi giorni della sua vita di prostituta (mancata), nello specchio. Cosa significa questo? Significa che tutto il libro, fino alla quintultima o sestultima pagina, è stato costruito su un’omissione volontaria. Il lettore è cioè stato giocato, come in un romanzo d’evasione o di puro intreccio, da uno scherzo dell’autore. Il non aver detto, appositamente, che quel cliente apparso alla figliastra spinta alla prostituzione dalla madre, era lui, ha un peso determinante sul libro in due sensi:
1) Toglie ogni attendibilità al diario teorico-morale tenuto dal protagonista, perchè non può essere « vero » il diario di chi omette volontariamente un dato così importante, anzi, sostanziale, come quello che ho detto. Il diario si presenta dunque — alla luce di questa omissione — come un gioco intellettualistico di intelligenza, un pastiche, ambiguo e condotto diabolicamente come qualcosa di cangiante tra lo scherzo e la serietà, ai danni del lettore.
2) Vanifica la storia d’amore del protagonista-narratore con la figlia Baba, perchè non può essere presa sul serio una storia d’amore basata su un’omissione che è quasi uno freddura: infatti tutta la storia d'amore è « data per data », è ontologia e meccanica.
E allora? Il vero libro è il rapporto tra il protagonista e sua moglie Cora. Il personaggio più misterioso e poetico di Moravia: così misterioso e poetico, che egli non può affrontarlo di petto, descrivendolo a tutto tondo, come usa fare: non può impadronirsene insomma. Da qui è nato l’intrigo intellettualistico del libro come « libro da farsi ». Infatti Moravia non avrebbe mai potuto fare Cora se non attraverso questa tecnica reticente e allusiva, questo fare non facendo. Così Cora è l’autenticità del romanzo. Ed è il mistero di una carogna di pecora sul mare, di un sogno, di un volto fatto rosseggiare dal tramonto, di un cancro, di un seppellimento girato da Charlot o da Bergman. Per la prima volta, senza ammetterlo, Moravia ha accettato e subito l’« irrazionalità del reale ». Così tutto quello che dice il protagonista-narratore. sul reale, è un gioco, a cui il razionalista Moravia, con saggezza o cinismo, non crede. Egli afferma sempre che l’unico modo per afferrare la realtà è l’ideologia. E questo è vero. Nel caso dell’« Attenzione» questa ideologia non è però quella tipica praticata da Moravia: è un altro tipo di ideologia, l'ideologia del « personaggio da farsi »come prova o ammissione della conoscibilità solo indiretta e casuale del reale ».
Seconda domanda
Ha voluto in questo suo ultimo libro («Alì dagli occhi azzurri») darci qualche risultato delle polemiche su « la lingua nazionale »?, e, dopo i suoi primi romanzi, per quale soddisfazione nei risultati ha preferito affidare quasi tutta la sua ultima « narrativa » al linguaggio cinematografico?
Risposta
« Alì dagli occhi azzurri » è una raccolta di racconti, per lo più inediti, che vanno dal '50 al '65. Sono cose che hanno preceduto o fiancheggiato la mia narrativa di questi lustri, compresa quella cinematografica. Considero le prime cento pagine, quelle che sono state scritte dal ’50 al ’51-’52 — e che non ho mai pubblicato — tra le mie cose migliori. Quanto alla destinazione o alle ragioni del libro nel suo insieme, posso riportare qui una paginetta di prefazione — che non ho poi pubblicato, ma che in questa sede si può leggere utilmente (il riferimento al metro poetico è puramente casuale):
Vaneggiando e brindando
Barbarolessi? /
Sì. ma irlandese. /
(Sono gli altri i Franceschi Colonna). /
E perciò ripropongo questi testi /
non classicistici, /
al nuovo spirito monoclasse: /
e li dedico agli operai torinesi che parlano in italiano. /
Quivi (in questi testi) /
l’urbanizzazione era quella classica di italiani profughi /
non si era ancora avuto il poema delle migrazioni interne /
Oggi, uno mio protagonista potrebbe, è vero, essere un poeta ceco. /
Ma tuttavia quei morti vivono ancora, /
anche se visti per televisione in Africa. /
Come un suonatore d'arpa birmana voglio seppellirli e non dimenticarli. /
Quando avrò compiuto il dovere di becchino non battezzato /
affidando a Garzanti l'incarico di allestire tombe e bare, /
andrò per l’Italia con occhio non meno affascinato, /
mentre i cadaveri dei napoletani fischiettano ancora a Roma /
(e ballano l’high life quelli degli Ibo inurbati a Lagos), /
Comunque anche i vivi sono altrettanto cari /
al cuore del suonatore birmano! /
Ringrazio gli uomini a uno a uno per essere così buoni, /
per aver dato tante manifestazioni d'amore non riconosciuto, /
Ringrazio Kubista, per i suoi quadrucci inameni /
e indenni da falsa pittura, e così Kupka /
che dipingeva in un umile anno del principio del secolo /
con un amore profondo per il grigiore e la durezza; /
ringrazio Janacek , per la sua opera /
dove si riconosce l’amore che si fa trai cespugli, (.....) /
l’amore quello veramente vero. /
nel grigiore e la durezza di una musica sema paura. /
Ringrazio i piccoli pittori d’una nazione-provincia, /
soprattutto Kotàki, col suo realismo di classico terrorizzato, /
che riconosce con amore gli oggetti a uno a uno. /
in un mondo dove si compie il miracolo della Boemia. /
Ringrazio lo scrittore Mnoncko per la sua testardaggine /
e il poeta Novomensky per il suo occhio azzurro /
che soggioga il Turco. /
E, a proposito di Turchi — eccomi sulla coltre delle alluvioni, /
tormentato da spese vive, /
a disseppellire i dodici capitoletti neonaturalistici /
della storia di una Melisenda della Terra del Mazzoni. /
e i XLIII paragrafi alessandrini / di una notte del ’57. /
...il poeta ceco /
attende nella fantasia /
sostituendo Charles de Foucauld e Bestemmia. /
............C'è un verdino veronese e un rosso fragola così intensi /
nell’aria, /
che il problema del decentramento del potere /
e della continuazione della rivoluzione..... /
(a cura di Fr. Pal).
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