"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Pasolini
L’aquila e la preda
Uccellacci e uccellini
Vie Nuove
numero 20
del 20 maggio 1965
pag. 30
( © Questa trascrizione da cartaceo, è stata curata da Bruno Esposito )
Mentre, presumibilmente, i lettori di «Vie nuove» che si interessano alla cosa, stanno onestamente digerendo il secondo e il terzo apologo di Uccellacci e uccellini, io mi occuperò delle prime reazioni al primo. Che non vengono, no, dai lettori di «Vie nuove» che, com’è giusto, aspettano di aver letto l’opera completa – sia pure nei miei brevissimi riassunti – prima di intervenire.
La prima reazione è reazionaria. Nelle infami colonne di un giornaletto neo-fascista o paleo-fascista – comunque son sempre quelli, i fascisti in paglietta – una infelice ragazza o signora, è stata la prima a occuparsi della storia dell’aquila. Questa infelice, preda probabilmente di traumi infantili ingigantiti, nel suo fisico adulto, dalle soluzioni borghesi a quei traumi – che sono soluzioni moralistiche e retoriche – questa povera bambina andata in cannone, insomma – non ha potuto evidentemente essere così oggettiva da capire neanche la pura e semplice lettera del mio raccontino. Naturalmente, siccome è una moralista, in nome delle sue alte verità morali, ha creduto lecito di esercitare nei miei riguardi uno spirito ricattatorio, che io del resto le perdono, come tutte le altre cose cattive che dice sul mio conto – ma su cui non posso tacere, per rispetto ai terzi, cui essa, nel suo ricatto, si rivolge. Questi terzi sono i cattolici, con cui ho avuto dei rapporti concreti di dialogo durante la stesura del Vangelo, e con cui mantengo una relazione di leale amicizia. Ecco (dice l’infelice preda dei terrori di una bambinella diventati terrorismo nelle malconformazioni dell’adulta) Pasolini, dopo aver fatto il Vangelo, tradisce i suoi amici cattolici: e, rappresentando nell’aquila della sua favola il Comunismo, attribuisce solo ad esso dei valori veramente religiosi (naturalmente io riassumo il pensiero della polemista, attribuendole tutta la nobiltà che non c’è).