- Le ceneri di
Gramsci
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Le ceneri di Gramsci da nome alla raccolta di poesie di Pier Paolo Pasolini pubblicata da Garzanti nel 1957.
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- I
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- Non è di maggio questa impura aria
- che il buio giardino straniero
- fa ancora più buio, o l'abbaglia
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- con cieche schiarite... questo cielo
- di bave sopra gli attici giallini
- che in semicerchi immensi fanno velo
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- alle curve del Tevere, ai turchini
- monti del Lazio... Spande una mortale
- pace, disamorata come i nostri destini,
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- tra le vecchie muraglie l'autunnale
- maggio. In esso c'è il grigiore del mondo,
- la fine del decennio in cui ci appare
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- tra le macerie finito il profondo
- e ingenuo sforzo di rifare la vita;
- il silenzio, fradicio e infecondo...
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- Tu giovane, in quel maggio in cui l'errore
- era ancora vita, in quel maggio italiano
- che alla vita aggiungeva almeno ardore,
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- quanto meno sventato e impuramente
- sano
- dei nostri padri - non padre, ma umile
- fratello - già con la tua magra mano
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- delineavi l'ideale che illumina
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- (ma non per noi: tu morto, e noi
- morti ugualmente, con te, nell'umido
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- giardino) questo silenzio. Non puoi,
- lo vedi?, che riposare in questo sito
- estraneo, ancora confinato. Noia
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- patrizia ti è intorno. E, sbiadito,
- solo ti giunge qualche colpo d'incudine
- dalle officine di Testaccio, sopito
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- nel vespro: tra misere tettoie, nudi
- mucchi di latta, ferrivecchi, dove
- cantando vizioso un garzone già chiude
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- la sua giornata, mentre intorno spiove.
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- II
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- Tra i due mondi, la tregua, in cui non
- siamo.
- Scelte, dedizioni... altro suono non hanno
- ormai che questo del giardino gramo
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- e nobile, in cui caparbio l'inganno
- che attutiva la vita resta nella morte.
- Nei cerchi dei sarcofaghi non fanno
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- che mostrare la superstite sorte
- di gente laica le laiche iscrizioni
- in queste grigie pietre, corte
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- e imponenti. Ancora di passioni
- sfrenate senza scandalo son arse
- le ossa dei miliardari di nazioni
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- più grandi; ronzano, quasi mai
- scomparse,
- le ironie dei principi, dei pederasti,
- i cui corpi sono nell'urne sparse
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- inceneriti e non ancora casti.
- Qui il silenzio della morte è fede
- di un civile silenzio di uomini rimasti
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- uomini, di un tedio che nel tedio
- del Parco, discreto muta: e la città
- che, indifferente, lo confina in mezzo
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- a tuguri e a chiese, empia nella pietà,
- vi perde il suo splendore. La sua terra
- grassa di ortiche e di legumi dà
-
- questi magri cipressi, questa nera
- umidità che chiazza i muri intorno
- a smotti ghirigori di bosso, che la sera
-
- rasserenando spegne in disadorni
- sentori d'alga... quest'erbetta stenta
- e inodora, dove violetta si sprofonda
-
- l'atmosfera, con un brivido di menta,
- o fieno marcio, e quieta vi prelude
- con diurna malinconia, la spenta
-
- trepidazione della notte. Rude
- di clima, dolcissimo di storia, è
- tra questi muri il suolo in cui trasuda
-
- altro suolo; questo umido che
- ricorda altro umido; e risuonano
- - familiari da latitudini e
-
- orizzonti dove inglesi selve coronano
- laghi spersi nel cielo, tra praterie
- verdi come fosforici biliardi o come
-
- smeraldi: "And O ye Fountains..." - le pie
- invocazioni...
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- III
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- Uno straccetto rosso, come quello
- arrotolato al collo ai partigiani
- e, presso l'urna, sul terreno cereo,
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- diversamente rossi, due gerani.
- Lì tu stai, bandito e con dura eleganza
- non cattolica, elencato tra estranei
-
- morti: Le ceneri di Gramsci... Tra
- speranza
- e vecchia sfiducia, ti accosto, capitato
- per caso in questa magra serra, innanzi
-
- alla tua tomba, al tuo spirito restato
- quaggiù tra questi liberi. (O è qualcosa
- di diverso, forse, di più estasiato
-
- e anche di più umile, ebbra simbiosi
- d'adolescente di sesso con morte...)
- E, da questo paese in cui non ebbe posa
-
- la tua tensione, sento quale torto
- - qui nella quiete delle tombe - e insieme
- quale ragione - nell'inquieta sorte
-
- nostra - tu avessi stilando le supreme
- pagine nei giorni del tuo assassinio.
- Ecco qui ad attestare il seme
-
- non ancora disperso dell'antico dominio,
- questi morti attaccati a un possesso
- che affonda nei secoli il suo abominio
-
- e la sua grandezza: e insieme, ossesso,
- quel vibrare d'incudini, in sordina,
- soffocato e accorante - dal dimesso
-
- rione - ad attestarne la fine.
- Ed ecco qui me stesso... povero, vestito
- dei panni che i poveri adocchiano in
- vetrine
-
- dal rozzo splendore, e che ha smarrito
- la sporcizia delle più sperdute strade,
- delle panche dei tram, da cui stranito
-
- è il mio giorno: mentre sempre più rade
- ho di queste vacanze, nel tormento
- del mantenermi in vita; e se mi accade
-
- di amare il mondo non è che per violento
- e ingenuo amore sensuale
- così come, confuso adolescente, un tempo
-
- l'odiai, se in esso mi feriva il male
- borghese di me borghese: e ora, scisso
- - con te - il mondo, oggetto non appare
-
- di rancore e quasi di mistico
- disprezzo, la parte che ne ha il potere?
- Eppure senza il tuo rigore, sussisto
-
- perché non scelgo. Vivo nel non volere
- del tramontato dopoguerra: amando
- il mondo che odio - nella sua miseria
-
- sprezzante e perso - per un oscuro
- scandalo
- della coscienza...
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-
IV
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- Lo scandalo del contraddirmi,
- dell'essere
- con te e contro te; con te nel core,
- in luce, contro te nelle buie viscere;
-
- del mio paterno stato traditore
- - nel pensiero, in un'ombra di azione -
- mi so ad esso attaccato nel calore
-
- degli istinti, dell'estetica passione;
- attratto da una vita proletaria
- a te anteriore, è per me religione
-
- la sua allegria, non la millenaria
- sua lotta: la sua natura, non la sua
- coscienza: è la forza originaria
-
- dell'uomo, che nell'atto s'è perduta,
- a darle l'ebbrezza della nostalgia,
- una luce poetica: ed altro più
-
- io non so dirne, che non sia
- giusto ma non sincero, astratto
- amore, non accorante simpatia...
-
- Come i poveri povero, mi attacco
- come loro a umilianti speranze,
- come loro per vivere mi batto
-
- ogni giorno. Ma nella desolante
- mia condizione di diseredato,
- io possiedo: ed è il più esaltante
-
- dei possessi borghesi, lo stato
- più assoluto. Ma come io possiedo la
- storia,
- essa mi possiede; ne sono illuminato:
-
- ma a che serve la luce?
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-
V
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- Non dico l'individuo, il fenomeno
- dell'ardore sensuale e sentimentale...
- altri vizi esso ha, altro è il nome
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- e la fatalità del suo peccare...
- Ma in esso impastati quali comuni,
- prenatali vizi, e quale
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- oggettivo peccato! Non sono immuni
- gli interni e esterni atti, che lo fanno
- incarnato alla vita, da nessuna
-
- delle religioni che nella vita stanno,
- ipoteca di morte, istituite
- a ingannare la luce, a dar luce
- all'inganno.
- Destinate a esser seppellite
- le sue spoglie al Verano, è cattolica
- la sua lotta con esse: gesuitiche
-
- le manie con cui dispone il cuore;
- e ancor più dentro: ha bibliche astuzie
- la sua coscienza... e ironico ardore
-
- liberale... e rozza luce, tra i disgusti
- di dandy provinciale, di provinciale
- salute... Fino alle infime minuzie
-
- in cui sfumano, nel fondo animale,
- Autorità e Anarchia... Ben protetto
- dall'impura virtù e dall'ebbro peccare,
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- difendendo una ingenuità di ossesso,
- e con quale coscienza!, vive l'io: io,
- vivo, eludendo la vita, con nel petto
-
- il senso di una vita che sia oblio
- accorante, violento... Ah come
- capisco, muto nel fradicio brusio
-
- del vento, qui dov'è muta Roma,
- tra i cipressi stancamente sconvolti,
- presso te, l'anima il cui graffito suona
-
- Shelley... Come capisco il vortice
- dei sentimenti, il capriccio (greco
- nel cuore del patrizio, nordico
-
- villeggiante) che lo inghiottì nel cieco
- celeste del Tirreno; la carnale
- gioia dell'avventura, estetica
-
- e puerile: mentre prostrata l'Italia
- come dentro il ventre di un'enorme
- cicala, spalanca bianchi litorali,
-
- sparsi nel Lazio di velate torme
- di pini, barocchi, di giallognole
- radure di ruchetta, dove dorme
-
- col membro gonfio tra gli stracci un
- sogno
- goethiano, il giovincello ciociaro...
- Nella Maremma, scuri, di stupende fogne
-
- d'erbasaetta in cui si stampa chiaro
- il nocciolo, pei viottoli che il buttero
- della sua gioventù ricolma ignaro.
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- Ciecamente fragranti nelle asciutte
- curve della Versilia, che sul mare
- aggrovigliato, cieco, i tersi stucchi,
-
- le tarsie lievi della sua pasquale
- campagna interamente umana,
- espone, incupita sul Cinquale,
-
- dipanata sotto le torride Apuane,
- i blu vitrei sul rosa... Di scogli,
- frane, sconvolti, come per un panico
-
- di fragranza, nella Riviera, molle,
- erta, dove il sole lotta con la brezza
- a dar suprema soavità agli olii
-
- del mare... E intorno ronza di lietezza
- lo sterminato strumento a percussione
- del sesso e della luce: così avvezza
-
- ne è l'Italia che non ne trema, come
- morta nella sua vita: gridano caldi
- da centinaia di porti il nome
-
- del compagno i giovinetti madidi
- nel bruno della faccia, tra la gente
- rivierasca, presso orti di cardi,
-
- in luride spiaggette...
-
- Mi chiederai tu, morto disadorno,
- d'abbandonare questa disperata
- passione di essere nel mondo?
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- VI
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- Me ne vado, ti lascio nella sera
- che, benché triste, così dolce scende
- per noi viventi, con la luce cerea
-
- che al quartiere in penombra si
- rapprende.
- E lo sommuove. Lo fa più grande, vuoto,
- intorno, e, più lontano, lo riaccende
-
- di una vita smaniosa che del roco
- rotolio dei tram, dei gridi umani,
- dialettali, fa un concerto fioco
-
- e assoluto. E senti come in quei lontani
- esseri che, in vita, gridano, ridono,
- in quei loro veicoli, in quei grami
-
- caseggiati dove si consuma l'infido
- ed espansivo dono dell'esistenza -
- quella vita non è che un brivido;
-
- corporea, collettiva presenza;
- senti il mancare di ogni religione
- vera; non vita, ma sopravvivenza
-
- - forse più lieta della vita - come
- d'un popolo di animali, nel cui arcano
- orgasmo non ci sia altra passione
-
- che per l'operare quotidiano:
- umile fervore cui dà un senso di festa
- l'umile corruzione. Quanto più è vano
-
- - in questo vuoto della storia, in questa
- ronzante pausa in cui la vita tace -
- ogni ideale, meglio è manifesta
-
- la stupenda, adusta sensualità
- quasi alessandrina, che tutto minia
- e impuramente accende, quando qua
-
- nel mondo, qualcosa crolla, e si trascina
- il mondo, nella penombra, rientrando
- in vuote piazze, in scorate officine...
-
- Già si accendono i lumi, costellando
- Via Zabaglia, Via Franklin, l'intero
- Testaccio, disadorno tra il suo grande
-
- lurido monte, i lungoteveri, il nero
- fondale, oltre il fiume, che Monteverde
- ammassa o sfuma invisibile sul cielo.
-
- Diademi di lumi che si perdono,
- smaglianti, e freddi di tristezza
- quasi marina... Manca poco alla cena;
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- brillano i rari autobus del quartiere,
- con grappoli d'operai agli sportelli,
- e gruppi di militari vanno, senza fretta,
-
- verso il monte che cela in mezzo a sterri
- fradici e mucchi secchi d'immondizia
- nell'ombra, rintanate zoccolette
-
- che aspettano irose sopra la sporcizia
- afrodisiaca: e, non lontano, tra casette
- abusive ai margini del monte, o in mezzo
-
- a palazzi, quasi a mondi, dei ragazzi
- leggeri come stracci giocano alla brezza
- non più fredda, primaverile; ardenti
-
- di sventatezza giovanile la romanesca
- loro sera di maggio scuri adolescenti
- fischiano pei marciapiedi, nella festa
-
- vespertina; e scrosciano le
- saracinesche
- dei garages di schianto, gioiosamente,
- se il buio ha resa serena la sera,
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- e in mezzo ai platani di Piazza Testaccio
- il vento che cade in tremiti di bufera,
- è ben dolce, benché radendo i capellacci
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- e i tufi del Macello, vi si imbeva
- di sangue marcio, e per ogni dove
- agiti rifiuti e odore di miseria.
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- È un brusio la vita, e questi persi
- in essa, la perdono serenamente,
- se il cuore ne hanno pieno: a godersi
-
- eccoli, miseri, la sera: e potente
- in essi, inermi, per essi, il mito
- rinasce... Ma io, con il cuore cosciente
-
- di chi soltanto nella storia ha vita,
- potrò mai più con pura passione operare,
- se so che la nostra storia è finita?
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- 1954
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- Gramsci è sepolto in una piccola tomba del Cimitero degli Inglesi, tra
Porta San Paolo e Testaccio, non lontano dalla tomba di Shelley. Sul cippo si
leggono solo le parole: "Cinera Gramsci" con le date.
- Fonte:
- http://www.club.it/autori/grandi/pierpaolo.pasolini/leceneri.html
| @Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare |
Curatore, Bruno Esposito
Grazie per aver visitato il mio blog
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