"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Un romanzo di luce
di Federico De Melis
da "Il Manifesto" del 25/10/92
di Federico De Melis
da "Il Manifesto" del 25/10/92
FIRENZE Bisognera' leggere a fondo, e a fondo riflettere, sul romanzo postumo di Pier Paolo Pasolini Petrolio, che la casa editrice Einaudi mandera' in libreria il 30 ottobre. La sensazione prima di questa approfondita lettura - e' che nelle pieghe di quest'opera incompiuta e frammentaria si nascondano, in codice, motivi che... possono illuminare alla radice i moventi delle scelte estetiche e delle prese di posizione polemiche dell'ultimo Pasolini; e gettare una luce tremenda sulla realta' italiana oltre la sua morte, fino a oggi. Da questo punto di vista - ma ripeto; prima di una lettura approfondita - si puo' dissentire da Aurelio Roncaglia (che ha supervisionato la cura filologica del libro, svolta da Graziella Chiarcossi e Maria Careri) allorche', nella finale "nota filologica", sostiene che tra i motivi per cui oggi, dopo 17 anni, se ne decide la pubblicazione si puo' annoverare anche la lontananza di "situazioni contingenti (politiche e di costume), oggi non certo dimenticate, ma in qualche modo lasciate alle nostre spalle", se "oggi la societa' e' mutata, ed e' mutato anche il quadro politico", questo mutamento si ha l'impressione che sia avvenuto nella direzione indicata da Pasolini, soprattutto in quelle opere, come Salo' e questo Petrolio, in cui ragiona, attraverso una trasposizione allegorica del suo intimo vissuto, delle atrocita' cui conduce l'anarchia del potere.
Ma e' certo troppo presto, a proposito di Petrolio, per arrivare a queste conclusioni. Per presentarlo al pubblico l'Einaudi ha scelto la storica Collana dei Coralli: su una copertina bianca, senza alcuna illustrazione, spicca in rosso il titolo e in nero quello dell'autore; nei risvolti di copertina e sul retro nulla che dia qualche indicazione, se non una dichiarazione di Pasolini rilasciata a La Stampa il 10 gennaio 1975: "Ho iniziato un libro che mi impieghera' per anni, forse per il resto della mia vita. Non voglio parlarne, pero' basti sapere che e' una specie di 'summa' di tutte le mie esperienze, di tutte le mie memorie. Questa 'summa' sarebbe dovuta essere di almeno 2000 pagine. Alla data della morte, sul suo tavolo da lavoro, custodito in una cartellina logorata dagli anni, ce ne erano 522.
Che cos’e’ Petrolio? Lo si puo’ capire solo leggendo il libro. E infatti ieri, alla presentazione presso il gabinetto Vieusseux in Palazzo Strozzi a Firenze, Aurelio Roncaglia si e’ voluto limitare ha parlare dei problemi filologici che ha posto la cura del testo e di quelli etici legati alla decisione di pubblicarlo. Per quanto riguarda i primi, ha informato che, trattandosi di un testo non solo incompiuto, ma la cui parte scritta era ancora in fase di abbozzo e sarebbe stata certo rivista da Pasolini e limata anche in quelle tranche che sembrano piu’ compiute, si e’ lavorato soprattutto a restituire i materiali per quello che si pensa fosse il progetto dell’autore. E del resto, difficolta’ particolari non ci sono state, dato che i 200 “appunti” o unita’ che Pasolini aveva scritto erano ordinati cronologicamente: i problemi sono stati soprattutto per la decifrazione di parole incomprensibili, a volte rimaste tali, e per decidere come restituire in stampa parti su cui l’autore manifestava incertezze attraverso segni grafici. Si e’ deciso cosi’ di dare al lettore tutti gli strumenti per capire il lavoro di ricostruzione effettuato, ma senza subissarlo di note e segnalazioni grafiche, che avrebbero rappresentato una foresta impervia trattandosi di un testo che e’ gia’ impervio di per se’.
Per quanto riguarda i problemi etici, angosciosi per Graziella Chiarcossi, che di Pasolini e’ nipote e erede, Roncaglia ha tenuto a chiarire che non si tratta “come nella vicenda di Virgilio, per citare un esempio classico o, per venire al novecento, di Kafka, che voleva le sue opere al rogo”, di un testo sulla cui pubblicazione esista un veto di Pasolini. Quale diritto avremmo avuto, ha poi protestato il filologo, rovesciando i termini del problema, di “tenere nascosto un libro, che puo’ portare un grande contributo di studio o conoscenza sull’opera pasoliniana?”.
Il progetto di Petrolio risale alla primavera o estate del 1972, anno in cui Pasolini stila una “scaletta”, riprodotta dal volume Einaudi, alla fine della quale spiega il motivo minimale e insieme folgorante della sua decisione di scrivere il romanzo: “mi sono caduti per caso gli occhi sulla parola petrolio in un articoletta credo de l’Unita’, e solo per aver pensato la parola petrolio come il titolo di un libro mi ha spinto poi a pensare alla trama di tale libro. In nemmeno un’ora questa ‘traccia’ era pensata e scritta”.
Ma, come spiega Roncaglia nella sua “Nota”, non si puo’ dire che l’opera si sviluppi secondo questa ‘traccia’. Che essa rimane il motivo del doppio, raro nell’opera di Pasolini, riluttante alle suggestioni romantiche: il protagonista e’ scisso in un Carlo Polis e in un Carlo Tetis, che poi corrispondono alle due dimensioni in cui vive l’opera, quella del pubblico, del politico, e quella dell’intimo del sessuale. Questo Carlo, industriale del petrolio, e’ meta’ donna e meta’ uomo, un androgino che condensa in se’ il rispettabile borghese, pero’ di aperte vedute, di sinistra, e quella, atroce, dell’essere simbiotico, orgiastico, che come Mister Hyde ha obliato ogni possibilita’ di redenzione.
Bisogna leggere a fondo Petrolio perche’ questo non e’ che un flebile tracciato tematico, scavalcato dal suo possente significato allegorico. Pero’ non si puo’ che rimanere colpiti dal fatto che mentre Pasolini, voracemente, come un fiume in piena, senza scrupoli di stile, scriveva disperatamente Petrolio, era tutto intento a cogliere l’interezza dei corpi e dei luoghi, girando i due secondi film della sua Trilogia: I racconti di Canterbury e Il fiore delle mille e una notte. “Di giorno” impressionava sulla pellicola il mondo intatto e popolare dell’universo novellistico orientale e medievale-anglosassone; di “notte” dissociava la vita del personaggio di Carlo. Finche’ con Salo’, questo gioco non si ricompone in un’astratta, fredda, lucida, geometrica rappresentazione del Potere. E’ la stessa sconsolata e abissale necessita’ di “adattamento” al degrado neocapitalistico, denunciata nella sua famosa “Abiura”, che informa il suo romanzo postumo.
Che “romanzo” in senso proprio non e’, spiega Roncaglia, senza volersi troppo perdere, pero’, nei nominalismi. Pasolini accarezzava da almeno otto anni, quando comincio’ a scrivere Petrolio (che nella sua testa si sarebbe potuto chiamare anche Vas, forse per suggestione dantesca “Vas d’elezione”, “Natural vassello”), “l’idea di un libro scritto a strati... in modo che....si presenti quasi come un diario... ; alla fine.... come una stratificazione cronologica, un processo formale vivente.. un misto di pagine rifinite e in abbozzo, o solo intenzionali”. Cosi’, aggiungeva nell’appunto che contiene queste parole, datato 1 novembre 1964 (e ora “Nota n.1” in fondo a La Divina Minesis), “il libro avra’ insieme la forma magmatica e la forma progressiva della realta’”. Non solo: nella prima pagina di Petrolio, che risale alla primavere del ’73, Pasolini presenta la sua opera come un “meta romanzo filologico”, per usare le parole di Roncaglia: cioe’ un’opera il cui risultato sarebbe dovuto figurare come la collazione filologica di parti sparse (quattro, cinque manoscritti, concordanti e discordanti di cui due apgrifi, “con varianti curiose, caricaturali, ingenue o rifatte alla maniera”, e molto altro materiale scritto a mano.
Se Pasolini non pote’ realizzare questo programma strutturale, cio’ non di meno l’idea di mettere di fronte al lettore non un libro, ma un’esperienza, come era nelle sue intenzioni, scegliendo la strada dell’opera aperta musiliana, non decade, in virtu’ del fatto che il lavoro di filologia che sarebbe dovuto essere intrinseco al suo processo creativo, il fato - diciamo cosi’ - ha voluto che lo svolgesse dopo la sua morte, qualcun altro. Ed e’ agghiacciante, ma insieme comico “alla Kafka”, che abbia immaginato come autore dell’opera incompiuta, La Divina Mimesis, cioe’ se stesso, un scrittore morto ucciso a colpi di bastone a Palermo, l’anno scorso: e lui, nella finzione, ne risulta il filologo. Ricorda Concaglia, che nelle Lettere luterane Pasolini ha scritto: “non c’e’ niente di piu’ alluncinatorio del verificarsi, in atto, di qualcosa che si era prevista e descritta come.... possibilita’”
“E’ un romanzo, ma non scritto come sono scritti i romanzi veri: la sua lingua e’ quella che si adopera per la saggistica, per certi articoli gionalistici, per le recensioni, per le lettere private e anche per la poesia”, scrisse Pasolini a Moravia a proposito di Petrolio (la lettera e’ anch’essa riportata nel volume). E inoltre tra le pagine della sua opera, in cui riflette continuamente sul testo che sta scrivendo, estraniandosene al pari di un Hoffmann del 20° secolo (a cui lo accumuna il motivo del doppio, del borghese presentabile e del rifiuto vivente, com’e’ nel Gatto Murr), Pasolini scrive che e’ intenzionato non ha raccontare una storia, ma ad arrivare ad “una form... ‘qualcosa di scritto’”, a un blocco di segni. In questa intenzione, riflette Roncaglia, si palesa la sopraffazione del simbolo su la cosa narrata. Ma il “simbolo tende a tradurre il pensiero in immagine poetica”, cosi’ se il romanzo tende al saggio, il saggio tende alla poesia.
Avremo, di conseguenza, un registro gia’ sperimentato in Trasumanar e Organizzar, dove la provocatoria concettualizzazione della metrica a favore di un “parlato monotonale”, finiva per piegarsi alle esigenze primarie della poesia. “La poesia e’ in alcuni appunti del libro, compatti, conchiusi, che possono leggersi come novelle. Da alcune parti che descrivono l’oriente, emana una luce, ha detto Roncaglia. Infine ha ripetuto: “Si, si puo’ parlare di un romanzo di luce”.
Bisognera’ leggerlo a fondo, Petroliio, perche’ questa luce illumini, come sembra in suo potere, zone recondite del nostro presente, nonostante siano lontani lo scandalo del Petrolio, o le stragi di Brescia e dell’Italicus, dentro cui trovava la sua incidentale cornice storica.
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