«... scavando il
caldo regno notturno del tuo cuore, ne estraesti i semi ancora verdi dai
quali doveva germogliare la tua morte, la tua propria morte nutrita dalla
tua propria vita» (R.M.Rilke, Per un amica)
Ostia, lungomare, un cadavere nel fango e l'alba
a scoprirlo lentamente, affiora la solitudine notturna di un corpo orfano di
Pier Paolo Pasolini, il celebre P.P.P., poeta, scrittore, regista e polemista.
La notte di Novembre vede svanire la parabola intellettuale ed umana di un uomo
solo. La solitudine è per Pasolini non semplicemente un dato politico, legato
alla militanza civile che gli valse antipatie a vari livelli, né solo il frutto
dell'esibita diversità sessuale, ma un carattere profondo, "ontologico": Dicevi
di voler ritornare al tuo paese./Ma quello non era il tuo paese./Così l'inganno
Di oggi ti rivelava quello di allora,o infelice/ nulla ti fu mai vero./Non sei
mai stato. /I tuoi versi stanno.Tu mostruoso gridi. /così le membra dello
squartato sul palco.[1]
L'amico-nemico Fortini ad un mese dalla scomparsa del
poeta coglie perfettamente, in questi versi, il quid in grado di rendere
tragicamente compiuta la parabola pasoliniana. Pasolini non ebbe mai diritto di
cittadinanza alcuno, non appartenne mai, mai trovò la riposante quiete
dell'essere, la stabile identità che deriva dal riconoscersi parte di un'epoca,
di una civiltà, di una classe sociale.
Casarsa, il friulano << lingua
della memoria e dell'assenza; ogni sua parola non definisce un oggetto, ma
delimita una perdita, non nomina una persona ma ne ricorda l'addio>> [2],
lo sconfinato dolore per l'impossibile ritorno nell'alveo materno, raggiungibile
solo con la tensione poetica volta a mimare un'appartenenza mai realmente
vissuta.
Gli anni romani, impregnati di marxismo contraddetto dal mito
sensuale della primordiale vitalità di un popolo, intangibile nella sua
incontaminata purezza e orribilmente lontano per chi porti il marchio
dell'ascendenza borghese.
Gli ultimi tempi, sconvolti dal tramonto della
civiltà contadina, dall'incedere di un'epoca che avrebbe fatto strame di ogni
passata sembianza antropologica, imponendo il regime della "Nuova Preistoria",
segnando l'ennesima ed ultima estraneità del poeta alla cultura del proprio
tempo.
Epoche differenti, l'Italia del dopoguerra, l'ascesa economica e la
caduta nel capitalismo plumbeo e venato di violenza degli anni settanta, scenari
che Pasolini, esiliato dal proprio tempo, vive prigioniero del divorante
desiderio di raggiungere, toccare la Vita nella sua dimensione astorica e
preculturale, cogliere ciò che di puro, violento e immediato ribolle sotto le
trame dei percorsi razionali, culturali che compongono il divenire storico.
L'intellettuale marxista e storicista, il poeta e lo studioso del divenire della
lingua italiana, proteso verso l'eretica vitalità di un mondo che lo respinge
perché non ha storia, ma pare incarnare una natura non forgiata dal tempo, vive
lo strazio dialettico di una doppia non appartenenza. La parabola pasoliniana
fibrilla nel continuo bisogno di colmare l'ombra che cade tra Natura e Cultura,
Pensiero e Vita, e l'espressione artistica è tentativo di creare figure nel
buio, volti che traggano vita dal pensiero, alla ricerca di una conciliazione
che offra finalmente un approdo, una zona franca in cui ordire una trama comune
per realtà inconciliabili, accomunate solo dal non offrire asilo generando una
lacerante privazione d'Essere.
A partire dalle opere giovanili, Pasolini
innesca un meccanismo che dispiega i suoi effetti nel tempo, e che lo vede
scegliere mezzi creativi sempre meno gravati dal peso della Tradizione, dalla
poesia al romanzo, per raggiungere il cinema, ultima possibile rete in cui
catturare l'attimo in cui la Vita si offre ad uno sguardo che si presenti
alleggerito da Tempo e Cultura.
Il cinema offre a Pasolini la possibilità di
elaborare immagini estratte << idealmente un attimo prima da nessun altro
che da lui dal sordo caos delle cose>> [3] , libero dai vincoli di una
cogente storia grammaticale, valorizzando una storia pre-grammaticale degli
oggetti che si radica nell'osservazione abituale, inconscia, dell'ambiente,
nella mimica dei volti, nella memoria volontaria e involontaria e
nell'inconscio.
Narrare cinematograficamente significa allora, attingere dal
deposito involontario di immagini che alligna in ogni esistenza, un potenziale
in grado di rendere l'uomo un paziente che subisce l'effrazione di un segno che
mette in pericolo la coerenza o il relativo orizzonte di pensiero in cui finora
si muoveva. Favorire lo scacco nei confronti della coscienza, della
consapevolezza, del pensiero razionale volontario, evocando le forze inconscie,
le traiettorie che il vivere assume, non-visto, ecco l'unico omaggio possibile
da offrire alla Vita, per chi viva la colpa e la condanna di appartenere al
mondo della Cultura storica. Ecco allora <<denti di caffè, mandibole
affilate e cataratte, facce di pane secco, lavorate da un cucchiaio>> [4],
periferie di fango, <<una clinica con imposte verdi, il vuoto/ d'uno
sterro, con canne di torrenti, la Parrocchietta sola contro il fuoco, il Trullo,
un detrito di facciate identiche,/ colore dello sterco, una fiumana/ di macchine
di ritorno da torbidi frangenti/ Roma spalmata come fango sulla lama/ infiammata
del cielo>> [5], violente istantanee contro ogni possibilità narrativa,
tuffi nel visibile che non accetta tempo né logica, ma impone la forza
dell'immedicabile.
Le potenti narrazioni, le rielaborazioni della vicenda di
Cristo, di Medea, di Edipo, ospitano le dirompenti sembianze di mondi che il
racconto non può tollerare, di visi che sovrastano ogni tessuto linguistico, e
mentre la parola si fa pretesto, si spalanca il vuoto tra la Storia e l'istante
fisico.
Fuggire ogni narrazione compiuta, per poter cogliere il respiro del
reale, ma allo stesso tempo scansare ogni narcisismo soggettivistico, ogni
espressionismo che, mimando la fine del racconto, ritrova il racconto, obliando
con altri mezzi ma medesimi risultati la Vita. Cosi <<si tratta di
superare il soggettivo e l'oggettivo verso una Forma pura che si erge come
visione autonoma del contenuto.Non ci troviamo più davanti ad immagini
soggettive o oggettive; siamo presi in una correlazione tra
un'immagine-percezione e una coscienza-cinepresa che la trasforma>> [6].
La soggettiva indiretta libera è, nei piani pasoliniani, lo strumento in grado
di consentire che lo sguardo si posi sul mondo senza violarne i profili. La
cinepresa da un lato, assumendo lo sguardo del personaggio, vedendo con gli
occhi del contadino, del borghese, dell'operaio, occhi che non possono che
osservare realtà differenti, tende a scomparire, dissolvendosi nella percezione
altrui, d'altro lato il gioco mimetico è reso attraverso inquadrature fisse in
cui il montaggio si risolve in una serie di quadri, o da inquadrature che
riprendono lo stesso tipo di realtà ora da vicino ora da lontano, rivelando il
profilo ossessivo di chi guarda e la sostanziale dirompenza di ciò che è
visto.
La soggettiva indiretta libera consente a Pasolini di sfibrare la
narrazione, in virtù di un dispositivo che ha la capacità di mimare il reale
attraverso uno sguardo pudico, velato dalla nevrosi e dalla follia, che
soffermandosi ossessivamente su persone ed oggetti si offre ad essi creando un
circuito virtuoso tra il mondo della Vita nella sua purezza e l'inconscio,
ottenendo immagini che traggono forza dalla doppia appartenenza a territori su
cui la Volontà razionale e ordinatrice non può nulla. Da un lato la realtà è
colta nel suo autonomo divenire, d'altro lato il regista è presente assumendo la
prospettiva, unica utile ad una mimesi adeguata, dell'inconscio. In tale
prospettiva l'uso molto frequente del montaggio, consente al regista di isolare
le azioni e le cose, accentuando la loro solitudine , ottenendo immagini che
offrono il carattere onirico-sacrale della Vita.
L'esperienza cinematografica
rappresenta dunque il momento in cui la coazione pasoliniana verso il reale
immediato, sensuale, puro e vitale, ottiene il risultato più alto. Esempio
massimo di ciò sono i tre film che compongono la Trilogia della vita, nei quali
il regista affronta celebri opere letterarie spezzando l'impianto narrativo,
completamente sovrastato dal susseguirsi di impasti visivi, colori, volti, colti
attraverso l'immediatezza della soggettiva indiretta libera, che impedisce ogni
compiuta elaborazione razionale del contenuto visivo da parte dello spettatore,
trascinato in un rincorrersi di immagini traumatiche e reali, reali in quanto
traumatiche e traumatiche in quanto reali: << non faccio niente di
consolatorio, non cerco di abbellire la realtà , scelgo attori reali per cui
basta la loro stessa presenza fisica a dare questo sentimento di realtà…la
caratteristica principale dei film che faccio è quella di far passare dinanzi
allo schermo qualcosa di reale a cui lo spettatore è ormai disabituato>>
[7]. Attraverso la creazione cinematografica, Pasolini trova, combinando
inconscio e realtà, l'unica via possibile per avvicinarsi all'immediatezza del
vivere, senza violare i contorni e la purezza di un mondo che solo uno sguardo
passivo, arreso, destituito di volontà, può cogliere nella sua interezza e
sacralità.
A tale vetta espressiva, Pasolini giunse nell'ultima parte della
vita, radicalizzando a tal puntol' annichilimento di ogni forma di possibile
mediazione del rapporto con il mondo che << nessuna corrisponenza io-mondo
è più possibile, perché il mondo non è più interpretabile come unità, né l'io è
più in grado di percepire se stesso come unità, accettando o riassorbendo la
propria ombra >> [8]. Punto di non ritorno quindi, al di là di ogni
possibile identità, mediazione, coordinazione culturale e personale. Tuttavia
l'esperienza artistica pasoliniana non si chiude all'insegna del vitalismo
realizzato.
L'ultimo film, Salò e le 120 giornate di Sodoma, girato nel 1975,
subito dopo Il fiore delle Mille e una notte (1974), capitolo conclusivo della
Trilogia della vita, non reca tracce della soggettiva indiretta libera, la vita
e il sesso hanno assunto tratti funebri, violenti, non compare Ninetto Davoli,
attore che ha sempre incarnato il vitalismo pasoliniano, ritorna l'ideologica
denuncia della ritualità del potere. Protagonista del film è la Morte, che,
incarnata da attori professionisti, corrompe ogni vitalità sessuale e ogni
spontaneità , interpretate, non a caso, dagli stessi attori che vivificavano la
Trilogia della vita. Come spiegare una svolta apparentemente cosi
repentina?
Pasolini capì, alla fine, come la Vita nella leggera immediatezza
del suo darsi disti un passo dalla Morte, e in quei momenti << la vita è
aperta come un ventaglio, ci si vede tutto, allora è fragile, insicura e troppo
vasta>> [9] per non compiere quel passo.
Fu l'ultima dolorosa scoperta:
<< hic desinit cantus…un vecchio ha rispetto del giudizio del mondo anche
se non gliene importa niente. E ha rispetto di ciò che egli è nel mondo. Deve
difendere i suoi nervi indeboliti e stare al gioco a cui non è mai stato…e io
camminerò leggero, andando avanti, scegliendo per sempre la vita, la gioventù
>> [10].
[1] Franco Fortini, Attraverso Pasolini, Einaudi,Torino
1993, pag.145. [2] Massimo Cacciari, Pasolini provenzale?, in MicroMega,
n.4/95 ottobre-novembre,pag.194. [3] Pier Paolo Pasolini, Empirismo eretico,
in Pasolini saggi sulla letteratura e sull'arte, I Meridiani, Milano,1999,
p.1466. [4] Erri De Luca, In memoria di un estraneo, in MicroMega, n.4/95
ottobre-novembre, pag.202. [5] Pier Paolo Pasolini, La persecuzione, in
Bestemmia, Garzanti, Milano, 1995, vol.II, p.686. [6] Gilles Deleuze, Cinema
2.L'immagine-tempo, Ubulibri, 1985, p.94. [7] Pier Paolo Pasolini, Ideologia
e poetica, in Filmcritica, n.232, marzo, 1973, ora in Pasolini per il cinema, I
Meridiani, Mondadori, Milano, 2001, vol.II, p.2994. [8] Walter Siti,
Descrivere, narrare, esporsi , in Pasolini Romanzi e racconti, vol.I, Meridiani,
Mondadori, Milano, 1998, p.90. [9] Pier Paolo Pasolini, Vita attraverso le
lettere, Einaudi, Torino 1994, p.158. [10] Pier Paolo Pasolini, Saluto e
augurio, da la Seconda forma de <<la meglio goventù>> in Bestemmia,
vol.II, Garzanti, Milano,1993, p.1199.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
- Cacciari Massimo, Pasolini
provenzale?,in MicroMega, n.4/95, Ottobre-Novembre.
- Deleuze Gilles, Cinema
2 l'immagine-tempo, Ubulibri, Milano, 1985.
- De Luca Erri, In memoria di un
estraneo, in MicroMega, n.4/95, Ottobre-Novembre.
- Fortini Franco,
Attraverso Pasolini, Einaudi, Torino 1993.
- Pasolini Pier Paolo,
Bestemmia,vol.II, Garzanti, Milano, 1993.
- Pasolini Pier Paolo, Empirismo
eretico, in Pasolini saggi sulla letteratura e sull'arte, I Meridiani,vol.II,
Milano, 1999.
- Pasolini Pier Paolo, Pasolini per il cinema, vol.II,
Meridiani, Mondadori, Milano 2001.
- Pasolini Pier Paolo, Vita attraverso le
lettere, Einaudi, Torino, 1993.
- Siti Walter, Narrare, descrivere, esporsi,
in Pasolini romanzi e racconti, vol.I, Meridiani, Mondadori, Milano, 1998.
Fonte:
http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_3/14.htm
| @Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare |
Curatore, Bruno Esposito
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