"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
LA RABBIA
Di Pier Paolo Pasolini,
tratto da "Le belle bandiere"
Il
testo che segue, scritto da Pier Paolo Pasolini, e' apparso sul n. 38 del 20
settembre 1962 sulla rivista Vie nuove, con cui Pasolini collaborava, ed e'
stato raccolto, insieme agli altri interventi sulla rivista, nel volume Le belle
bandiere, a cura di Gian Carlo Ferretti, edito da Editori Riuniti.
E'
un film (La rabbia, ndr) tratto da materiale di repertorio (novantamila metri di
pellicola: il materiale cioe' di circa sei anni di vita di un settimanale
cinematografico, ora estinto). Un'opera giornalistica, dunque, piu' che
creativa. Un saggio piu' che un racconto.
Per
dargliene un'idea piu' precisa, le accludo il "trattamento" del lavoro: le
solite cinque paginette che il produttore chiede per il noleggio. Tenga quindi
conto della destinazione di questo scritto: una destinazione che implica da una
parte una certa ipocrita prudenza ideologica (il film sara' molto piu'
decisamente marxista, nell'impostazione, di quanto non sembri da questo
riassunto), e dall'altra parte una certa goffaggine estetica (il film sara' molto
piu' raffinato, nel montaggio e nella scelta delle immagini, di quanto non si
deduca da questa affrettate righe).
Gia',
la normalita'. Nello stato di normalita' non ci si guarda intorno: tutto,
intorno si presenta come "normale", privo della eccitazione e dell'emozione
degli anni di emergenza. L'uomo tende ad addormentarsi nella propria normalita',
si dimentica di riflettersi, perde l'abitudine di giudicarsi, non sa piu'
chiedersi chi e'.
E'
allora che va creato, artificialmente, lo stato di emergenza: a crearlo ci
pensano i poeti. I poeti, questi eterni indignati, questi campioni della rabbia
intellettuale, della furia filosofica.
Ci
sono stati degli avvenimenti che hanno segnato la fine del dopoguerra: mettiamo,
per l'Italia, la morte di De Gasperi.
La
rabbia comincia li', con quei grossi, grigi funerali.
Lo
statista antifascista e ricostruttore e' "scomparso": l'Italia si adegua nel
lutto della scomparsa, e si prepara, appunto, a ritrovare la normalita' dei
tempi di pace, di vera, immemore pace.
Qualcuno,
il poeta, invece, si rifiuta a questo adattamento.
Egli
osserva con distacco - il distacco dello scontento, della rabbia - gli estremi
atti del dopoguerra: il ritorno degli ultimi prigionieri, ricordate, in
squallidi treni, il ritorno delle ceneri dei morti....E... il ministro Pella,
che, tronfiamente, suggella la volonta' dell'Italia a partecipare all'Europa
Unita.
E'
cosi' che ricomincia nella pace, il meccanismo dei rapporti internazionali. I
gabinetti si susseguono ai gabinetti, gli aeroporti sono un continuo andare e
venire di ministri, di ambasciatori, di plenipotenziari, che scendono dalla
scaletta dell'aereo, sorridono, dicono parole vuote, stupide, vane,
bugiarde.
Il
nostro mondo, in pace, rigurgita di un bieco odio, l'anticomunismo. E sul fondo
plumbeo e deprimente della guerra fredda e della Germania divisa; si profilano
le nuove figure dei protagonisti della storia nuova.
Krusciov,
Kennedy, Nehru, Tito, Nasser, De Gaulle, Castro, Ben Bella.
Finche'
si arriva a Ginevra, all'incontro dei quattro grandi: e la pace, ancora turbata,
va verso un definitivo assestamento. E la rabbia del poeta, verso questa
normalizzazione che e' consacrazione della potenza e conformismo, non puo' che
crescere ancora.
Cos'e'
che rende scontento il poeta?
Un'infinita'
di problemi che esistono e nessuno e' capace di risolvere: e senza la cui
risoluzione la pace, la pace vera, la pace del poeta, e' irrealizzabile.
Per
esempio: il colonialismo. Questa anacronistica violenza di una nazione su
un'altra nazione, col suo strascico di martiri, di morti.
O:
la fame, per milioni e milioni di sottoproletari.
O:
il razzismo. Il razzismo come cancro morale dell'uomo moderno, e che, appunto
come il cancro, ha infinite forme. E' l'odio che nasce dal conformismo, dal
culto della istruzione, dalla prepotenza della maggioranza. E' l'odio per tutto
cio' che e' diverso, per tutto cio' che non rientra nella norma, e che quindi
turba l'ordine borghese. Guai a chi e' diverso! questo il grido, la formula, lo
slogan del mondo moderno. Quindi odio contro i negri, i gialli, gli uomini di
colore: odio contro gli ebrei, odio contro i figli ribelli, odio contro i
poeti.
Linciaggi
a Little Rock, linciaggi a Londra, linciaggi in Nord Africa; insulti fascisti
agli ebrei.
E'
cosi' che riscoppia la crisi, l'eterna crisi latente.
I
fatti d'Ungheria, Suez.
E
l'Algeria che comincia piano piano a riempirsi di morti.
Il
mondo sembra, per qualche settimana, quello di qualche anno avanti. Cannoni che
sparano, macerie, cadaveri per le strade, file di profughi stracciati, i
paesaggi incrostati di neve.
Morti
sventrati sotto il solleone del deserto.
La
crisi si risolve, ancora una volta, nel mondo: i nuovi morti sono pianti e
onorati, e ricomincia, sempre piu' integrale e profonda, l'illusione della pace
e della normalita'.
Ma,
insieme alla vecchia Europa che si riassesta nei suoi solenni cardini, nasce
l'Europa moderna:
il
neocapitalismo;
il
MEC, gli Stati Uniti d'Europa, gli industriali illuminati e "fraterni", i
problemi delle relazioni umane, del tempo libero, dell'alienazione.
La
cultura occupa terreni nuovi: una nuova ventata di energia creatrice nelle
lettere, nel cinema, nella pittura. Un enorme servizio ai grandi detentori del
capitale.
Il
poeta servile si annulla, vanificando i problemi e riducendo tutto a forma.
Il
mondo potente del capitale ha, come spavalda bandiera, un quadro astratto.
Cosi',
mentre da una parte la cultura ad alto livello si fa piu' raffinata e per pochi,
questi "pochi" divengono, fittiziamente, tanti: diventano "massa". E' il trionfo
del "digest" e del "rotocalco" e, soprattutto della televisione. Il mondo
travisato da questi mezzi di diffusione, di cultura, di propaganda, si fa sempre
piu' irreale: la produzione in serie, anche delle idee, lo rende mostruoso.
Il
mondo del rotocalco, del lancio su base mondiale anche dei prodotti umani, e' un
mondo che uccide.
Povera,
dolce Marylin, sorellina ubbidiente, carica della tua bellezza come di una
fatalita' che rallegra e uccide.
Forse
tu hai preso la strada giusta, ce l'hai insegnata. Il tuo bianco, il tuo oro, il
tuo sorriso impudico per gentilezza, passivo per timidezza, per rispetto ai
grandi che ti volevano cosi', te, rimasta bambina, sono qualcosa che ci invita a
placare la rabbia del pianto, a voltare le spalle a questa realta' dannata, alla
fatalita' del male.
Perche':
finche' l'uomo sfruttera' l'uomo, finche' l'umanita' sara' divisa in padroni e
in servi, non ci sara' ne' normalita' ne' pace. La ragione di tutto il male del
nostro tempo e' qui.
E
ancora oggi, negli anni sessanta le cose non sono mutate: la situazione degli
uomini e della loro societa' e' la stessa che ha prodotto le grandi tragedie di
ieri.
Vedete
questi? Uomini severi, in doppiopetto, eleganti, che salgono e scendono dagli
aeroplani, che corrono in potenti automobili, che siedono a scrivanie
grandissime come troni, che si riuniscono in emicicli solenni, in sedi splendide
e severe: questi uomini dai volti di cani o di santi, di jene o di aquile,
questi sono i padroni.
E
vedete questi? Uomini umili, vestiti di stracci o di abiti fatti in serie,
miseri, che vanno e vengono per strade rigurgitanti e squallide, che passano ore
e ore a un lavoro senza speranza, che si riuniscono umilmente in stadi o in
osterie, in casupole miserabili on in tragici grattacieli: questi uomini dai
volti uguali a quelli dei morti, senza connotati e senza luce se non quella
della vita, questi sono i servi.
E'
da questa divisione che nasce la tragedia e la morte.
La
bomba atomica col suo funebre cappuccio che si allarga in cieli apocalittici e'
il futuro di questa divisione.
Sembra
non esservi soluzione da questa impasse, in cui si agita il mondo della pace e
del benessere. Forse solo una svolta imprevista, inimmaginabile... una soluzione
che nessun profeta puo' intuire... una di quella sorprese che ha la vita quando
vuole contiuare... forse...
Forse
il sorriso degli astronauti: quello forse, e' il sorriso della vera speranza,
della vera pace. Interrotte, o chiuse, o sanguinanti le vie della terra, ecco
che si apre, timidamente, la via del cosmo.
Fonte:
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