"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Pier Paolo Pasolini
la performance "Intellettuale"
(una “radiografia dello spirito”)
Fabio Mauri
Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna
31 maggio 1975
(Le Immagini sono di Antonio Masotti )
Negli anni Settanta, Mauri è protagonista e teorico dell’“arte del comportamento”, movimento che in Italia assume tratti specifici rispetto alla performance internazionale. Le sue azioni – tra cui “Che cos’è il fascismo” (1971), “Ebrea” (1971), “Ideologia e Natura” (1973), “Oscuramento” (1975) – vanno lette come atti di interrogazione radicale sulla storia, sulla società, sui meccanismi di responsabilità individuale e collettiva. Lontano dal narcisismo dell’artista-performer, Mauri preferisce orchestrare la scena dall’esterno, usando altri individui come interpreti, accentuando il ruolo del “regista” o del “testimone”.
La sua collaborazione con Pasolini, e la comune partecipazione a riviste d’avanguardia come “Il Setaccio”, testimoniano un sodalizio intellettuale che trova nella performance “Intellettuale” uno dei suoi punti più alti e paradigmatici.
Pier Paolo Pasolini, amico e collaboratore di Mauri fin dagli anni Quaranta, incarna come pochi nella cultura italiana del Novecento il ruolo di intellettuale pubblico, poeta civile e artista poliedrico. I suoi interventi nel dibattito sui costumi, sulla società dei consumi, sull’omologazione culturale vengono sistematicamente ripresi e discussi sui più autorevoli giornali e negli ambienti accademici, suscitando polemiche e reazioni accese. Negli anni Settanta, Pasolini è percepito come figura scomoda ma centrale: i suoi “Scritti corsari” e i testi per “Il Corriere della Sera” lo rendono oggetto di attacchi e, allo stesso tempo, di ammirazione per la sua capacità di dare voce alle contraddizioni della contemporaneità.
In questa cornice, accettare di esporsi come “schermo vivente” di se stesso, nella performance di Mauri, significa per Pasolini riattualizzare in forma fisica e rituale quella responsabilità dell’intellettuale che aveva teorizzato e vissuto fino in fondo: “gettare il proprio corpo nella lotta”, secondo la definizione di Sartre e come Pasolini stesso amava ripetere.
La sera del 31 maggio 1975, negli spazi appena inaugurati della Galleria d’Arte Moderna di Bologna, davanti a un pubblico nutrito di amici, artisti, giovani e semplici curiosi attratti dalla notorietà di Pasolini e dall’aura innovativa dell’evento, va in scena la performance “Intellettuale” di Fabio Mauri. L’azione era parte delle iniziative per il nuovo corso della GAM e viene accolta come una delle manifestazioni simbolo dell’apertura del museo all’arte contemporanea più viva ed effimera.
Al centro della sala, su uno sgabello alto, Pasolini siede immobile, indossando una camicia bianca dal colletto inamidato, con il torace in evidenza quale superficie di proiezione. Mauri aveva scelto come supporto, non una tela né uno schermo tradizionale, ma il corpo stesso di Pasolini, autore e regista del film “Il Vangelo secondo Matteo” (1964). Il proiettore illumina lo spazio, diffondendo sulla camicia e sul petto del poeta le immagini del capolavoro pasoliniano, mentre la sala rimane volutamente immersa nel buio, accentuando la forza del contrasto tra la materialità del corpo esposto e l’intangibilità delle immagini filmiche.
La scelta formale – la camicia bianca simile a quella di un “fucilato di Goya”, secondo le parole di Mauri – sottolinea la dimensione di sacrificio e di esposizione: il corpo di Pasolini non protegge lo spettatore dalla violenza del film ma diventa “ricettore” e “bersaglio” di immagini che egli stesso aveva prodotto e immaginato.
Il suono del film, volutamente mantenuto a volume eccessivo, invade lo spazio, disorientando la percezione del pubblico e dello stesso Pasolini: la narrazione non segue più il testo filmico in modo lineare, ma crea un ambiente acustico spasmodico e claustrofobico, nel quale parole, rumori e musica si sovrappongono all’effige in carne ed ossa del regista-martire.
Nel corso dell’azione, Pasolini rimane pressoché immobile, visibilmente sofferente, quasi trasfigurato sotto il fascio di luce, costretto a subire il ritorno sul suo stesso corpo delle immagini e dei suoni, a ricevere la propria opera in modo radicalmente fisico. Il pubblico, inizialmente silenzioso, si stringe attorno alla scena, sedendosi anche per terra e lungo i corridoi, generando una tensione emotiva palpabile.
Al termine, l’autore e il regista si abbracciano, confermando la natura “rituale” e “amicale” dell’esperienza, che va oltre il semplice evento spettacolare per trasformarsi in dichiarazione di poetica e di amicizia resistente.
La performance “Intellettuale” assume un valore paradigmatico sia nella riflessione di Mauri sulla “natura ideologica delle forme espressive”, sia nell’economia del pensiero pasoliniano sulla responsabilità dell’intellettuale pubblico.
Secondo Alberto Boatto, la proiezione del film sul corpo del suo autore – la “scultura di carne e di luce” – rappresenta una “radiografia dello spirito”, la concretezza della soggettività intellettuale trasformata in immagine e in atto. Il corpo di Pasolini, costretto a ricevere la sua stessa opera senza poterla più vedere se non per ombre e luci di riflesso, diventa il luogo di un’“esposizione sadica” della funzione autoriale: l’opera “viene sadicamente ributtata sull’autore”, chiamandolo a rispondere non soltanto simbolicamente, ma corporalmente, delle implicazioni ideologiche ed emotive di ciò che ha realizzato.
Per Mauri, la performance è sia “esperimento fisico” che “atto ideologico”: l’artista cerca di mostrare come le forme espressive non siano mai neutre ma sempre radicate “all’universo morale dell’uomo”. Il termine “Intellettuale” indica per lui la condizione esistenziale di chi, attraverso la propria opera, si espone e si compromette con la realtà – non nel senso astratto di una funzione sociale ma in quello concreto di una presa di posizione sulla verità delle immagini e delle idee.
Da questo punto di vista, la scelta di proiettare “Il Vangelo secondo Matteo” si carica di ulteriori sfumature: il film di Pasolini, pur rimanendo fedele al testo evangelico, aveva sollevato polemiche e a sua volta rappresentava per il regista una delle forme più pure di “bellezza morale immediata” (come da sua riflessione). L’immagine di Cristo, sovrapposta fisicamente al petto dell’autore, porta a compimento il gioco di identificazione e distanza tra autore e opera: il regista non solo “vede” sé stesso nella propria creazione, ma ne diventa anche ricettacolo e, quasi, sacrificato.
La performance va dunque letta come un’esercitazione spirituale, nel senso ignaziano, ma anche come un’operazione di autoanalisi, di “imposizione di passione” – Mauri parla di “passione costretta” – riflessa nella corporeità dell’intellettuale che si fa medium e testimonianza.
L’uso stesso della performance come dispositivo di interrogazione sulla natura dell’arte, il ruolo del pubblico, la relazione tra autore e opera, è tipico dell’arte del comportamento italiana degli anni Settanta e testimonia una coerenza interna alla poetica mauriana: “L’arte non può che erigere un sistema di grande inattualità, cioè il mondo elementare dei valori”, scrive Mauri, insistendo sull’obbligatorietà del linguaggio come pratica della verità e della memoria.
La risonanza di “Intellettuale” non si è esaurita con la performance del 1975. La sua eco ha attraversato decenni, segnando profondamente sia l’estetica che l’etica della performance contemporanea. Gli artisti e gli studiosi che riflettono oggi sull’identità dell’intellettuale, sulla memoria dei media e sul rapporto tra arte e politica riconoscono nell’azione di Mauri e Pasolini una matrice “fondativa” della contemporaneità, capace di interrogare ancora le nuove forme di rappresentazione e le responsabilità dell’artista nella società delle immagini e dello “screen” globale.
Nel contesto della riflessione attuale, l’opera continua a fornire strumenti critici per discutere la funzione sociale dell’arte, il rischio della spettacolarizzazione e, soprattutto, il valore della testimonianza personale come antidoto all’anonimia digitale e alla deriva passiva delle nuove generazioni di intellettuali. In questo senso, “Intellettuale” viene periodicamente reinterpretata, discussa, mostrata, documentata, rivisitata in chiave didattica e curatoriale: una perfetta allegoria della memoria resistente che l’arte può offrire nella società della comunicazione globale e – come oggi è sempre più evidente – della proliferazione algoritmica delle immagini.
La performance “Intellettuale” di Fabio Mauri, con protagonista Pier Paolo Pasolini, rappresenta non soltanto una delle vette della performance art italiana, ma anche un crocevia critico per la riflessione sul rapporto tra arte, politica e società. Essa condensa nella sua formula scarna e potente il nocciolo di una domanda ancora attuale: quale spazio resta oggi all’intellettuale che voglia “gettare il corpo nella lotta”, superando la retorica e la distanza, per testimoniare davvero la portata e il rischio della creazione artistica?
Attraverso le successive riproposizioni, la presenza nella memoria collettiva (grazie alle immagini di Antonio Masotti e alle innumerevoli testimonianze critiche) e il dialogo costante con i temi dell’ideologia, dell’identità, della responsabilità civile, l’opera continua a interpellare il pubblico e a suggerire strategie di resistenza, di recupero della memoria e di emancipazione critica ancora oggi.
“Intellettuale” è, a pieno titolo, una delle più alte espressioni di quell’“arte del comportamento” che ha fatto della scena italiana degli anni Settanta un laboratorio unico e imprescindibile di idee, di pratiche e di visioni per il futuro.
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