"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
CINEMA E LETTERATURA:
APPUNTI DOPO «ACCATTONE»
Mi sembra che la differenza tra l’espressione cinematografia e l’espressione letteraria si trovi nel fatto che la prima manca quasi del tutto di una figura, la metafora, di cui invece la seconda consiste quasi esclusivamente.

L’operazione letteraria consiste - dal punto di vista tecnico, si badi bene - in una applicazione sia pure liberissima, sia pure folle, sia pure inconscia di figure retoriche. Credo sia impossibile reperire dei prodotti letterari, anche minimi, anche ridotti a uno specimen elementare, fondati sulla pura applicazione della grammatica e della sintassi. Del resto anche la lingua parlata non è mai solo grammaticale e sintattica: c'è sempre almeno un’ombra di espressività, che è l’aspetto «naturale» dello stile.
Tra le figure retoriche, dal cui amalgama si costituisce lo stile, la metafora è la predominante. Anzi, si può dire che non ci sia frammento di un’opera letteraria che non sia sospeso, lievitato, individuato da una metaforicità almeno albeggiante. Si può dire che la metafora rappresenti la sostanziale unicità delle parole, la possibile riduzione di tutte le infinite parole a una parola sola, arche- tipa: la Parola dell’uomo. Attraverso un trascolorare infinito di metafore si può giungere a stabilire una analogia tra il caldo e il freddo, tra la luce e il buio, tra il buono e il cattivo... Nulla resiste alla potenza unificatrice della metafora: ogni cosa attraverso essa è paragonabile con tutte le altre cose.

Nel cinema di avanguardia si ci tentato di giustapporre a Gennarino una jena, attaccando due inquadrature, una contenente Gennarino che digrigna i denti, e l’altra invece una jena, sempre coi denti scoperti. Non dico che qualcosa di simile non si possa sempre lecitamente fare. Tutta- via è inconcepibile pensare un film che vada avanti di questo passo, per due ore. Mentre un romanzo può tranquillamente continuare ad allineare metafore per duecento pagine: anzi, se non lo facesse, non esisterebbe.
Sono al «quasi». Infatti il cinema, se non può esprimere direttamente la metafora «Gennarino è una jena», tuttavia può crearla, per coazione dell’immagine, nel lettore: può stabilire una specie di diapason che vibra, sia pure molto vagamente e aleatoriamente, all’unisono. Se il regista pensa che Gennarino è una jena, può rappresentare l’immagine di Gennarino in modo tale, con un tale stridori di denti, per cui lo spettatore possa formulare lui l’altro termine della metafora, «jena», o se non proprio «jena», magari «pantera» o «sciacallo».
Se tuttavia il cinema non può usufruire delle figure stilistiche di cui usufruisce, per millenario diritto, la narrativa, tuttavia non ne è del tutto escluso. Ma strano: le figure stilistiche che il cinema può cousufruire con la letteratura, sono quelle tipiche della letteratura arcaica, religioso-infantile, da una parte, dall’altra quelle in comune, idealmente, con una terza arte: la musica. Mi riferisco all’anafora e all’iterazione.
Si sa che quando uno scrittore ricorre all'anafora («Egli diceva... egli diceva... egli diceva....») o all’iterazione (le litanie) vuol dire che si trova in uno stato d’animo molto eccitato, e quindi rasente all’irrazionale, a una passione ancestrale o arcaica: anafora e iterazione, in uno scrittore serio, son dunque abbastanza rare. Il cinema invece, di queste figure, può fare man bassa. La ripetizione di un'immagine, a fini soprattutto comici, o il ritorno anaforico di una immagine a iniziare una serie di frasi o di piccole sequenze, sono fatti stilistici che qualunque cinematografaro usa con la massima semplicità e incoscienza.
Il fatto che il cinema possa assomigliare sì alla narrativa, ma a una narrativa soprattutto musicale, potrebbe dimostrare una certa irrazionale arcaicità c favolosità del cinema rispetto alla letteratura. Credo che possiamo prenderne senz’altro atto.

Questa scissione tra due operazioni che poi divengo no una sola operazione a lavoro concluso, c solo apparentemente clamorosa e mostruosa (rispetto all’analoga letteraria). Perché: la scelta del tipo, della faccia, dei vestili, dei luoghi, della luce sono elementi, direi, isolati: lessico. Sono sostantivi, aggettivi, avverbi, locuzioni. Mentre la scelta dei movimenti di macchina, d’inquadratura ecc. sono la vera e propria sintassi: la riunione ritmica dei vari elementi lessicali isolati in una frase.
Mentre parlando o scrivendo tale operazione si compie fulmineamente - lessico e sintassi, o metro, presentandosi contemporaneamente, o quasi, alla soglia espressiva - nel cinema c’c una specie di interruzione. Il materiale lessicale viene ammassato brutalmente, frontalmente per poi, in un secondo tempo, venire incanalato nella linea musicale della frase sintattica.

E qui siamo al centro della questione. Dopo aver fatto (stavo per dire «scritto») un film, devo dire che, anche se un po’ più debole e fisso, il valore significativo delle immagini è analogo a quello delle parole. La semanticità, o contenuto, ottiene la stessa potenza di comunicazione nei «cinema» che nei fonemi. Un’immagine può avere la stessa forza allusiva di una parola: perché è frutto di una serie di scelte estetiche analoghe. Fa parte, cioè, di una operazione stilistica.
P.P.Pasolini
(1961)
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