Salò o le 120 giornate di Sodoma : la storia dell’umanità è la storia del potere e viceversa
di Luca Monticelli
| |
L'esperienza teorico culturale
Salò rappresenta il testamento critico di Pier Paolo Pasolini, non perché le vicende dell'Idroscalo siano avvenute come un "suicidio per procura" (il poeta infatti progettava un film con Eduardo De Filippo), ma perché storicamente quest'ultimo film racchiude quello che è stato il pensiero teorico e critico-sociologico del Pasolini saggista-editorialista degli anni '70. Salò è metaforicamente e emblematicamente un film sulle più famose tesi pasoliniane. L'emblema prenatale del film sono due articoli rispettivamente del 10 giugno '74 (ampliato l'11 luglio dello stesso anno) e del 15 giugno '75 entrambi pubblicati sul Corriere della sera.
Il primo è lo "studio della rivoluzione antropologica in Italia", dopo la vittoria dei "no" al referendum sull'abrogazione del divorzio dove viene descritta la disfatta, la scomparsa dell'Italia contadina e paleoindustriale; Pasolini parla di un nuovo Potere difficile da definire che ha manipolato radicalmente e antropologicamente le grandi masse contadine e operaie. E' cambiata la natura della gente, ognuno in Italia sente l'ansia, degradante, di essere uguale agli altri nel consumare, nell'essere felice, nell'essere libero: perché questo è l'ordine che egli inconsciamente ha ricevuto, e a cui deve obbedire. L'uguaglianza non è stata infatti conquistata, ma è una falsa uguaglianza ricevuta in regalo.
Il secondo articolo è invece "l'abiura dalla Trilogia della vita" in cui il poeta scrive di odiare i corpi e gli organi sessuali dei nuovi giovani e ragazzi italiani, degenerazione dei corpi e dei sessi che ha assunto valore retroattivo: i giovani e i ragazzi del sottoproletariato romano –proiettati dal regista nella vecchia e resistente Napoli, e poi nei paesi poveri del Terzo Mondo – se ora sono immondizia umana, vuol dire che anche allora potenzialmente lo erano: erano quindi degli imbecilli costretti a essere adorabili, degli squallidi criminali costretti a essere dei simpatici malandrini, dei vili inetti costretti a essere santamente innocenti, ecc. Il crollo del presente implica anche il crollo del passato. La stoccata finale è per la televisione e per la scuola dell'obbligo, le quali, hanno ridotto tutti i giovani e i ragazzi a schizzinosi, complessati, razzisti borghesucci di seconda serie. Pasolini si stava adattando alla degradazione e stava accettando l'inaccettabile: "riadatto il mio impegno ad una maggiore leggibilità (Salò?)".
Questo il clima generale, questo il quadro che fanno da sfondo alla decisione di Pasolini di appropriarsi di un progetto che Sergio Citti stava esaminando. Citti pensava, infatti, di produrre una sceneggiatura dalle Centoventi giornate di Sodoma di De Sade. Pasolini fa proprio il progetto (Sergio Citti, con Pupi Avati, saranno poi collaboratori alla sceneggiatura), traspone l'originaria ambientazione settecentesca nella repubblica di Salò del 1944 e sviluppa l'idea che sorregge il romanzo di De Sade del "piacere" della violenza, delle sevizie, della perversione sessuale, di come agisce il potere dissociandosi dall'umanità e trasformandola in oggetto.
Il sesso in Salò è una rappresentazione del sesso come obbligo e bruttezza, è la metafora del rapporto del potere con coloro che gli sono sottoposti. In altre parole è la rappresentazione di quella che Marx chiama la mercificazione dell'uomo: la riduzione del corpo a cosa attraverso lo sfruttamento. Il potere fascista e nella fattispecie il potere repubblichino è un simbolo di tutto il potere, legislativo e esecutivo che nel suo codice e nella sua prassi altro non fa che sancire e rendere attualizzabile la più primordiale e cieca violenza dei forti contro i deboli: cioè, degli sfruttatori contro gli sfruttati. I potenti di De Sade infatti non fanno altro che scrivere Regolamenti e regolarmente applicarli.
Pasolini ha concepito questo film, dunque, in un momento storico in cui percepiva lucidamente, attraverso tutto ciò che stava accadendo attorno a lui (la violenza, la corruzione, la caduta verticale dei valori, l'imposizione di miti consumistici, l'omologazione sociale e culturale) il grado di sfacelo di un intero paese e il crimine di un potere "tritacoscienze" che agiva – e agisce (?) – in nome di una democrazia solo nominale, formale. Come dice uno degli "anarchici carnefici" nel film: "là dove tutto è proibito, in realtà si può fare tutto, mentre là dove si può fare qualcosa, come nelle forme di potere dette democratiche o tolleranti, si può fare solo quel qualcosa".
L'ombra del sottoproletariato
Ripudiando la trilogia della vita, Pasolini è oppresso dalla sperimentazione quotidiana di un mondo ove anche i sensi hanno perso ogni ipotesi di felicità, di innocenza, e le stesse masse subproletarie sono omologate, standardizzate persino nell'aspetto fisico. I sottoproletari si sono impadroniti dei valori della borghesia portandoli alle estreme conseguenze, senza addolcimenti di alcun genere. Una generalizzazione pericolosa perché la scomparsa della vecchia separazione tra mondo borghese e mondo popolare era un fenomeno verificatosi ovunque, ma per il poeta fu una vera tragedia: la religione del suo tempo, l'immedesimazione nei ragazzi di vita, il sesso come irrisione del potere erano persi per sempre. Per capire bene la portata rivoluzionaria che questi fenomeni comportarono nella vita e nella poetica del regista bisogna tornare indietro negli anni. Quando Pasolini dovette trasferirsi a Roma nel '50 andò a vivere in borgata a Ponte Mammolo, vicino al carcere di Rebibbia e tirava avanti insegnando nelle scuole medie.
E' in questi anni che si situa la scoperta del sottoproletariato che, per lui, prima di essere esperienza poetica è esperienza esistenziale. Roma è un universo che non riconosce le città e le nazioni, è transnazionale; è l'avanzo di una civiltà precedente, un mondo contadino prenazionale e preindustriale. E' la natura sottoproletaria. "Ragazzi di vita" definito da Contini un'epopea picaro-romanesca riflette pienamente la violenza e la dolcezza, la purezza e l'opportunismo del Riccetto e soci. I tanti ragazzi del "coro della vita" di cui fanno parte vivono l'età del pane, giorno dopo giorno l'obiettivo è quello di racimolare qualche soldo per beni estremamente necessari per il proprio sostentamento e che magari invece vengono puntualmente perduti al gioco o spesi per il vino.
Nel suo primo film Accattone (1961) Pasolini aveva immortalato "un'atroce condizione umana" allo stesso tempo pura perché ignorante della storia borghese, i romani descritti avevano molto di più in comune con uomini del medioevo che non con uomini contemporanei appartenenti all'ideologia della classe dominante. Accattone, che cammina per strada accompagnato da La passione secondo Matteo di Bach, è un povero Cristo i cui valori non sono che i primitivi istinti di sopravvivenza.
Nel '75, quando il film fu trasmesso per la prima volta in tv Pasolini sul Corriere della Sera scrisse: "Tra il 1961 e il 1975 qualcosa di essenziale è cambiato: si è avuto un genocidio. Si è distrutta culturalmente una popolazione. E si tratta precisamente di uno di quei genocidi culturali che avevano preceduto quelli fisici di Hitler. I giovani, svuotati dei loro valori e dei loro modelli come del loro sangue, e divenuti larvali calchi di un altro modo di essere: quello piccolo-borghese."
Cos'era successo? Ma naturalmente il boom! Il nuovo Potere aveva cancellato, tramite la televisione, i valori contadini e originariamente cristiani delle masse sottoproletarie con l'esplosione del consumismo. I ragazzi di vita, che rimanevano miserabili, avevano sostituito la loro scala dei valori con quella dei borghesi.
L'incontro tra queste differenti realtà non può che essere disastroso per i sottoproletari e per Pasolini stesso. Dopo questo mutamento antropologico infatti il comunismo marxista, irrazionale, romantico, populista dell'autore subì un brutto colpo, tanto che la vagheggiata palingenesi di un mondo nuovo di milioni di sopravvissuti di borgata contro pochi padroni borghesi rimase un'utopia da contemplare che segnò l'esordio della battaglia individuale e personale di Pasolini contro il Potere e l'ipocrisia borghese.
Devastante lo è anche per i sottoproletari e se ne ha una prova in Mamma Roma (1962): prostituta che ha come mira il riscatto della propria sofferenza secondo i canoni del pensiero piccolo borghese, a cui per elezione vorrebbe appartenere, per fare "invidiare tutti i pezzenti". L'elezione sarebbe dovuta avvenire con l'appartamento nuovo, un lavoro rispettabile per sé e per il figlio Ettore, strappato alla provincia natale per vivere tra la gente perbene. Pasolini fu costretto molte volte a doversi difendere sui giornali da accuse di populismo, qualunquismo e fu persino definito " un nostalgico dell'Italietta".
Proprio l'Italietta piccolo borghese, fascista, volgare che lo aveva perseguitato, linciato ed equivocato. Non solo fu accusato dai soliti detrattori dell'Espresso, dell'Unità o del Borghese ma anche da amici come Calvino, Moravia o Natalia Ginzbourg. Una delle risposte migliori fu quella data al "Mondo" l' 11 luglio del 1974 nella quale l'autore spiegava la tristezza dell'ex sottoproletario costretto a diventare borghese: "Una delle caratteristiche principali di questa uguaglianza dell'esprimersi vivendo, oltre alla fossilizzazione del linguaggio verbale è la tristezza: l'allegria è sempre esagerata, ostentata, aggressiva, offensiva. La tristezza fisica di cui parlo è profondamente nevrotica. Essa dipende da una frustrazione sociale. Ora che il modello sociale da realizzare non è più quello della propria classe, ma imposto dal potere, molti non sono appunto in grado di realizzarlo. I ragazzi del popolo sono tristi perché hanno preso coscienza della propria inferiorità sociale, visto che i loro valori e i loro modelli culturali sono stati distrutti."
Il potere e i ragazzi di oggi
Ecco, è chiaro che Pasolini con Salò, volesse prendersela più col potere di oggi, distruttivo e omologante, che col fascismo repubblichino. Diceva anzi che era stata l'impossibilità di sopportare fisicamente "i beni di consumo di oggi, le facce di oggi, i capelli lunghi di oggi" a fargli proiettare la critica al Potere nell'epoca di Salò, come simbolo estetico di anarchia. Era senza dubbio più ossessionato da certa violenza mercificante del Potere che dai pericoli del neofascismo, al punto di dire che sotto il fascismo il sottoproletariato era intatto perché l'ideologia fascista gli era imposta mentre adesso l'ideologia dominante gli viene inculcata e i sottoproletari la accettano come propria.
Con Salò il poeta voleva compiere una metafora delle nequizie cui conduce il potere, quali gli sembravano esprimersi soprattutto nel rapporto sessuale sadico. In qualsiasi potere c'è qualcosa di brutale, che porta al possesso dei corpi, usati come oggetti. I delitti nazifascisti nei mesi di Salò ne sono l'esempio storico piu persuasivo, ma oggi se ne ha la riprova nei crimini del consumismo. I veri anarchici sono sempre quanti manovrano le leve di comando, come emerge in una sequenza del lungometraggio: "Noi non siamo forse la dimostrazione vivente di che è realmente il Potere? L'unica vera, grande, assoluta Anarchia, è quella del potere. Infatti noi, qualsiasi cosa ci venga in mente, la più folle ed inaudita, la più priva di senso, possiamo scriverla in questo quadernetto, ed essa diviene immediatamente legale; se poi saltasse in mente di cancellarla, essa diverrebbe immediatamente illegale. Le leggi del Potere, non fanno altro che sancire questo potere anarchico,... e ciò vale per qualsiasi potere".
Nulla, secondo la visione pasoliniana, è più anarchico del potere arbitrariamente spinto da esigenze puramente economiche che sfuggono ad un sentire comune. Il potere, di per sé, è codificatore e rituale; la ripetitività del gesto sodomitico rappresenta, per la sua meccanicità, il paradigma che riassume questa terrificante imposizione del neocapitalismo.
I carnefici di Salò, attraverso la manipolazione dei corpi assumono la potenza di dei in terra, cioè il loro modello è sempre Dio. In una delle farneticanti congetture dei 4 signori viene definito il gesto sodomitico come morte della specie, più precisamente è il più mortale, il più ambiguo e per questo accetta, allo scopo di trasgredirle, le norme sociali, è infine il più scandaloso, perché pur essendo il simulacro dell'atto generativo, ne è la totale derisione". Questo inciso è un evidente richiamo ad un altro articolo di Pasolini apparso sul Corriere della sera il 19 gennaio 1975, nel quale si dichiarava contrario al referendum sull'aborto: "Quindi, ogni figlio che un tempo nasceva, essendo garanzia di vita, era benedetto: ogni figlio che invece nasce oggi, è un contributo all'autodistruzione dell'umanità, e quindi è maledetto. Sarebbe il rapporto eterosessuale a configurarsi come un pericolo per la specie, mentre quello omosessuale ne rappresenta una sicurezza."
Il film è scandito ritmicamente dall'ossessività dei cerimoniali quali matrimoni, cene, racconti, giochi, ispezioni e dall'accompagnamento musicale della pianista. La pianista stessa si suiciderà gettandosi dalla finestra, metafora dell'arte servile al Potere tecnocratico, la quale di fronte alle esecuzioni dei ragazzi non può che negarsi ed esaurire il suo compito. "La nuova gioventù" intraprende il proprio viaggio negli orrori della società dei consumi, in cui la prima merce ad essere consumata è il proprio corpo, le proprie feci e così coloro che asseconderanno meglio i carnefici, in premio, saranno portati a vivere nella Repubblica di Salò. La propaganda del consumo trova nella televisione la sua cassa di risonanza massima –mezzo popolare per eccellenza e in grado di raggiungere facilmente diversi strati di popolazione- ed è sicuramente uno degli argomenti che maggiormente hanno stimolato gli attacchi e le riflessioni del Pasolini luterano.
Proprio in Salò il poeta sembra predire le future caratteristiche di una tivù allora ancora "paleo" ma che da lì a qualche anno si sarebbe trasformata in "neo". Nell'Antinferno i 4 anarchici del Potere seduti su un divano osservano cinici e svogliati "i culetti sodi" e "le tettine" delle ragazze che sceglieranno di rapire. Queste sono "presentate" da mature "imbonitrici" che svolgendo il ruolo di editori o produttori cercano di incitare, eccitare e compiacere il pubblico, rappresentato dai 4 comodamente seduti.
Evidente anche l'etichetta della bellezza venduta dai mass-media e legata ad uno stereotipo di falsa perfezione: una bella ragazza viene "scartata" perché le manca un dente. "Non c'è niente di più contagioso del male" recita una battuta e nel Girone delle Manie la signora Vaccari ha il compito, con le sue storie, di trasformare le ragazze in puttane di primordine. Le sue lezioni di pratica sessuale sono l'aggressiva propagazione della possibilità di un solo tipo di amore e di una sola passione convenzionale. Nel flusso postmoderno televisivo e neocapitalistico rientrano a pieno titolo anche i continui dialoghi dei carnefici infarciti di citazioni colte, battute e barzellette stupide così come la vacuità del concorso "miglior culo" o l'obbligo di mangiare merda perché "nulla deve andare perduto", anche le feci vanno commercializzate (vedi Piero Manzoni e la sua Merda D'artista).
Le ribellioni
Gli unici veri gesti di insubordinazione, le uniche ribellioni sono rappresentate dal Comunismo come unica evasione dalle barbarie: nell'Antinferno un figlio di partigiani scappa dal camion in cui erano stati caricati i sequestrati e viene ucciso, così come nel Girone del Sangue un collaborazionista viene sorpreso a far l'amore con una serva di colore, e che, al fucile puntato contro di lui mostra fiero il pugno chiuso.
Questi sono gli unici gesti che si contrappongono alle sottomissioni, ai matrimoni con i carnefici, alle urla invocanti Dio dei succubi che non fanno nulla per rivoltarsi ma restano all'interno della società degli orrori legittimandola. Anzi, avviene anche che i prigionieri provochino la morte dei propri compagni, come ad esempio nel Girone del Sangue quando ognuno dei ragazzi che rischia qualche punizione per salvarsi accusa i compagni di colpe più grandi, come tenere la foto di un uomo sotto un cuscino o un rapporto saffico. Però, sia il gesto politico che quello religioso della richiesta d'aiuto sono inutili e solitari. Ciò che è scomparso è la solidarietà, la capacità di partecipare al dolore degli altri, il mutuo soccorso. Ogni tentativo di ribellione si profila quindi come fuga individuale senza speranza e fine a se stessa. E' più che legittimo il sospetto che l'autore abbia più odio per quei giovani corpi inermi, esposti dalla stupidità dell'innocenza a ogni oltraggio, che per i loro carnefici, strumenti d'una fatale demenza. Egli odia il sesso, divenuto da gioia e libertà per gli umili in epoche repressive, atroce espressione di violenza in epoche permissive. Fa un film perverso per protesta contro la perversione che è ormai ovunque.
E se la protesta non fosse contro la perversione ma contro la vita stesse? E se la pianista che si getta dalla finestra fosse il simbolo della coscienza di Pasolini ormai tradito dall'inespresso esistente, dalla disperata vitalità e dall'ossesso del corpo? E' ormai impossibile anche la vagheggiata sintesi dell'uomo nuovo tra marxismo e cristianesimo. Secondo Pasolini c'era un punto di coincidenza: la religione che cacciata dalla porta rientra dalla finestra. Non solo nel fondo dell'azione di Marx c'era un profondo spiritualismo nell'identificazione di se stesso con gli sfruttati nelle fabbriche, anche i comunisti hanno fiducia nella "prospettiva" del futuro , la Speranza. Una volta verificatasi la vittoria di classe del proletariato, non vi sarà più storia e vi sarà dunque un momento ideale di astoricità: è proprio su questo punto che il marxista è un uomo religioso che segue una fede che ha come risultato ultimo la vittoria dei poveri contro i ricchi. Per il poeta queste istanze cristiane c'erano nel profondo di ogni borghese che ha optato per il marxismo, come lui, e che lotti per gli operai. Una Speranza, un'idea tradita dalla realtà e da Salò: autentica ideologia della sconfitta.
Un film estremo
Salò è di certo un film estremo, che risponde alla sfida della tolleranza. Pasolini, durante la lavorazione, ha cercato di rappresentare consapevolmente 'il cuore della violenza' con una freddezza e una lucidità espressive quasi maniacali. Salò fu soggetto a traversie giudiziarie che vanno dall'imputazione per oscenità a quella di corruzione di minori, durate a fasi alterne fino al 1978; questa era però l'aperta ambizione del regista con la quale si preparava a sfidare la sdrammatizzazione operata dal Potere: "Questo film va talmente al di là dei limiti, che ciò che dicono sempre di me dovranno poi esprimerlo in altri termini. È un nuovo scatto. Un nuovo regista. Pronto per un mondo moderno. Chi potrebbe dubitare della mia sincerità quando dico che il messaggio di Salò è la denuncia dell'anarchia del potere e dell'inesistenza della storia?
Salò secondo Moravia
Moravia, il 6 dicembre del 1975, definì sul Corriere della sera Salò un film del tutto cerebrale e provocatorio. Parlava di Pier Paolo come omosessuale dotato di spirito religioso e patriottico che desiderava far parte della società italiana accettando, suo malgrado, e può darsi senza rendersene conto, il punto di vista negativo di questa società nei confronti dell'omosessualità, vale a dire non riuscendo a liberarsi di un senso di colpa.
Pasolini scoprì a sue spese che la società italiana non era la società libera e grandiosa del Rinascimento, ma che era piuttosto una società piccolo-borghese repressa e repressiva e, perdipiù, molto diversa da quella che doveva essere e da quella che dichiarava di essere. Scoprì inoltre di avere un senso di colpa provocato da una società non solo indegna di portare un tal nome, ma corrotta e spregevole; per questo Sade è una pietra da lanciare contro la società italiana, con l'intento provocatorio di farla uscire allo scoperto, fuori dalla sua corruzione e dalla sua contraddittoria condanna dell'omosessualità. La tragedia di Pasolini non era quella dell'uomo corrotto dal denaro, ma quella del patriota tradito dal suo paese.
La sequenza
I 4 Signori aiutati dai loro collaborazionisti, poco prima del finale, torturano, stuprano e bruciano le loro vittime nel giardino della villa e a turno, siedono su una poltrona e dalla finestra con un binocolo osservano compiaciuti gli orrendi delitti. La strage ci viene mostrata in soggettiva così che è il pubblico a guardare col cannocchiale i fatti che si verificano nel giardino; questa inquadratura è costruita in modo tale che il regista sembra ci dica: "E' a te che dico, è di te che parlo, sei tu a permettere tutto questo". Lo spettatore è il voyeur che non ribellandosi allo status quo legittima la malvagità del Potere, proprio come i ragazzi rapiti nel film.
Il finale
Una ideologia della sconfitta che paradossalmente viene annullata dall'inaspettato finale: nel mezzo dell'immane carneficina, due giovani collaborazionisti, annoiati e indolenti, cambiano canale alla radio d'epoca che trasmette i Carmina Burana di Orff, per improvvisare sulla canzonetta degli anni Quaranta "Son tanto triste", motivo conduttore del film, qualche passo di valzer, pronunciando questo dialogo: "Sai ballare?" "No." "Dai, proviamo. Proviamo un po'..." "Come si chiama la tua ragazza?" "Margherita."
La trovata del ballo infatti potrebbe essere l'azzeramento della carneficina dovuto ad un piccolo e puro bagliore di speranza, contrariamente però, la tenerezza che ispirano i due ragazzi potrebbe anche essere una mancanza di coscienza dei figli che non si ribellano, pensano ad altro legittimando così i loro padri.
Fonte:
|
Nessun commento:
Posta un commento