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venerdì 12 settembre 2025

Pier Paolo Pasolini, Autori « di destra » - Tempo, 18 ottobre 1974

"Le pagine corsare " 

dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Pier Paolo Pasolini
Autori « di destra »

Tempo

18 ottobre 1974

(Oggi in Descrizioni di descrizioni, a cura di Graziella Chiarcossi)


Per approfondire:

Leggere, informarsi, imparare significa dover tenere rapporti anche con scrittori «di destra». Anzi, se pensiamo quanti sono i libri dovuti ad autori « di destra » che leggiamo, non possiamo non restare stupiti e forse anche un po' sconcertati. L’abitudine ci salva dal pensare questo: ciò non toglie che è chiaro che dobbiamo fare, più spesso di quanto crediamo, i conti coi nostri avversari: che si rivelano, in realtà, avversari «manipolati»: se il loro lavoro ci è tecnicamente utile, e spesso non possiamo prescinderne. Altre volte poi il loro fascino è più grande della loro ideologia. E allora è chiaro che anche la loro ideologia ci affascina in loro.

In questi giorni mi si sono ammucchiati sul tavolo, tutti insieme, molti libri di autori «di destra»: è, casualmente, il loro numero che mi ha dato coscienza di quanto noi abbiamo, di intimo, in comune con essi. Non ricorrerò a Lukacs: lascerò questa osservazione al suo stato diaristico, morale: da «Zibaldone» (per anticipare).

Il primo di questi autori di destra i cui libri mi son capitati sul tavolo e che ho letto, è, per la verità, un uomo di estrema destra: un fascista, o un ex fascista. Si chiama Fernando Ritter. È uno svizzero che nel '35 — e pour cause, evidentemente - ha preso la cittadinanza italiana. E' un ammiratore di Pound, e ciò ha salvato i suoi volumetti da un immediato volo nel cestino. Non si resiste alla curiosità di leggere cosa possa dire un economista — com’è di professione Ritter - di quella cosa folle che è l’economia o storia monetaria di Pound, con la sua delirante sindrome contro l'Usura (un frammento del Canto XLV di Pound, contro l'Usura, malissimo tradotto dalla figlia Mary de Rachewiltz, è preposto a uno dei volumetti di Ritter, dove poi c'è anche il saggetto su Ezra Pound economista).

Ma i volumetti di Ritter che mi hanno interessato sono i più recenti (Tre saggi sgraditi e La via mala). Nel primo ci sono due brevi studi — con molti dati statistici — su La grande miseria dell'agricoltura italiana e La bancarotta dell'industrializzazione.

Quanto siano giuste le parziali prese di posizione di Ritter, e soprattutto la sua violentissima requisitoria contro l’amministrazione e la politica del Regime (democristiano), non voglio dirlo io: perché non vorrei che si facessero stupide illazioni sulla mia mancanza di limiti convenzionali e sul mio eccesso di fiducia sulla possibilità di spregiudicatezza dell’intelletto. Lascio giudicare al lettore, trascrivendogli due o tre brani esemplificativi delle operette citate: «E come non sarebbe potuto non calare il reddito dell’agricoltura italiana se il " sistema ” deve - per attuare la sua politica di espansione megalomane delle industrie, anche le più anti-economiche e anti-sociali, e di sviluppo senza freni delle attività terziarie, anche le più dannose all’equilibrio dell’economia nazionale — poter disporre in continuità di sempre nuovi contingenti di manodopera?» E ancora: «Sistema elaborato da una classe dominante internazionale, che ha nella moneta scritturale (pseudo-capitale) il moderno strumento di egemonia eco-nomico-politica del mondo cosiddetto libero, e nella classe dirigente, di fatto nuova feudalità, i suoi grandi e piccoli vassalli».

Ma non è tanto su tale diagnosi giustamente catastrofica (su cui, come dice l’editore Scheiwiller, si può concordare) che vorrei richiamare l’attenzione del lettore. Vorrei piuttosto mettere in confronto questi testi di un fascista, per esempio, con le recenti dichiarazioni («L’Espresso», 4-8-'74) di uno dei più tipici rappresentanti della classe dirigente, di cui Ritter parla: Amintore Fanfani. O, meglio ancora, vorrei mettere in confronto questi testi con un recente discorso — che, benché solo ciclostilato a cura della Montedison, ho avuto occasione di leggere — di Eugenio Cefis: discorso, certo non casualmente, pronunciato davanti agli ascoltatori del «Centro Alti Studi Militari». Sia Amintore Fanfani (classe dirigente) che Eugenio Cefis (classe dominante internazionale) recitano una specie di prudente e gesuitico «mea culpa» proprio a proposito delle malefatte di cui ferocemente li accusa l’ignoto cittadino italiano Fernando Ritter. Fanfani fa precipitosamente l’autocritica del vassallaggio politico; Cefis delinea un precipitoso ritorno all’agricoltura, lasciata nell'ultimo decennio in un criminale abbandono. Fanfani e Cefis, insieme, poi, abbozzano un piano di ridimensionamento delle industrie che Ritter chiama anti-economiche e anti-sociali e soprattutto delle «attività terziarie», cioè la produzione megalomane di beni superflui.

C’è un piacere diabolico nel constatare che questi tre tipi di uomini di potere debbano fare i conti tra loro, in un momento di scacco. Tanto più se si pensa alla loro passata arroganza. Tacciamo su quella, ormai preistorica, di Ritter. Ma non possiamo non ricordare quella - certo destinata a rifiorire — di Fanfani e di Cefis, prima della crisi energetica e del referendum. Basti pensare al discorso ideologico di Cefis, pronunciato sempre davanti a dei militari (stavolta l'Accademia Militare di Modena) nel febbraio del '72, e pubblicato su «Successo»: dove si delineava la «fine della nazione» e la nascita di un potere neo-capitalistico «multinazionale», con la susseguente trasformazione dell’esercito in un esercito tecnologico e poliziesco al servizio, appunto, di questo nuovo potere. Era la fine del fascismo dei Ritter. Era la fine della destra classica italiana. Era ed è. Perché la crisi economica e l’eventuale recessione non impediranno che questa, delineata da Cefis nel '72, non sia la reale ipotesi del potere capitalistico per il proprio futuro.

È perciò che tutto ciò che sa di fascismo e di vecchia destra si presenta cosi definitivamente antiquato da apparire quasi innocuo.

Un altro libro che ho sul tavolo, appartenente a tale «destra» (ma in questo caso assai nobile) è una biografia di Leopardi, dovuta a Iris Origo, una signora colta di padre americano e madre anglo-irlandese, ma sposata in Italia e praticamente italiana fin dal 1924. Insomma le date e il destino sono un po’ quelli di Pound, e del sunnominato Ritter. La Origo si e impregnata profondamente di cultura italiana. Ungaretti, De Robertis, Piovene, sono, nel ricostruire la vita di Leopardi, i suoi «duchi». E naturalmente il Leopardi e visto secondo un’ottica ermetica che si sovrappone alla visione di una conservatrice inglese che istintivamente prepone a tutto il rispetto della « privacy». Ora, non c’è niente di più contrario e negativo, nel fare la biografia di uno scrittore, che un’ottica ermetica e di rispetto per la « privacy ».

L’attesa era che il Leopardi venisse aggredito, per esempio, con la stessa spregiudicata violenza, e crudele eleganza, con cui un uomo, in fondo della stessa destra a cui appartiene la Origo — ma assurda e inventata in quanto italiana — Pietro Citati, ha aggredito un altro mostro sacro, Alessandro Manzoni, e proprio nel suo centenario. È vero che il Manzoni era uscito molto più indenne del Leopardi dagli ascetici culti tollerati nel ventennio reazionario. Tuttavia Citati non ha alcuna remora nel fare del Manzoni un ritratto, stupendo, che non si ferma davanti a niente, e meno di tutto di fronte alla sua nevrosi e alla sua disastrosa figura paterna, sfiorata dall'abiezione. Questo Manzoni «disgraziato» è naturalmente infinitamente più grande di quello ufficiale. Per Leopardi le premesse non erano diverse che per il Manzoni. Anche lui, oltre a essere un mostro sacro, era un povero mostro umano, completamente in preda alla nevrosi con tutte le sue degradazioni. Perché tacere - o sorvolarvi con parole velate - del suo narcisismo, del suo egocentrismo megalomane, della sua impotenza, delle sue inibizioni linguistiche, e di tutte le sue manie e le sue allergie? Tenendo tutto questo nascosto, con la tipica paura borghese di parlare del male, la Origo ha scritto una biografia di Leopardi nobile ma tutta vista alla luce retroattiva di una «grandezza» infine repressiva.

Non tacerò, nel contesto che ho qui istituito degli autori «di destra», un altro anglosassone vissuto molto in Italia: un poeta noioso e ammirevole, Edwin Muir.

E naturalmente, in un trasporto di amore trionfale, indicherò al lettore la sconnessa e superba Meditazione milanese di Carlo Emilio Gadda, e i racconti de Il sereno dopo la nebbia di Giovanni Comisso, in cui l’immagine irrelata dell'Italia di dieci anni fa ha l’assolutezza dei sogni felici.

Pier Paolo Pasolini

@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare


Curatore, Bruno Esposito


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