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lunedì 5 novembre 2012

Sostituzione e oggetto del desiderio nella Medea di Pasolini - 1. Il problema dell’oggetto

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



“Niente è più possibile, ormai”
Sostituzione e oggetto del desiderio nella Medea di Pasolini
1. Il problema dell’oggetto

Il rapporto di Pasolini con la tragedia greca è vivissimo e di enorme interesse, perché fittamente intrecciato non solo con la sua cultura, ma con ciò che lo assorbiva di più in quanto proveniente dalla sua stessa vita. L’argomento abbraccia testi e sperimentazioni che richiederebbero uno studio di dimensioni adeguate, e uno sforzo di reinterpretazione complessiva della figura di questo autore. Scelgo perciò di concentrarmi su di una singola opera, come tale più circoscrivibile: il film Medea (girato nel 1969), unitamente ai testi che lo corredano, un’esposizione più narrativa intitolata Visioni della Medea e la sceneggiatura vera e propria.
Tralascio intenzionalmente piste già ampiamente battute nell’interpretazione della pellicola: principalmente quella del contrasto fra sacro arcaico e razionalismo moderno come rappresentazione del conflitto fra terzo mondo e Occidente [1], e quella del contrasto di genere fra uomo e donna, con la complicazione, e coimplicazione, dell’omosessualità [2]. Queste chiavi di lettura non sono per niente ingiustificate, dal momento che erano presenti a Pasolini stesso, il quale vi ritorna sopra a più riprese, in dichiarazioni sparse e in altre opere collegabili e limitrofe come l’Edipo re filmico e l’Orestiade africana, mai realizzata se non nella forma di documentario. Né mancano certo, su questi temi peculiarmente politici e erotici, leitmotiv ricorrenti nelle opere direttamente teatrali, dove essi anzi arrivano a confondersi e implodere, in modo peculiarmente ironico e atroce. In questa sovrapposizione o giustapposizione, che come ricorda Pasolini non è in nessun modo una sintesi, assistiamo a un dilaniamento interno che Medea testimonia con l’icasticità delle immagini, della figura-simbolo di Maria Callas, e del palinsesto di Euripide con cui Pasolini intavola un dialogo straordinario, modernissimo e proprio per questo capace di cogliere le linee di forza della tragedia antica.


Se l’interpretazione si limitasse però ai collegamenti dichiarati dall’autore in persona, rischierebbe di duplicare i testi stessi che vuole commentare, perdendo per giunta la loro capacità di affascinare e disorientare, la loro provocatoria e sfuggente intenzionalità didascalica. Ciò che io invece sostengo e ritengo fruttuoso come spunto interpretativo è un rovesciamento delle tematiche politiche e sessuali così a prima vista riconoscibili e esplicite. Non è che Pasolini cerchi nei temi politici e sessuali lo sbocco di una situazione esistenziale irrisolta e tormentata, benché fosse questo il tipo di movimento di cui egli sentiva il bisogno e a cui cercava di dare espressione. Questo appartiene più che altro alla superficie dei testi, siano essi scritti o visivi. Sotto il profilo dell’ispirazione profonda vale esattamente l’opposto. Sono le “soluzioni” politiche e sessuali, di cui Pasolini denuncia con lucidità l’impotenza ad essere soluzioni, a diventare lo strumento rappresentativo ed esperienziale di un’indagine temeraria, di cui l’autore è in definitiva l’oggetto e la cavia.
L’indagine pasoliniana vuole ottenere dei risultati, e si può dire che quasi li invochi nel momento stesso in cui sembra eluderli, e da ultimo li ottiene, non nel corpo del testo, ma nel corpo medesimo di Pasolini che viene ad essere l’orizzonte e la fonte del testo, la premessa e la materializzazione del destino dei suoi personaggi.
L’unica soluzione, alla lettera, sembra essere il dissolvimento; e le tecniche di sperimentazione e di straniamento servono infine a disvelare un inveramento che tocca lo spettatore-lettore, lo inquieta e ferisce, attuando quella che Bataille chiama “comunicazione”, il superamento della barriera tra gli esseri che può prendere solo le sembianze dell’erotismo e del sacrificio, o magari di entrambi in un medesimo evento, in un medesimo gesto. Le opere di Pasolini “comunicano” alla Bataille, effettuano un dispendio clamoroso la cui sostanza è il sacrificio, perché lo stesso erotismo ne è una variante. La testualità pasoliniana è sacrificale e autosacrificale, questo è il vero punto di convergenza di cui le citazioni freudiane e marxiste non sono che lo strumento, il mezzo di copertura e/o accelerazione.


Non arrivo a sostenere la tesi di Zigaina sulla morte di Pasolini come realizzazione di una strategia deliberatamente autosacrificale, con tanto di barocchi giochi simbolici, tesi suggestiva ma in questa formulazione eccessiva, anche perché toglie quell’elemento avventuroso e imprevisto che sempre per Pasolini ha avuto l’avventura di vivere, fermo restando il gusto manierista o barocco delle criptocitazioni e dei rimandi intellettualistici che caratterizza il procedere pasoliniano.
Tale idea coglie comunque nel segno se la decliniamo più attentamente come esito coerente, anche se non programmato, di una scelta di fondo, la scelta di “vivere pericolosamente”, di sperimentare nel rischio l’oggetto irraggiungibile del desiderio, che solo nell’esporsi alla violenza e alla morte poteva apparire raggiungibile e desiderabile.
Le analogie con Bataille sono fortissime, con la differenza che in Bataille le spinte autodistruttive non hanno condotto a una fine tragica come quella di Pasolini circostanza che non è addebitabile soltanto ad accidentalità biografiche. La spiegazione di questa diversità credo che stia, in Bataille, in una relativa maggiore “stabilità” dell’oggetto del desiderio, o meglio in una maggiore definizione della sua banda di oscillazione, non certo per la posizione del soggetto, che nell’autore francese resta sempre sull’orlo dell’annientamento, bensì per un’interazione diversa del desiderio con la realtà. Nonostante tutto, il possesso della donna per Bataille si è rivelato esistenzialmente più affidabile, più costruttivo in termini di identità, grazie anche a una forte componente affettiva, per quanto contraddittoria e complessa.
L’oggetto omosessuale, per motivi storici, sociali e personali, si è rivelato invece per Pasolini ancora più instabile, facendogli toccare con mano un destino di solitudine che il suo attivismo frenetico rendeva sotterraneamente più angoscioso. Un destino di solitudine che nella maturità è venuto a fare tutt’uno con il pensiero ossessivo dell’invecchiamento, pensiero angoscioso perché la vecchiaia rappresenta l’affievolirsi di quelle energie vitali che consentono di spendersi senza riserve per compensare la mancanza oggettuale. La disperazione era l’unico esito di un investimento enorme condannato a restare privo di oggetto. 
La conclusione è che, da questo punto di vista, Pasolini è stato più batailliano di Bataille e anche più poeta come narratore, spendendosi tutto nell’attimo contemplato con disperata intelligenza, anche se non lo eguaglia come pensatore, dato che la maggior sicurezza di Bataille gli consente di azzardare l’affondo logico-conoscitivo, facendogli così raggiungere anche le sue più alte punte espressive.


Il caso di Nietzsche, così strettamente collegabile con l’uno e con l’altro, è invece a sua volta drammaticamente diverso, proprio nel combinare diversamente gli stessi ingredienti: all’assenza totale di oggetto, in una vita affettivamente deserta, si unisce un senso introiettato, e denegato, del dover-essere che lo porta a voler vincere le sue battaglie sul piano logico-verbale e proiettivo, finché il vuoto esistenziale che questa unilateralità conferma ed allarga non prende il sopravvento sulla sua mente.
Bataille e Pasolini sono troppo cattolici per sottrarsi così all’esperienza; l’oggetto in un modo o nell’altro entrambi lo affrontano. Per questo in loro il tema del corpo rimane centrale. Ma, a questo punto, è indispensabile fare qualche precisazione su ciò che intendo per “oggetto”.
L’oggetto è la meta fondamentale del desiderio, e il desiderio è la relazione umana fondamentale, che si determina non in rapporto a oggetti naturalisticamente già definiti, ma in rapporto ai nostri simili che ci designano gli oggetti conferendo loro significato. In tal senso io accetto l’idea di Girard sulla presenza necessaria di un “terzo” fra soggetto e oggetto, che renda possibile il passaggio dall’uno all’altro tramite l’imitazione. Il forte limite di Girard sta nel non essersi posto il problema dell’oggetto, che in lui o esiste già naturalisticamente, oppure non esiste più, non appena il rapporto del soggetto col modello della sua imitazione collassa nella rivalità, focalizzandosi su di lui e cancellando l’oggetto reale del desiderio.
Sia in Bataille che in Pasolini possiamo osservare questo collasso oggettuale, solo che esso non elimina il ruolo e la necessità dell’oggetto, anzi enfatizza il problema del suo significato, proprio perché l’oggetto dei desideri umani non è mai semplicemente naturalistico, ma è sempre simbolico e culturale. E l’oggetto per eccellenza del desiderio è il corpo umano come mezzo e sede dell’identità e dell’alterità, cioè della relazione. Il sesso è fondamentale non in quanto oggetto in sé (il “sesso” da solo non costituisce un oggetto), ma in quanto sineddoche del corpo, dell’identità e relazionalità che il corpo rappresenta ed incarna. La centralità oggettuale che Freud assegna al sesso non è quindi senza ragione, ma Freud interpreta il sesso come oggetto naturalistico, non vedendo il ruolo della cultura nel costruire il suo significato, che invece Bataille in parte riconosce nella sua definizione di erotismo. Otteniamo un quadro più vicino al vero se accettiamo di mettere in movimento tutti i termini del desiderio, senza mai dimenticare che lo scopo del processo resterebbe la costruzione e il possesso di una realtà che è innanzi tutto culturale e sociale. È la mia idea di “mediazione oggettuale”, la realizzazione piena del desiderio nelle sue finalità interne, mai realizzate una volta per tutte ma strutturalmente presenti nell’intenzionalità che ne guida i movimenti e le scelte [3].
Il desiderio umano è però talmente plastico e potente che proprio il suo mancato soddisfacimento può rivelarsi l’eventualità più feconda, in quanto foriera di conoscenza su chi desidera e sul mondo che non riesce a raggiungere. Questo è il caso di Pasolini, un caso che testimonia come la sofferenza e lo scacco siano parte integrante del desiderio, della sua storia. La tragedia è in Pasolini lo strumento per esplorare questa storia segreta del desiderio. Arriviamo in tal modo a Medea, che rappresenta la meditazione tragica di Pasolini sulla storia, sull’archeologia del desiderio, suo e nostro.

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[1] Per un’ottima esposizione di questa interpretazione, e dei riferimenti letterari seguiti da Pasolini, v. M. Fusillo, La Grecia secondo Pasolini. Mito e cinema, La Nuova Italia, Firenze 1996, pp. 127-79.
[2] Si veda come valida esemplificazione di questo approccio M. Ryan Colleen, Salvaging the Sacred: Female Subjectivity in Pasolini’s Medea, in Italica, 76 (1999), pp. 193-204.
[3] Per la mia teoria del desiderio in collegamento con la tragedia greca e il sacrificio, mi permetto di rimandare a G. Fornari, Da Dioniso a Cristo. Conoscenza e sacrificio nel mondo greco e nella civiltà occidentale, Marietti, Genova-Milano 2006.
Giuseppe Fornari, Università di Bergamo -
Fonte: INDA




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Curatore, Bruno Esposito

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