"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Jesus Christ Superstar, visto da Pier Paolo Pasolini
Leonardo Sciascia scrisse nel 1965 a proposito delle feste religiose in Sicilia: la figura di Gesù non è forse quella di un uomo abbandonato dai suoi amici, tradito da uno dei suoi più intimi e condannato a morte da una giustizia corrotta?
Da Pasolini a Gibson
Nella settimana di Pasqua (2004, ndr.), giungono contemporaneamente sugli schermi nostrani “La passione di Cristo”, il discusso film di Mel Gibson sulle ultime 12 ore di vita di Gesù, ed “Il Vangelo secondo Matteo” (1964) di Pier Paolo Pasolini, restaurato dal Centro sperimentale di Cinematografia con la collaborazione di Mediaset. Occasione più felice non poteva esserci per mettere aconfronto la tonitruante spettacolarità della pellicola hollywoodiana con la poesia poveristica di quella indigena: ognuno giudicherà da sé, per conto nostro ci limitiamo ad alcune osservazioni sulla prima delle due opere, della quale peraltro già moltissimo si è detto.
Prodotto da Gibson medesimo, parlato in latino ed aramaico, “La Passione di Cristo” rilegge una delle storie più raccontate al cinema secondo i canoni dell'horror. I bambini deformi e mostruosi, i corvi che divorano gli occhi vengono dritti da certi film degli anni ‘70 di serie B: siamo dalle parti di “Sentinel” (1977) o de “La maledizione di Damien” (1978) più che di “Rosemary's Baby” (1968) o de “L'esorcista” (1973), nelle zone d'un immaginario tutto di seconda mano e vagamente repellente. La vicenda viene, poi, raccontata secondo i canoni dello splatter: se il tragitto di Mel Gibson, davanti e dietro la macchina da presa, si è costantemente svolto nel segno della sevizia corporale (si pensi all'interminabile scena di tortura di “Braveheart”, ai fiumi di sangue di “The Patriot”, al martirio di “Mad Max”, alle dita dei piedi frantumate del protagonista di “Payback” ed alle pulsioni suicide di quello di “Arma letale”), questa crocefissione hard-gore costituisce il punto d'arrivo forse obbligato di tutta una carriera.
Concepito dal Nostro come un atto di fede (ed una sorta di omaggio a suo padre Hutton, leader di una congregazione cattolica scismatica che rifiuta il Concilio Vaticano Secondo), “La Passione di Cristo” si risolve in 126 minuti di inesausta ferocia: l'accanimento sul corpo del Nazareno è tale da aver giustamente fatto osservare, su “Newsweek”, al critico David Ansen, come “più che commuoversi per la sofferenza di Cristo o provar soggezione per il suo sacrificio, ci si senta violentati da un cineasta ben deciso a punire il pubblico, non si sa per quale peccato”. La scelta, di per sé legittima, d'isolare un frammento della vita di Cristo e metterlo in scena secondo l'ottica di cui sopra, porta ad effetti paradossali: il preteso realismo finisce per mutarsi in iperrealismo, il supplizio ininterrotto - con l'ausilio di un uso insistito del ralenti e della musica - per prestarsi al sospetto d'una forma di involontario voyeurismo.
Ma quel che risulta più grave - per tacer sull'ispirazione fondamentalista dell'operazione, fors'anche pericolosa in tempi nei quali atteggiamenti similari hanno figliato, in altri credi, esiti devastanti - è la mancanza di significato ultimo di codesto lavoro. Ha ragione A.O. Scott ad annotare, dalle colonne del “New York Times”, come il film “mai fornisca chiaramente il senso di tutto di questo spargimento di sangue”, concludendo che “i Vangeli, almeno in alcune interpretazioni, suggeriscono che la storia si chiude col perdono. Ma una simile conclusione pare al di là delle capacità immaginative del signor Gibson”.
Stentano, in definitiva, da tale catalogo di orrori, a venir fuori gli aspetti più importanti della predicazione del Messia: l'amore per il prossimo e la tolleranza. A seguito di tanto furore quasi ci si attende, nella sequenza finale della Resurrezione, di veder comparire un Cristo con l'armatura, a presagio delle inique Crociate che un giorno verranno. Giusto l'opposto della serenità che, quarant'anni prima, il laico Pasolini aveva saputo infondere nel suo “Vangelo secondo Matteo”: pel tramite di una rilettura religiosa ma non metafisica, rispettosa delle ragioni dei credenti e capace di parlare ai cuori di tutti.
I Sassi di Matera? Un set per molti film. Ne prendiamo due, due capolavori. Ovvero i Sassi prima e dopo il restauro dell'architetto Pietro Laureano: dal Pasolini del Vangelo secondo Matteo (1964) al Gibson di The Passion of the Christ (2004). E scopriamo che la neolitica Matera è in realtà una città del futuro proprio grazie ai suoi Sassi.
«Il mio lavoro su Matera inizia nel '92, quando ancora è una città abbandonata – racconta Pietro Laureano, architetto che ha vissuto dal 1992 al 2005 nei Sassi di Matera, li ha iscritti nel 1993 nella lista del Patrimonio Mondiale Unesco e li ha restaurati -, 2 o 3 i residenti nei Sassi, come nel '64: sassi vuoti, in bianco e nero, ruderi, un mondo al di là della storia (Cristo si era fermato a Eboli). Una Matera scelta da Pasolini quale immagine di Gerusalemme, che peraltro ora non è così, e della dura primordialità. Il suo Cristo si rivolge così alla città: 'Di voi non resterà pietra su pietra, razza di vipere!'. Una città che ha avuto un rapporto difficile con la natura, che è stata poi la sfida attraverso la quale è stata realizzata. Le murge materane sono ostili come i calcari della Palestina o la Tebaide, l'Egitto, la Siria, l'Etiopia. Tutte terre scelte dal movimento monastico, che cercava eremi nel deserto per creare situazioni vivibili usando i sistemi sotterranei di raccolta delle acque, le grotte».
Cosa ha fatto in quei 13 anni?
“Ho vissuto nei Sassi, evidenziando come il percorso del movimento monastico non facesse che ritracciare e rivivificare strade preistoriche. La storia di Matera non è medievale, ma neolitica. La mia lettura della città è stata questa: Matera fa parte di una storia antichissima che guarda al futuro perché usa le risorse senza distruggerle, alternativa in questo alla città moderna. A Matera, città 'troglodita' e parsimoniosa, si distillava l'acqua dalle caverne, si costruivano giardini pensili, c'era un ciclo sostenibile dei rifiuti. Non era la città ortogonale della modernità, per questo spaventa. Pasolini la sceglie per indicare una situazione precristiana, cerca di riportarvi il Cristo da Eboli. Matera è così però una città del futuro, ecosostenibile. Quando iniziò il mio intervento, c'era chi voleva recuperare i Sassi per omologarli (grandi contenitori per mostre ad esempio) e chi come me voleva salvaguardarne la qualità con un restauro conservativo che non li rifacesse, ma li usasse per come sono, vivendoci. Così ho fatto. È un messaggio per il futuro, ed è stata una proposta vincente: adesso i Sassi sono quasi del tutto abitati. Una città vive se abitata, non può diventare il museo di se stessa!
Il film di Gibson?
Importante, ma involontariamente negativo: ha creato un'immagine hollywoodiana. I turisti vengono a Matera per vedere i luoghi del film, non per conoscere i Sassi. L'eccessiva notorietà ha un po' snaturato la città. Sono stati fatti investimenti anche a fini speculativi. La Matera che ho lasciato nel 2005 era un'altra, ma la mia esperienza è stata comunque di successo: i Sassi sono preservati. Avrei voluto una maggiore tensione culturale per rispettare di più l'origine della città e gli aspetti ecosostenibili che Matera ha e che ora si ritrovano nell'architettura moderna. Con il turismo e il successo ciò è avvenuto solo in parte, ma sono concetti che devono maturare in sede locale. Ci vuole tempo insomma.
Enrico Zoi
Pietro Laureano, architetto e urbanista, è consulente Unesco per le zone aride, la civiltà islamica e gli ecosistemi in pericolo.
Laureano, che ora abita a Bagno a Ripoli (Firenze), ha vissuto dal 1992 al 2005 nei Sassi di Matera, li ha iscritti nel 1993 nella lista del Patrimonio Mondiale Unesco e li ha restaurati. Del 1993 è il suo libro Giardini di Pietra, i Sassi di Matera e la civiltà mediterranea (Bollati Boringhieri, Torino).
Fonte: IL TRILLO DEL DIAVOLO
Il Vangelo secondo Matteo
È incredibile la forza che può avere il cinema! "Il Vangelo secondo Matteo" di Pier Paolo Pasolini è uscito nel 1964 e dopo quarant'anni è riuscito a conservare tutta la potenza che possedeva allora. Il fatto di raccontare un testo che ha quasi duemila anni certamente aiuta, ma l'opera di Pasolini attualizza la sacralità dell'argomento fino a farla diventare moderna. Il Gesù del film è più umano che divino, ed è per questo che all'uscita del film ci furono polemiche a non finire.
Dedicato alla "cara, lieta e familiare memoria di Giovanni XXIII", morto l'anno prima, questo film ha il coraggio di rappresentare un Cristo solo tra la gente, un Cristo dalla parte della gente. Così come il "Papa buono", il Gesù di Pasolini è schierato dalla parte dei poveri, dei diversi, dei bambini. È un uomo tra gli uomini. In certi momenti questo Cristo è anche vendicativo ("Sono venuto a portare la spada" dice ad un certo punto) e ciò lo rende ancora più umano. D'altra parte Gesù Cristo è considerato da molti il primo grande rivoluzionario della storia, ed è per questo che all'uscita del film i fascisti reazionari sputarono sullo schermo al festival di Venezia. E la cosa più straordinaria è che questa figura così "cristiana" di Gesù ci è narrata da un laico di sinistra. Nessuno è riuscito a dare una figura così viva di Cristo, eppure ci hanno provato in molti (da ricordare almeno, il brutto ma famoso "Gesù di Nazareth" del cattolico Zeffirelli).
Già con "La ricotta", episodio dal film collettivo "Ro.Go.Pa.G", Pasolini aveva cercato di portare Cristo sulla terra, riuscendo a creare uno dei più bei frammenti del cinema italiano di tutti i tempi. Ed anche nel film successivo, "Uccellaci e Uccellini", ritornerà ad un afflato spirituale per raccontare la crisi di una sinistra sempre più lontana dalla realtà.
Il cinema di Pasolini, almeno in questa prima fase, è assolutamente religioso, così come era assolutamente religioso Caravaggio che per ritrarre la Madonna usava una prostituta. Il senso vero della sua religione è che più ci si allontana dal sacro per avvicinarsi al terreno, più si è fedeli al "Verbo". Che altro sono i personaggi dei primi film di Pasolini, se non "poveri cristi".
"Il Vangelo secondo Matteo" uscirà di nuovo nelle sale in contemporanea con il nuovo film di Mel Gibson, "The passion". Sarà inevitabile fare dei raffronti, come saranno inevitabili le polemiche (molte volte fini a sé stesse). Non so se il film di Mel Gibson, fra quarant'anni verrà ricordato come una pietra miliare, ma so di certo che il film di Pasolini resisterà ancora per tanto tempo nella memoria di tutti gli appassionati di cinema (e di arte in generale), perché ha saputo raccontare una storia eterna in maniera assolutamente vicina a tutti noi. Una storia vissuta duemila anni fa, che è la stessa storia di ieri e di oggi: la storia di un uomo che voleva portare il bene ed è stato ucciso da quelli che vincono sempre. Almeno su questo mondo.
Così il Vaticano boccia Zeffirelli e dice sì a Pasolini
Nella videoteca della Santa Sede i 45 film del secolo. Monsignor Foley: scelti in base alle capacità educative Il regista escluso: assurdo, Wojtyla mi fece i complimenti sia per il "Gesù" sia per "Fratello Sole, Sorella Luna"
CHIESA & CINEMA Mentre per il Giubileo in onore del Papa si prepara anche una tre giorni dedicata al mondo dello spettacolo, fa discutere una decisione Così il Vaticano boccia Zeffirelli e dice sì a Pasolini Nella videoteca della Santa Sede i 45 film del secolo. Monsignor Foley: scelti in base alle capacità educative Il regista escluso: assurdo, Wojtyla mi fece i complimenti sia per il "Gesù" sia per "Fratello Sole, Sorella Luna" Benigni e il Papa che vedono insieme "La vita è bella", una filmoteca di 6.000 titoli con 45 privilegiati, una sala di proiezioni proprio dietro a S. Pietro. E per il Giubileo si prepara una tre giorni (dal 15 al 17 dicembre 2000) dedicata al mondo dello spettacolo a cui parteciperanno i principali artisti di tutto il mondo. Fra cinema e Chiesa i legami quindi si rafforzano. Perso ogni alone sulfureo, il grande schermo sta acquistando un ruolo di primissimo piano nell' "arredo" massmediologico vaticano. Merito di Wojtyla, Papa che non ha mai nascosto il suo interesse per il mondo dello spettacolo. Merito di monsignor John Patrick Foley, vescovo americano, presidente del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali. Fierissimo di alcuni "pezzi" unici della sua filmoteca sulla vita interna del Vaticano, dei documentari sulle religioni non cristiane e, infine, della sezione più recente, con opere non solo a sfondo religioso ma anche laico. "Nessuna censura, solo grande attenzione alla qualità", precisa Foley che, con i suoi collaboratori, primo fra tutti Enrique Planas y Coma, gesuita, direttore della filmoteca, ha stilato un elenco di 45 film considerati i più interessanti del secolo. Divisi in tre sezioni di 15 titoli ciascuna (religione, valori, arte), gli "Oscar" del Vaticano sono stati immediato bersaglio di commenti e critiche degli addetti ai lavori. Soprattutto di chi, in quelle liste, non si è' ritrovato. Così , tra i 15 della serie "religione" spiccano i nomi prevedibili di Tarkowskij e Dreyer, ma anche quelli più trasgressivi di Cavani, Pasolini, Buñuel. Nessuna traccia invece di Zeffirelli, né del suo super ortodosso "Gesù". "Lo so, lui se l'è presa a male. Ma quel "Gesù" era prodotto per la tv, mentre noi prendiamo in considerazione solo film nati per il cinema. I migliori dal punto di vista educativo, prima ancora che estetico", spiega Foley. E aggiunge allusivo: "A chi si è risentito per la presenza di Pasolini, ricordo che nel suo film ci sono solo parole tratte dal Vangelo. Come aver da ridire se lo sceneggiatore si chiama Matteo?". E Franco Zeffirelli? "Non riconosco questa giuria - risponde secco -. Non è rappresentativa né' del mondo cattolico né del Papa, ormai anziano, malato, alla mercè di persone che gli fanno dire e fare qualunque cosa. Anni fa, Papa Wojtyla si complimentò con me sia per "Gesù " sia per "Fratello Sole, Sorella Luna". Mi disse che avevo onorato la fede. Chi oggi gli fa da portavoce non la pensa allo stesso modo. Il mio nome è escluso da ogni lista, ignorato per il Giubileo. Nel nuovo Vaticano evidentemente non c'è posto per me".
Il 28 dicembre 1895 i fratelli Lumière mostrano la loro invenzione, il cinématographe, al pubblico riunito nella sala del Gran Cafè del Bulevard des Capucines a Parigi. Neanche due anni dopo, Léar realizza La Passion du Christ: per la prima volta la vita di Gesù viene rappresentata attraverso immagini in movimento. È il 1897, e da allora Gesù è stato protagonista di quasi duecento pellicole, diventando il soggetto maggiormente sfruttato dalla settima arte.
Il film di Léar oggi è andato perduto, ma sembra narrasse la passione del titolo attraverso dodici tableaux vivants ispirati alle stazioni della via Crucis. Léar, il cui vero nome era Albert Kirchner, girò il suo film a Parigi, utilizzando attori che realmente mettevano in scena una via Crucis in tableaux vivants. La Passion du Christ fece scandalo: molti non erano d’accordo nel vedere la figura di Gesù proiettata su un lenzuolo. Eppure furono tantissimi i film, prodotti nei primi dieci anni di storia del cinema, a narrare episodi evangelici.
All’inizio le pellicole di argomento religioso venivano spesso mostrate davanti a luoghi di culto, in occasioni legate a festività religiose, ponendo così il cinema in diretta continuità con le sacre rappresentazioni. Ma ben presto la Chiesa si oppose a questa tendenza, giudicata rischiosa in quanto avrebbe potuto trasformare luoghi sacri in ambienti di spettacolo.
Alla figura di Gesù ci sono stati, fin dal principio, approcci radicalmente differenti: basti pensare che sia Georges Méliès che i fratelli Lumière hanno realizzato pellicole di argomento cristologico, ma ognuno a modo suo. Mentre, infatti, i Lumière, producono Vues répresentant la vie et la Passion de Jésus-Christ, nel 1897, tredici tableaux, tredici tappe della vita di Gesù, Méliès realizza, un anno dopo, Le Christ marchant sur les eaux, utilizzando i “trucchi” e le “illusioni” di cui è maestro per ricostruire uno dei più spettacolari miracoli.
Negli anni successivi, però, i cineasti sembrano preferire una narrazione di tipo più realistico, quasi documentaristico, nel trasporre in immagini la vita e la passione di Gesù. Per citarne alcuni: Passione di Gesù (1900) di Luigi Topi e Ezio Cristofari, La Vie et la Passion de Jésus-Christ (1902) di Ferdinand Zecca e Lucien Nonguet, Le Christ en Croix (1910) di Louis Feuillade, The Star of Bethlehem (1912) di Lawrence Marston.
Prodotto da Gibson medesimo, parlato in latino ed aramaico, “La Passione di Cristo” rilegge una delle storie più raccontate al cinema secondo i canoni dell'horror. I bambini deformi e mostruosi, i corvi che divorano gli occhi vengono dritti da certi film degli anni ‘70 di serie B: siamo dalle parti di “Sentinel” (1977) o de “La maledizione di Damien” (1978) più che di “Rosemary's Baby” (1968) o de “L'esorcista” (1973), nelle zone d'un immaginario tutto di seconda mano e vagamente repellente. La vicenda viene, poi, raccontata secondo i canoni dello splatter: se il tragitto di Mel Gibson, davanti e dietro la macchina da presa, si è costantemente svolto nel segno della sevizia corporale (si pensi all'interminabile scena di tortura di “Braveheart”, ai fiumi di sangue di “The Patriot”, al martirio di “Mad Max”, alle dita dei piedi frantumate del protagonista di “Payback” ed alle pulsioni suicide di quello di “Arma letale”), questa crocefissione hard-gore costituisce il punto d'arrivo forse obbligato di tutta una carriera.
Concepito dal Nostro come un atto di fede (ed una sorta di omaggio a suo padre Hutton, leader di una congregazione cattolica scismatica che rifiuta il Concilio Vaticano Secondo), “La Passione di Cristo” si risolve in 126 minuti di inesausta ferocia: l'accanimento sul corpo del Nazareno è tale da aver giustamente fatto osservare, su “Newsweek”, al critico David Ansen, come “più che commuoversi per la sofferenza di Cristo o provar soggezione per il suo sacrificio, ci si senta violentati da un cineasta ben deciso a punire il pubblico, non si sa per quale peccato”. La scelta, di per sé legittima, d'isolare un frammento della vita di Cristo e metterlo in scena secondo l'ottica di cui sopra, porta ad effetti paradossali: il preteso realismo finisce per mutarsi in iperrealismo, il supplizio ininterrotto - con l'ausilio di un uso insistito del ralenti e della musica - per prestarsi al sospetto d'una forma di involontario voyeurismo.
Ma quel che risulta più grave - per tacer sull'ispirazione fondamentalista dell'operazione, fors'anche pericolosa in tempi nei quali atteggiamenti similari hanno figliato, in altri credi, esiti devastanti - è la mancanza di significato ultimo di codesto lavoro. Ha ragione A.O. Scott ad annotare, dalle colonne del “New York Times”, come il film “mai fornisca chiaramente il senso di tutto di questo spargimento di sangue”, concludendo che “i Vangeli, almeno in alcune interpretazioni, suggeriscono che la storia si chiude col perdono. Ma una simile conclusione pare al di là delle capacità immaginative del signor Gibson”.
Stentano, in definitiva, da tale catalogo di orrori, a venir fuori gli aspetti più importanti della predicazione del Messia: l'amore per il prossimo e la tolleranza. A seguito di tanto furore quasi ci si attende, nella sequenza finale della Resurrezione, di veder comparire un Cristo con l'armatura, a presagio delle inique Crociate che un giorno verranno. Giusto l'opposto della serenità che, quarant'anni prima, il laico Pasolini aveva saputo infondere nel suo “Vangelo secondo Matteo”: pel tramite di una rilettura religiosa ma non metafisica, rispettosa delle ragioni dei credenti e capace di parlare ai cuori di tutti.
Francesco Troiano
Fonte: ITALICA
I sassi di Matera da Pier Paolo Pasolini a Mel Gibson. Intervista a Pietro Laureano
«Il mio lavoro su Matera inizia nel '92, quando ancora è una città abbandonata – racconta Pietro Laureano, architetto che ha vissuto dal 1992 al 2005 nei Sassi di Matera, li ha iscritti nel 1993 nella lista del Patrimonio Mondiale Unesco e li ha restaurati -, 2 o 3 i residenti nei Sassi, come nel '64: sassi vuoti, in bianco e nero, ruderi, un mondo al di là della storia (Cristo si era fermato a Eboli). Una Matera scelta da Pasolini quale immagine di Gerusalemme, che peraltro ora non è così, e della dura primordialità. Il suo Cristo si rivolge così alla città: 'Di voi non resterà pietra su pietra, razza di vipere!'. Una città che ha avuto un rapporto difficile con la natura, che è stata poi la sfida attraverso la quale è stata realizzata. Le murge materane sono ostili come i calcari della Palestina o la Tebaide, l'Egitto, la Siria, l'Etiopia. Tutte terre scelte dal movimento monastico, che cercava eremi nel deserto per creare situazioni vivibili usando i sistemi sotterranei di raccolta delle acque, le grotte».
Cosa ha fatto in quei 13 anni?
“Ho vissuto nei Sassi, evidenziando come il percorso del movimento monastico non facesse che ritracciare e rivivificare strade preistoriche. La storia di Matera non è medievale, ma neolitica. La mia lettura della città è stata questa: Matera fa parte di una storia antichissima che guarda al futuro perché usa le risorse senza distruggerle, alternativa in questo alla città moderna. A Matera, città 'troglodita' e parsimoniosa, si distillava l'acqua dalle caverne, si costruivano giardini pensili, c'era un ciclo sostenibile dei rifiuti. Non era la città ortogonale della modernità, per questo spaventa. Pasolini la sceglie per indicare una situazione precristiana, cerca di riportarvi il Cristo da Eboli. Matera è così però una città del futuro, ecosostenibile. Quando iniziò il mio intervento, c'era chi voleva recuperare i Sassi per omologarli (grandi contenitori per mostre ad esempio) e chi come me voleva salvaguardarne la qualità con un restauro conservativo che non li rifacesse, ma li usasse per come sono, vivendoci. Così ho fatto. È un messaggio per il futuro, ed è stata una proposta vincente: adesso i Sassi sono quasi del tutto abitati. Una città vive se abitata, non può diventare il museo di se stessa!
Il film di Gibson?
Importante, ma involontariamente negativo: ha creato un'immagine hollywoodiana. I turisti vengono a Matera per vedere i luoghi del film, non per conoscere i Sassi. L'eccessiva notorietà ha un po' snaturato la città. Sono stati fatti investimenti anche a fini speculativi. La Matera che ho lasciato nel 2005 era un'altra, ma la mia esperienza è stata comunque di successo: i Sassi sono preservati. Avrei voluto una maggiore tensione culturale per rispettare di più l'origine della città e gli aspetti ecosostenibili che Matera ha e che ora si ritrovano nell'architettura moderna. Con il turismo e il successo ciò è avvenuto solo in parte, ma sono concetti che devono maturare in sede locale. Ci vuole tempo insomma.
Enrico Zoi
Pietro Laureano, architetto e urbanista, è consulente Unesco per le zone aride, la civiltà islamica e gli ecosistemi in pericolo.
Laureano, che ora abita a Bagno a Ripoli (Firenze), ha vissuto dal 1992 al 2005 nei Sassi di Matera, li ha iscritti nel 1993 nella lista del Patrimonio Mondiale Unesco e li ha restaurati. Del 1993 è il suo libro Giardini di Pietra, i Sassi di Matera e la civiltà mediterranea (Bollati Boringhieri, Torino).
Fonte: IL TRILLO DEL DIAVOLO
Il Vangelo secondo Matteo
Dedicato alla "cara, lieta e familiare memoria di Giovanni XXIII", morto l'anno prima, questo film ha il coraggio di rappresentare un Cristo solo tra la gente, un Cristo dalla parte della gente. Così come il "Papa buono", il Gesù di Pasolini è schierato dalla parte dei poveri, dei diversi, dei bambini. È un uomo tra gli uomini. In certi momenti questo Cristo è anche vendicativo ("Sono venuto a portare la spada" dice ad un certo punto) e ciò lo rende ancora più umano. D'altra parte Gesù Cristo è considerato da molti il primo grande rivoluzionario della storia, ed è per questo che all'uscita del film i fascisti reazionari sputarono sullo schermo al festival di Venezia. E la cosa più straordinaria è che questa figura così "cristiana" di Gesù ci è narrata da un laico di sinistra. Nessuno è riuscito a dare una figura così viva di Cristo, eppure ci hanno provato in molti (da ricordare almeno, il brutto ma famoso "Gesù di Nazareth" del cattolico Zeffirelli).
Già con "La ricotta", episodio dal film collettivo "Ro.Go.Pa.G", Pasolini aveva cercato di portare Cristo sulla terra, riuscendo a creare uno dei più bei frammenti del cinema italiano di tutti i tempi. Ed anche nel film successivo, "Uccellaci e Uccellini", ritornerà ad un afflato spirituale per raccontare la crisi di una sinistra sempre più lontana dalla realtà.
Il cinema di Pasolini, almeno in questa prima fase, è assolutamente religioso, così come era assolutamente religioso Caravaggio che per ritrarre la Madonna usava una prostituta. Il senso vero della sua religione è che più ci si allontana dal sacro per avvicinarsi al terreno, più si è fedeli al "Verbo". Che altro sono i personaggi dei primi film di Pasolini, se non "poveri cristi".
"Il Vangelo secondo Matteo" uscirà di nuovo nelle sale in contemporanea con il nuovo film di Mel Gibson, "The passion". Sarà inevitabile fare dei raffronti, come saranno inevitabili le polemiche (molte volte fini a sé stesse). Non so se il film di Mel Gibson, fra quarant'anni verrà ricordato come una pietra miliare, ma so di certo che il film di Pasolini resisterà ancora per tanto tempo nella memoria di tutti gli appassionati di cinema (e di arte in generale), perché ha saputo raccontare una storia eterna in maniera assolutamente vicina a tutti noi. Una storia vissuta duemila anni fa, che è la stessa storia di ieri e di oggi: la storia di un uomo che voleva portare il bene ed è stato ucciso da quelli che vincono sempre. Almeno su questo mondo.
Renato Massaccesi
Fonte: FILMUPCosì il Vaticano boccia Zeffirelli e dice sì a Pasolini
CHIESA & CINEMA Mentre per il Giubileo in onore del Papa si prepara anche una tre giorni dedicata al mondo dello spettacolo, fa discutere una decisione Così il Vaticano boccia Zeffirelli e dice sì a Pasolini Nella videoteca della Santa Sede i 45 film del secolo. Monsignor Foley: scelti in base alle capacità educative Il regista escluso: assurdo, Wojtyla mi fece i complimenti sia per il "Gesù" sia per "Fratello Sole, Sorella Luna" Benigni e il Papa che vedono insieme "La vita è bella", una filmoteca di 6.000 titoli con 45 privilegiati, una sala di proiezioni proprio dietro a S. Pietro. E per il Giubileo si prepara una tre giorni (dal 15 al 17 dicembre 2000) dedicata al mondo dello spettacolo a cui parteciperanno i principali artisti di tutto il mondo. Fra cinema e Chiesa i legami quindi si rafforzano. Perso ogni alone sulfureo, il grande schermo sta acquistando un ruolo di primissimo piano nell' "arredo" massmediologico vaticano. Merito di Wojtyla, Papa che non ha mai nascosto il suo interesse per il mondo dello spettacolo. Merito di monsignor John Patrick Foley, vescovo americano, presidente del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali. Fierissimo di alcuni "pezzi" unici della sua filmoteca sulla vita interna del Vaticano, dei documentari sulle religioni non cristiane e, infine, della sezione più recente, con opere non solo a sfondo religioso ma anche laico. "Nessuna censura, solo grande attenzione alla qualità", precisa Foley che, con i suoi collaboratori, primo fra tutti Enrique Planas y Coma, gesuita, direttore della filmoteca, ha stilato un elenco di 45 film considerati i più interessanti del secolo. Divisi in tre sezioni di 15 titoli ciascuna (religione, valori, arte), gli "Oscar" del Vaticano sono stati immediato bersaglio di commenti e critiche degli addetti ai lavori. Soprattutto di chi, in quelle liste, non si è' ritrovato. Così , tra i 15 della serie "religione" spiccano i nomi prevedibili di Tarkowskij e Dreyer, ma anche quelli più trasgressivi di Cavani, Pasolini, Buñuel. Nessuna traccia invece di Zeffirelli, né del suo super ortodosso "Gesù". "Lo so, lui se l'è presa a male. Ma quel "Gesù" era prodotto per la tv, mentre noi prendiamo in considerazione solo film nati per il cinema. I migliori dal punto di vista educativo, prima ancora che estetico", spiega Foley. E aggiunge allusivo: "A chi si è risentito per la presenza di Pasolini, ricordo che nel suo film ci sono solo parole tratte dal Vangelo. Come aver da ridire se lo sceneggiatore si chiama Matteo?". E Franco Zeffirelli? "Non riconosco questa giuria - risponde secco -. Non è rappresentativa né' del mondo cattolico né del Papa, ormai anziano, malato, alla mercè di persone che gli fanno dire e fare qualunque cosa. Anni fa, Papa Wojtyla si complimentò con me sia per "Gesù " sia per "Fratello Sole, Sorella Luna". Mi disse che avevo onorato la fede. Chi oggi gli fa da portavoce non la pensa allo stesso modo. Il mio nome è escluso da ogni lista, ignorato per il Giubileo. Nel nuovo Vaticano evidentemente non c'è posto per me".
Manin Giuseppina
(3 febbraio 1999) - Corriere della Sera
Gesù nel cinema
Gli esordi
Il 28 dicembre 1895 i fratelli Lumière mostrano la loro invenzione, il cinématographe, al pubblico riunito nella sala del Gran Cafè del Bulevard des Capucines a Parigi. Neanche due anni dopo, Léar realizza La Passion du Christ: per la prima volta la vita di Gesù viene rappresentata attraverso immagini in movimento. È il 1897, e da allora Gesù è stato protagonista di quasi duecento pellicole, diventando il soggetto maggiormente sfruttato dalla settima arte.
Il film di Léar oggi è andato perduto, ma sembra narrasse la passione del titolo attraverso dodici tableaux vivants ispirati alle stazioni della via Crucis. Léar, il cui vero nome era Albert Kirchner, girò il suo film a Parigi, utilizzando attori che realmente mettevano in scena una via Crucis in tableaux vivants. La Passion du Christ fece scandalo: molti non erano d’accordo nel vedere la figura di Gesù proiettata su un lenzuolo. Eppure furono tantissimi i film, prodotti nei primi dieci anni di storia del cinema, a narrare episodi evangelici.
All’inizio le pellicole di argomento religioso venivano spesso mostrate davanti a luoghi di culto, in occasioni legate a festività religiose, ponendo così il cinema in diretta continuità con le sacre rappresentazioni. Ma ben presto la Chiesa si oppose a questa tendenza, giudicata rischiosa in quanto avrebbe potuto trasformare luoghi sacri in ambienti di spettacolo.
Alla figura di Gesù ci sono stati, fin dal principio, approcci radicalmente differenti: basti pensare che sia Georges Méliès che i fratelli Lumière hanno realizzato pellicole di argomento cristologico, ma ognuno a modo suo. Mentre, infatti, i Lumière, producono Vues répresentant la vie et la Passion de Jésus-Christ, nel 1897, tredici tableaux, tredici tappe della vita di Gesù, Méliès realizza, un anno dopo, Le Christ marchant sur les eaux, utilizzando i “trucchi” e le “illusioni” di cui è maestro per ricostruire uno dei più spettacolari miracoli.
Negli anni successivi, però, i cineasti sembrano preferire una narrazione di tipo più realistico, quasi documentaristico, nel trasporre in immagini la vita e la passione di Gesù. Per citarne alcuni: Passione di Gesù (1900) di Luigi Topi e Ezio Cristofari, La Vie et la Passion de Jésus-Christ (1902) di Ferdinand Zecca e Lucien Nonguet, Le Christ en Croix (1910) di Louis Feuillade, The Star of Bethlehem (1912) di Lawrence Marston.
Verso Hollywood
Con il passare del tempo, con l’affinamento della tecnica e la crescita degli investimenti, cominciano ad essere realizzati veri e propri kolossal: La Vie et la Passion de Notre Seigneur Jésus-Christ (1906) di Alice Guy, che filma 25 quadri sulla Passione ispirati agli acquerelli di James Tissot, oppure Christus (1916) di Giulio Antamoro, che ripercorre le principali vicende della vita e della passione di Cristo con chiari rimandi alle principali opere della storia dell’arte italiana.
Il 1916 è l’anno di Intolerance, di D.W. Griffith. Dopo l’uscita di Nascita di una nazione (Birth of a Nation), Griffith fu accusato da più parti di razzismo e xenofobia; per scagionarsi decise di realizzare Intolerance, un kolossal di circa 180 minuti (ne esistono quattro versioni, due di 197’ e due di 176’) diviso in quattro episodi, legati dal tema dell’intolleranza: il primo episodio racconta la caduta di Babilonia come risultato delle lotte tra devoti di differenti divinità, il secondo episodio narra di come l’intolleranza portò alla crocifissione di Gesù, il terzo ricostruisce il massacro di San Bartolomeo, il quarto tenta di dimostrare come il crimine, il moralismo e i conflitti tra la classe operaia e il capitalismo sfrenato portino alla mortificazione della vita degli americani. Intolerance fu un successo: ancora oggi è considerato uno dei film più importanti della storia del cinema.
Simile a Intolerance nella struttura è Pagine dal libro di Satana (Blade af Satans Bog), film che C.T. Dryer realizza nel 1921. Tratta da un libro di Marie Corelli, anche questa pellicola è divisa in quattro episodi, legati tra loro dalla tematica delle tentazioni che Satana infligge agli uomini perché essi infrangano gli insegnamenti divini. Il primo episodio è ambientato nel 30 d.C., e racconta di come il demonio assuma le fattezze di un fariseo per tentare Gesù.
Con l’arrivo del sonoro prima, e della pellicola a colori poi, il cinema di argomento cristologico aumenta la produzione, ma soprattutto gli investimenti e i mezzi impiegati. Sono gli anni dei grandi film hollywoodiani, pellicole di grande presa sul pubblico, con grandi divi a interpretare i ruoli principali. Il Re dei Re (The King of Kings, 1927) di Cecil B. De Mille, è il primo di questi, e ripercorre le ultime settimane di vita di Gesù. Il film ebbe una lunghissima lavorazione, quasi cinque anni, durante i quali il regista, per preservare la spiritualità del tema trattato, proibì ai membri della troupe di assumere comportamenti “non biblici”: fu vietato loro di giocare a palla, di giocare a carte, di frequentare locali notturni, di nuotare e di viaggiare in auto decappottabili. Una curiosità legata al film: uno dei giganteschi cancelli utilizzati all’interno della scenografia fu poi “prestato” al film King Kong (1933) e venne ancora usato nella scena dell’incendio di Atlanta di Via col vento. Il Re dei Re si conclude con la prima scena girata in Technicolor della storia del cinema, la scena della Resurrezione.
La Tunica (The Robe, 1953) di Henry Koster, è invece la prima pellicola a utilizzare il Cinemascope: lo slogan pubblicitario recitava: “Un miracolo moderno che potrete guardare senza occhiali”, riferimento ai film in 3D che all’epoca erano molto apprezzati. Richard Burton è Gallio, tribuno romano a capo dell’unità che deve crocifiggere Gesù. La Tunica è l’unica pellicola biblica ad avere un seguito: nel 1954 Delmer Daves realizzò Demetrius and the Gladiators.
Da citare anche La più grande storia mai raccontata (The greatest story ever told, 1965) di George Stevens, un film costosissimo e lunghissimo (vennero spesi oltre 20 milioni di dollari, e la prima versione durava 260’) che segue la vita di Gesù dalla nascita alla Resurrezione. Furono ingaggiate star come Max von Sydow, Charlton Heston, Terry Savalas, Angela Lansbury, Donald Pleasance, Sidney Poitier. Le riprese vennero effettuate in Colorado, e non in area mediterranea, come ci si sarebbe aspettato da un film con tale budget. Il regista motivò questa scelta dicendo di voler ottenere un effetto di imponenza, di maestosità tali che solo i paesaggi americani riescono a procurare. È questa la principale caratteristica di tali tipi di film: una spettacolarizzazione della vita e della figura di Gesù, intrappolata all’interno di stereotipizzazioni dettate dalla tradizione, circondata da immense scenografie colorate ma anche posticce.
Gli anni del new cinema
E Orson Welles compare anche ne La Ricotta, l’episodio del film Ro.Go.Pa.G.diretto da Pier Paolo Pasolini. Durante le riprese di un film sulla Passione, Stracci, un proletario che interpreta il ruolo del ladrone, tenta in ogni modo di sopravvivere alla fame da cui è perennemente attanagliato. Riesce infine a mangiare, con l’aiuto dei suoi compagni, ma poco prima di girare l’ultima scena muore, colpito da indigestione. Il film fu pesantemente attaccato, accusato di blasfemia per il modo parodistico con cui affronta il tema della concezione del sacro. Ne vennero sequestrate tutte le copie, e contro Pasolini si organizzò un processo per vilipendio alla religione. Particolarmente presa di mira fu la frase finale pronunciata dal personaggio del regista, intepretato da Welles: “Crepare è stato il suo solo modo di fare la rivoluzione”, e che infine fu cambiata in: “Crepare… non aveva altro modo di ricordarci che anche lui era vivo.”
Luis Buñuel realizza, nel 1969, La via lattea, un duro atto d’accusa contro i dogmi e le eresie nate in seno al cattolicesimo. Il film si conclude con un cartello: “Tutto ciò che nel film riguarda la religione cattolica e le eresie cui essa ha dato luogo, in specie dal punto di vista dei dogmi, è rigorosamente esatto.” Un giovane ateo e un vecchio credente incontrano, lungo il pellegrinaggio verso Santiago de Compostela, una serie di personaggi che ripercorrono la storia della vita di Gesù, del cristianesimo e dei movimenti eretici. Un film complesso, pieno di riferimenti teologici incomprensibili ai più, e nonostante questo una bellissima carrellata di duemila anni di storia.
Nuove interpretazioni
Gli anni ‘70 sono gli anni delle contestazioni, e di ricerca di libertà. Libertà espressiva, che si traduce in libera interpretazione di tutto ciò che fino ad allora era giudicato inviolabile. È in quest’ottica che va letto Giuda uccide il venerdì, un curioso filmetto italiano del 1972, esordio alla regia di Stelvio Massi, il quale poi dirigerà numerosi film poliziotteschi. Angelo Infanti (il Manuel Fantoni di Borotalco) interpreta un Gesù-chitarrista hippy, ucciso al fianco della Maddalena dal racket della prostituzione.
Restando in tema di libere interpretazioni, il 1979 è l’anno in cui i Monty Python, celebre gruppo di comici inglesi, realizzano Brian di Nazareth (Life of Brian). Brian è un giovane giudeo, “gemello” di Gesù: sono nati nella stessa notte, in due capanne vicine, e infatti i Re Magi sbagliano, appena arrivati, e portano i doni a Brian. Figlio illegittimo di una giudea e di un romano, Minchius Maximus, Brian, per amore di Judith, entra a far parte del Fronte Popolare di Giudea, un’organizzazione terroristica che ha come obiettivo lo smantellamento, entro 48 ore, dell’intero stato imperialista romano. In seguito a una serie di assurde vicende, tra cui la fuga su una nave stellare aliena, Brian viene scambiato per il Messia, per uno dei tanti Messia che affollano la regione in quel periodo (uno dei suoi seguaci esclama “Lui è il Messia, io ne ho seguiti tanti, li so riconoscere, quando li vedo”). Per questo motivo viene arrestato e condannato alla crocifissione, pratica talmente abusata dai Romani, che c’è chi si fa crocifiggere ogni settimana per ammazzare la noia, tanto poi in un modo o nell’altro qualcuno viene a salvarlo. Brian invece non viene salvato da nessuno, e muore cantando la canzone “Always look on the bright side of life”. Al termine, un dialogo fuori campo tra i Monty Python: “E ora? Lo facciamo resuscitare così giriamo Brian 2?” “No, chi vuoi che ci creda!”.
Tratto dal romanzo di Nikos Kazantzakis, L’ultima tentazione di Cristo, che Martin Scorsese dirige nel 1988, è la storia di un Gesù più umano, che si sente perseguitato dal Padre, e vorrebbe sfuggirgli. Tormentato dai dubbi, è lui l’artefice della propria storia: inizia la predicazione, entra in Gerusalemme, convince Giuda a tradirlo. Sulla croce, un istante prima di morire, riceve la visita di un angelo che lo libera: Gesù può quindi sposarsi con Maddalena e avere dei figli. Un giorno assiste per caso a una predica: è San Paolo, che sta parlando della resurrezione. Gesù tenta di difendersi, di dire che non è mai avvenuto ciò che viene detto, ma Paolo risponde che non ha importanza, che è quello che la gente vuole sentire. Infine, sul letto di morte, riceve la visita degli apostoli, che gli rivelano che tutto questo, questa parte della sua vita, è opera del demonio. Pentito, Gesù si risveglia sulla croce, potendo così spirare per la salvezza degli uomini. Il film suscitò profonde polemiche, in alcuni paesi come il Messico e il Cile fu vietato per diversi anni, nelle Filippine, a Singapore e in Sud Africa è vietato tuttora. Addirittura, durante una proiezione a Parigi, un gruppo fondamentalista cristiano attaccò il cinema con lanci di molotov, ferendo tredici persone.
Il cattivo tenente (The bad lieutenant, 1992), di Abel Ferrara, è la storia di un poliziotto duro e corrotto, Harvey Keitel, che deve indagare sullo stupro subito da una suora all’interno di una chiesa. La suora, però, perdona i criminali, e il poliziotto non riesce a spiegarsene il motivo. Lo capirà nella scena finale, quando gli apparirà un Gesù muto, e il tenente, comprendendo il significato del perdono, deciderà di lasciare vivere i due stupratori.
Ferrara tornerà sull’argomento nel 2005, girando in Italia il film Mary, con Juliette Binoche, Forest Whitaker e Mattew Modine. Modine è un regista/attore, in Palestina per realizzare un film sulla Passione, This is my blood. La Binoche, un’attrice francese ingaggiata per interpretare la Maddalena, decide di non partire con il resto della troupe alla fine delle riprese. Comincia così un viaggio spirituale in Terra Santa, ripercorrendo i luoghi del Vangelo.
The Garden (1990), di Derek Jarman, è, come tutti i film del regista inglese scomparso nel 1994, un’opera a metà tra il film e la videoarte. Quando lo realizzò, Jarman sapeva già di essere malato di AIDS, e quindi di dover fronteggiare la morte molto presto. Il film non ha quasi completamente dialogo. È la storia di una giovane coppia omosessuale arrestata, umiliata, torturata e quindi uccisa. A fare da contraltare a questa vicenda, immagini dell’iconografia religiosa reinterpretate in chiave moderna: una Madonna assediata dai paparazzi, un Gesù sofferente che osserva il mondo scorrergli accanto, un Giuda utilizzato come spot pubblicitario. Il Garden del titolo è il giardino dell’Eden, che nel film è rappresentato da una località della campagna inglese, su cui domina una centrale nucleare.
Grande successo ebbe nel 2004 The Passion, di Mel Gibson. Interamente girato in Italia (gli esterni in Basilicata, a Matera, location già usata da Pasolini per il suo Vangelo, e gli interni negli studi di Cinecittà), questa pellicola tenta di ricostruire le ultime ore di vita di Gesù, soprattutto attraverso la descrizione che ne fa una mistica tedesca vissuta nel XIX secolo, Anna Emmerich. Il regista dice di aver cercato soprattutto il realismo: ecco spiegata la scelta di far parlare i personaggi in aramaico e in latino. Ed ecco spiegata, in teoria, la massiccia dose di violenza cui il corpo di Gesù (o meglio dell’attore James Caviezel) viene sottoposto. Il film, stroncato dalla critica, scatenò feroci dibattiti, soprattutto per l’uso eccessivo di violenza e le accuse di antisemitismo mosse a Mel Gibson.
Gesù nel cinema italiano
Dagli anni ‘80 in avanti il cinema italiano si è occupato molto della figura di Gesù, producendo pellicole con evidenti intenti didascalici, ma anche film più leggeri. Non fa parte di queste categorie L’inchiesta (1986) di Damiano Damiani, una riflessione sul potere eversivo del messaggio cristiano. Keith Carradine è Tauro, inviato da Tiberio a Gerusalemme per indagare sulla misteriosa scomparsa del corpo di un giovane falegname, Gesù. Qui Tauro si scontra contro il potere di Ponzio Pilato (Harvey Keitel), che fa di tutto per mantenere nascosta la vicenda. L’incontro con Maria Maddalena farà comprendere a Tauro ciò che veramente è successo, e lo farà scappare via dalla Palestina, terrorizzato.
Già nel 1976 ci fu un film di grande successo, molto citato ancora oggi, Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli, con Robert Powell a coprire il ruolo di Cristo. Un film per certi versi barocco, figlio di una visione cristologica assolutamente tradizionale, di cui comunque si è già detto e scritto molto.
Nel 1993 Giovanni Veronesi dirige Per amore solo per amore, un film sulla Sacra Famiglia, dal punto di vista di Giuseppe (Diego Abatantuono). Il falegname Giuseppe si innamora di Maria, e la sposa, nonostante la differenza d’età e nonostante che la giovane sia già incinta, non si sa di chi. Film leggero nei contenuti e nella realizzazione è anche I giardini dell’Eden (1998) di Alessandro D’Alatri, che tenta di investigare gli anni dell’apprendistato di Gesù, dai dodici ai trenta.
Forse più interessante è Jesus, un film per la televisione prodotto dalla RAI nel 1999 per la regia di Roger Young, che si avvale di un cast d’eccezione: Jeremy Sisto, Jacqueline Bisset, Armin Mueller-Stahl, Luca Zingaretti. Interessante per la scelta di “traslare” le tentazioni: il Satana che appare a Gesù, gli mostra gli orrori che il cristianesimo compirà nel suo nome: le crociate, l’Inquisizione, la caccia alle streghe, i genocidi degli indigeni americani. Nonostante ciò, Gesù deve seguire il volere del Padre.
Va infine citata una pellicola che, quando uscì, fece scoppiare accesissime polemiche, venne inizialmente sequestrata ma poi, con una rapida modifica alla legge sulla censura, fu proiettata, sebbene per poco tempo. Si tratta di Totò che visse due volte (1998) di Daniele Ciprì e Franco Maresco, due registi noti per le incursioni televisive di Cinico Tv. Ambientato in una Palermo apocalittica e deserta, un mondo senza donne (i ruoli femminili sono interpretati da uomini travestiti) e senza Dio, è diviso in tre episodi, all’interno dei quali viene ritratta un’umanità impegnata a soddisfare esclusivamente i bisogni primari e i propri istinti animaleschi. Del primo episodio è protagonista Paletta, lo scemo del villaggio, mosso esclusivamente da un fortissimo impulso sessuale, e che proprio per soddisfare questo impulso ruba le offerte da una edicola votiva. Nel secondo episodio Fefè va alla veglia funebre di Petrinu, di cui era amante, ma nemmeno davanti alla salma riesce a trattenersi, e ruba al morto un anello che rivende per comprare del formaggio. Infine, il terzo episodio racconta di un vecchio e burbero Messia, Totò (abbreviazione di Salvatore) che resuscita Lazzaro, e per questo viene punito e sciolto nell’acido da Don Totò, un boss della mafia. Il corpo del Messia non può quindi essere crocifisso, e al suo posto viene condannato, insieme a Paletta e a Fefè, un handicappato che poco prima aveva violentato un angelo e una statua della Madonna. È facile capire, da una trama riassunta così brevemente, cosa abbia profondamente scandalizzato. Eppure il film non è affatto leggero, ma frutto di una accorta e sofferta riflessione su una umanità senza morale.
Scheda: Il Vangelo secondo Matteo
Il Vangelo secondo Matteo deluse le aspettative di quanti, dopo le polemiche e il processo scatenati dall’uscita de La ricotta, probabilmente si aspettavano un nuovo film scandaloso e iconoclasta. Invece la nuova opera di Pasolini, pur suscitando accesi dibattiti, piacque, soprattutto agli ambienti cattolici più progressisti, che la interpretarono nello spirito del Concilio Vaticano II, a partire dalla dedica “alla cara, lieta, familiare memoria di Giovanni XXIII”.
Nel 1962 Pasolini, dopo aver vagliato alcuni personaggi dalla forte valenza simbolica (Kerouac, Ginsberg, Evetushenko), decise di far interpretare Gesù a Enrique Irazoqui, giovane sindacalista spagnolo, in Italia per cercare rifugio dalla dittatura franchista. Doppiato da Enrico Maria Salerno, Gesù/Irazoqui è una figura assolutamente rivoluzionaria: un Cristo giovane, insicuro eppure mosso da forze superiori (le inquadrature dal basso durante i miracoli hanno proprio lo scopo di sottolineare la sua potenza, quasi involontaria), in aperto contrasto con la tradizione iconografica. Una figura carismatica, divina sì ma allo stesso tempo dotata di una umana imperfezione.
Il film è interamente girato tra i Sassi di Matera, utilizzando un linguaggio da cinéma-vérité che affianca la scelta di spogliare il messaggio evangelico da ogni interpretazione cristiana. L’Osservatore Romano, infatti, definì il film “fedele al racconto, non all’ispirazione del Vangelo”. Dice Pasolini: “La mia idea è questa: seguire punto per punto il Vangelo secondo Matteo, senza farne una sceneggiatura o riduzione. Tradurlo fedelmente in immagini, seguendone senza una omissione o un’aggiunta il racconto. Anche i dialoghi dovrebbero essere rigorosamente quelli di San Matteo, senza nemmeno una frase di spiegazione o di raccordo: perché nessuna immagine o nessuna parola inserita potrà mai essere all’altezza poetica del testo.”
Ruolo importante ha la musica: Mozart, Bach, ma anche canti gospel e cori russi, a sottolineare come il sacro sia un linguaggio universale, proprio come la musica, che trascende ogni differenza di culto e tradizione.
Scheda: Jesus Christ Superstar
Dopo una ouverture in cui si vede un gruppo di attori arrivare nel deserto, il film inizia con Giuda, appollaiato su una roccia, quasi un corvo, solitario, che rimprovera Gesù di aver messo “troppo Paradiso” nelle teste degli apostoli; all’inizio era diverso, quando lo chiamavano “uomo”, ma ora “tu hai iniziato a credere alle cose che si dicono di te”. D’altra parte, i dodici sono rappresentati come poco ricettivi, rimproverano Giuda per le sue continue critiche e cantano “quando saremo vecchi, andremo in pensione e scriveremo i Vangeli, così tutti parleranno di noi”. Momento bellissimo del film è quello della notte nei Getsemani: poco prima dell’arresto, Gesù ammette di non avere il coraggio di bere l’amaro calice, di essersi spinto troppo oltre, chiede al Padre di fermare tutto: “se muoio, quale sarà la mia ricompensa?… voglio sapere perché devo morire. Lascia che mi odino, mi colpiscano, mi facciano male, mi inchiodino alla croce, ma guardami morire”, e dopo una serie di quadri sulla Passione e sulla Crocifissione: “Va bene, uccidimi, ma prendimi ora, prima che io cambi idea.” Inizialmente attaccato dal Vaticano per la lettura troppo umana di Gesù, il film venne successivamente riabilitato. Riscosse però uno straordinario successo di pubblico, e il musical di Lloyd Webber è tuttora rappresentato in tutto il mondo.
Scheda: Il Codice Da Vinci
Costosissima pellicola hollywoodiana tratta da un best-seller di successo, Il codice Da Vinci (2006) racconta l’indagine di Robert Langdon, un professore di Harvard, e di Sophie Neveu, all’inseguimento di uno dei misteri più affascinanti dell’era cristiana: il Santo Graal, la coppa usata nell’ultima cena, nella quale Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue del Cristo morto (coppa alla quale era già stato dedicato Indiana Jones e l’ultima crociata).
Nonostante il suo contenuto chiaramente di finzione, il film ha scatenato un dibattito globale, sia per il ritratto che emerge dell’Opus Dei, sia per i contenuti cristologici. In realtà si tratta di teorie in circolazione già da diversi anni, quelle secondo cui Maria Maddalena, incinta di Gesù, sarebbe fuggita dalla Palestina, per approdare in Francia, dove avrebbe dato origine alla discendenza del Figlio di Dio. Custode del terribile segreto è il Priorato di Sion, una società che da secoli governa i principali avvenimenti storici, con uno scopo: riportare sul trono di Francia la dinastia dei Merovingi, eredi diretti di Gesù. Tutto ciò nasce dalle misteriose scoperte che un abate, Saunière (nel film il nonno di Audrey Tatou), avrebbe fatto nel XIX secolo, ristrutturando l’altare della sua chiesa: non si sa cosa abbia scoperto, né tanto meno se abbia scoperto qualcosa, ma la leggenda vuole che, nascoste sotto l’altare fossero alcune pergamene contenenti la discendenza di Gesù.
Di sicuro le polemiche hanno giovato al film, che ha avuto notevoli incassi e ha permesso al regista, Ron Howard, di continuare questo filone di “mystic-thriller” realizzando, nel 2009, Angeli e demoni, seguito di Il codice Da Vinci.
Mariachiara Giorda
Fonte: SEIEDITRICE
Gesu' sullo schermo
Due proposte si presentano come immediate, il recente I giardini dell'Eden di AlessandroD'Alatri e il Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli (l'edizione cinematografica di quest'ultimo,acquistabile in videocassetta, è naturalmente molto più breve di quella a puntate trasmessa in televisione lunga circa otto ore).
Zeffirelli - autorevole regista di teatro e di opere liriche che nel cinema ha firmato fra l'altro le versioni filmiche di capolavori shakespeariani come La bisbetica domata, 1967, Romeo e Giulietta, 1968, Amleto, 1990 - mette a frutto la sua lunga esperienza di uomo di spettacolo per una esposizione piana dei fatti evangelici, rappresentandoli secondo le linee più care alla tradizione e dunque alla iconografia popolare e servendosi anche in parti minime di acclamate"stars" del cinema internazionale.
Con D'Alatri, esponente di una più giovane e nuova generazione di registi italiani, si parla invece del Cristo con il linguaggio dell'uomo di oggi che da un mondo secolarizzato e "distratto" risale verso le fonti - utilizzando nel caso anche i vangeli apocrifi o liberamente inventando - e recupera il mistero dell'Incarnazione in modo suggestivo e vivace: si vedano le sequenze sul Gesù giovane prima dell'"uscita pubblica" o il bellissimo episodio della tentazione nel deserto.
Risalendo più indietro rimane sempre essenziale Il Vangelo secondo Matteo diretto nel 1964 da Pier Paolo Pasolini, vincitore fra l'altro del premio dell'O.C.I.C. (Office Catholique Internationaldu Cinéma) alla Mostra di Venezia di quell'anno. Il poeta - che si dichiarava non credente - si accosta con grande rispetto al testo dell'evangelista, che traspone sullo schermo con piena fedeltà, ambientandolo suggestivamente in una cornice pastorale-contadina fuori di un tempo storico preciso non senza richiami alla grande pittura. Egli è soprattutto interessato alla perentorietà della predicazione di Gesù, all'invito che egli fa a seguirlo al di là di ogni calcolo personale, di ogni egoismo. Non a caso sceglie dei quattro Vangeli quello di Matteo che si può considerare il più "duro". Rispetto ad altri film cristologici che privilegiano l'aneddotica, preoccupazione costante di Pasolini è invece mettere al centro, con tutta la sua forza morale e spirituale, la parola di Gesù.
Discontinuo appare invece Il Messia con cui uno dei Maestri del nostro cinema, Roberto Rossellini, concluse nel 1975 la sua carriera. Nei confronti della fede il regista fece lungo gli anni dichiarazioni contraddittorie, finendo da ultimo per confessarsi ateo. E tuttavia l'intera sua opera è attraversata dal tema della fede tramite il "vissuto" di uomini di fede: il cappellano militare di L'uomo della Croce (1943), il parroco di Roma città aperta (1945), i frati di Paisà (1946), il Santo assisano di Francesco giullare di Dio (1950), la martire santa di Giovannad'Arco al rogo (1954), per non parlare di drammi della coscienza come Stromboli terra di Dio (1950) e Europa '51 (1952). Il Messia rispetto ai suoi capolavori segna però un passo indietro: accanto a momenti felici e inediti (la Madonna che collabora alla predicazione del figlio insegnando ai bambini) ci sono intere sequenze "tirate via" con approssimazione come quella ambientata nella reggia di Erode.
Più attenti alle esigenze industriali del grande spettacolo popolare che non ai valori profondi del Nuovo Testamento risultano perlopiù i film hollywoodiani. Meritano comunque positiva attenzione almeno due opere, Il Re dei Re (King of Kings, 1961) di Nicholas Ray, che punta sulla attualità del messaggio del Cristo, e La più grande storia mai raccontata (The Greatest Story Ever Told, 1965) di George Stevens, non derivato direttamente dai Vangeli ma da un romanzo americano di Fulton Oursler da essi ispirato. Severamente accolto dalla critica statunitense, non è meritevole di giudizi tanto negativi: esso presenta diverse libertà rispetto ai testi biblici ma è loro fedele nella sostanza. Soprattutto si distingue per l'interpretazione carismatica dello svedese Max von Sydow, forse il migliore attore mai calatosi nella figura di Gesù. Meglio lasciar perdere invece L'ultima tentazione di Cristo (The Last Temptation of Christ, 1987) di Martin Scorsese tratto dal romanzo del greco ortodosso Nikos Kazantzakis.
L'idea di partenza era interessante e intrinsecamente legata al mistero di Gesù in cui si incontrano persona divina e natura umana: quella di seguirne l'ipotetico itinerario di conquista
della piena consapevolezza della propria divinità a partire dalla sua natura umana. Ma ci sarebbe voluta altra forza immaginativa e altra profondità di lettura, mentre il film, come il romanzo, non si libera da una accesa sensualità che ne falsa il centro e in più aggiunge note superficiali di attualizzazione (i discepoli che parlano in americano popolare di oggi).
Accanto ai film sopra indicati si deve ricordare il "musical" Jesus Christ Superstar (id., 1973)che il regista canadese Norman Jewison trae dall'omonima "opera rock" inglese di Webber e Rice. Ripensata nel passaggio dal palcoscenico allo schermo, l'opera non costituisce un diretto adattamento cinematografico del Nuovo Testamento quanto la sua rappresentazione da parte di una "troupe" di giovani nel deserto della Palestina a contatto con i luoghi autentici. Se non sempre la "lettura" evangelica appare rigorosa e completa, il film trae comunque dalla bellissima musica profonde suggestioni spirituali capaci in particolare di attrarre il pubblico giovane alla figura di Gesù. Di un altro regista canadese, Denys Arcand, è Jesus of Montréal (1989), interessante anche se non tutta accettabile attualizzazione di quel Vangelo di Marco che finora sembra aver meno stimolato i cineasti. Il giovane Daniel interpreta Gesù in una sacra rappresentazione che le autorità ecclesiastiche rifiutano reputandola appunto troppo attualizzata. Ma Daniel continua ad approfondire il personaggio fino a ripercorrerne nella Montréal di oggi le varie tappe sino al sacrificio finale.
Vorrei infine segnalare due film italiani che liberamente inventano ai margini del testo sacrostorie intensamente religiose. Il primo è L'inchiesta (1986) di Damiano Damiani, da un vecchio soggetto di Ennio Flaiano e Suso Cecchi D'Amico che giaceva nei cassetti dal '71. E' l'immaginaria inchiesta che il romano - e dunque pagano - Tauro effettua in Palestina per incarico dell'Imperatore all'indomani della Resurrezione di Gesù. I romani naturalmente non ci credono e pensano che i discepoli abbiano trafugato e nascosto il cadavere. Molto bello l'incontro a Nazareth con Maria che, morto il figlio, trascorre nel suo villaggio gli ultimi anni. Il secondo è I magi randagi, ideato da Pasolini per Totò e nel 1996 rielaborato e infine realizzato da Sergio Citti, fiaba di religiosità semplice e candida, vicenda di oggi di tre poveracci arruolati per fare i Re Magi in un presepio vivente e che si ritrovano a rivivere il misterioso annunciodella nascita del Bambino.
L'episodio iniziale del Nuovo Testamento, la notte di Betlemme, è il perno ispirativo di altri due buoni film italiani, Cammina cammina diretto da Ermanno Olmi nel 1983 in forma di storia che un carovaniere racconta al nipotino sotto la tenda nel deserto, e Per amore solo per amore che un regista dell'ultima leva, Giovanni Veronesi, trae nel 1993 da un romanzo di Pasquale FestaCampanile, analizzando con delicatezza il rapporto coniugale fra Giuseppe e Maria di fronte allo sconvolgente annuncio dell'Angelo. (In due videocassette è anche disponibile il televisivo Un bambino di nome Gesù di Franco Rossi, che rievoca con sincera partecipazione le vicende d'apertura dei Vangeli dall'Annunciazione agli anni dell'infanzia).
Ernesto G. Laura
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