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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

giovedì 9 maggio 2013

PIER PAOLO PASOLINI, DECAMERON. ANALISI DI VARIAZIONE DIAMESICA

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro





PIER PAOLO PASOLINI, DECAMERON. ANALISI DI VARIAZIONE DIAMESICA


Pasolini e il Decameron

Non sono io che ho scelto il Decameron, è il Decameron che ha scelto me.
... Il mio stile, sempre eccessivo, ha trovato il modo di diventare medio.
(C’est le Décameron qui m’a choisi, « La Galerie », 111, dic. 1971, p. 88)

(nel Decameron) ... il narrare è ontologico: si narra per il gusto di narrare, o si rappresenta per il gusto di rappresentare. Cosa si narra e si rappresenta? Qualcosa che non c’è più: uomini, sentimenti, cose. Non c’è, dico, storicamente; esistenzialmente sopravvive (il popolo di Napoli).
(Con Pier Paolo Pasolini, a cura di E. Magrelli, Roma, Bulzoni, 1977, p. 99)

Ho scelto in Boccaccio i racconti che amavo di più, quelli che rileggevo con sempre più vivo piacere, in cui si trova una sorta di equilibrio naturale tra il tragico e il comico-burlesco.
(Rencontre avec Pasolini, “Cinéma”, 164, marzo 1972, p. 58)

Nel Decameron gioco una realtà che mi piace ancora ma che nella storia non c’è più. Ho scelto Napoli per il Decameron perché Napoli è una sacca storica: i napoletani hanno deciso di restare quello che erano, e, così, di lasciarsi morire.
(Io e Boccaccio, Intervista di Dario Bellezza, “L’Espresso”, 22 nov. 1970)

... il Decameron rappresenta la mia nostalgia di un popolo ideale, con la sua miseria, la sua assenza di coscienza politica ..., di un popolo che ho conosciuto quando ero bambino. Forse esiste ancora nel ventre di Napoli.
(intervista di Gérard Langlois, in Marc Gervais, Pier Paolo Pasolini, Seghers 1973, p. 148)



ESEMPI DI VARIAZIONE DIAMESICA

abbreviazioni
B: Boccaccio
T: trattamento
S: sceneggiatura
F: film



(titoli di testa; sottofondo musicale, banda popolare)

(scena iniziale: Ciappelletto nell’ombra notturna, scena di omicidio) (prima cornice: anche in T-S)


I (T: secondo racconto del I tempo / S: primo racconto)
Andreuccio da Perugia (B II,5: Napoli)
(ambientazione cittadina di Andreuccio) (sottofondo musicale: Canto delle lavandaie del Vomero)
(inizio: mercato di Caserta Vecchia, apparizione delle donne da dietro il torrione, scena corale) (Napoli, vicoli cittadini; interno di chiesa)


II (T: quarto racconto del I tempo / S: secondo racconto del I tempo)
Masetto da Lamporecchio (B III,1: Toscana)
(vicolo cittadino) (preceduto dal racconto del vecchio = B IX,2 / in T racconta la novella di Alatiel / situazione modificata in S) (riscrittura sintetica dall’originale, non dalla didascalia) (traduzione in napoletano, attuata consapevolmente dal parlante per adeguare il messaggio al pubblico) (il vecchio legge da un libro, seduto per terra, forte gestualità) (nella folla, Ciappelletto ruba, e adesca un ragazzo)

B: Sapere adunque dovete in Lombardia essere un famosissimo monistero di santità e religione, nel quale, tra l’altre donne monache che v’erano, v’era una giovane di sangue nobile e di maravigliosa bellezza dotata, la quale, Isabetta chiamata, essendo un dì a un suo parente alla grata venuta, d’un bel giovane che con lui era s’innamorò .....

S18: In un convento c’è una suora giovane, che si era trovata un amante giovane e bello,
e tutte le notti lo riceveva nella sua cella.
Ma le altre monache finirono per accorgersene, e decisero di fare la spia alla Madre Superiora.
Però vogliono cogliere la colpevole in flagrante! E aspettano la notte che scenda.
La notte scende, e la giovane suora riceve il suo amante.
Le altre suore li chiudono dentro la cella e vanno a chiamare la Madre Superiora che sta facendo l’amore nella sua cella con un prete.
Quando le suore precipitosamente battono all’uscio e la chiamano, la Madre Superiora, nell’orgasmo, anziché mettersi in testa il velo si mette in testa le mutande del prete.
E con le mutande del prete in testa, va a cogliere in flagrante la colpevole.
Ma costei, che da principio ascolta i terribili rimproveri a occhi bassi, infine alza gli occhi e vede le mutande del prete in testa alla Madre Superiora.
Glielo fa notare e tutto finisce bene: cioè da allora in poi in quel convento, se qualche suora voleva sollazzarsi lo poteva fare, e così sia.
F: saper dunque dovete in Lombardia, dove ce stanno quelle che parlano toscano, essere un famosissimo monastero di santità e di religione nel quale v’era una giovane di sangue nobile e di meravigliosa bellezza dotata
Signori miei, mo’ vo’ spiegherò in napoletano, dunch ch’è succiesso dint’a stu cunvento?
una suora, bella chiattuna, s’innamoraje e’ nu bello giuvinotto
e aspettavano che se faceva notte per so’ porta’ dint’ a cella e’ lu cunvento
ma una notte le altre suore invidiose se ne accorsero
e li videro che stavano tuzzuliando tutt’e duje
allora che pensarono e fa’? andarono a chiamare a’ madre superiora
la madre superiora siccome stava a letto co’ prevete allora che facette?
quanno bussaje a la porta essa si spaventaje
e arapette a porta
e invece e’ se mettere o’ velo ‘n casa se mettete a’ mutanda do’ prevete ‘n capa
quanno succedette che jetteno a bussà alla porta d’a’ suora
con tutte le altre suore che stevano a guarda’
spalancata la suora dicette: -addove la portate?-
-ah, ma tu pure stieve tuzzuliando dint’a cella toja
perché tiene a’ mutanda do’ prevete n’ capa.-
e accussì ‘n chillo cunvento tutte le suore tuzzuliavano pure lloro.



III (T : II racc. del III t. / S : nono racc., III cornice di Giotto)
Peronella (VII,2: ambientazione cittadina: Napoli) (T: trascrizione quasi fedele del testo originale)
(camera da letto di Peronella - ambientazione rurale, non cittadina: passaggi da dialetto di campagna a italiano regionale)

Giannello: viene, viene acca’
(torna il marito; da fuori)
Marito: Peronella, arape, song’o’marite, Peronella.
Peronella: Mamma mia. Ue’ Giannello, è arrivato mio marito, songo morta.
B: Oimè! Giannel mio, io son morta
T: Peronella, spaventata per questo inspiegabile ritorno del marito, alzò un alto, napoletano lamento di stupore e dolore
Giannello: Uff

Marito: Peronella, Peronella! Ue’ Perone’
Peronella: Aggio sentuto, mo’ vengo, mo ve’
Marito: Cumpa’, oi’ comme s’è chiusa a rinto da quando song’ asciuto a fatica’
per fare i fatti suoi?
sia lodato iddio che tengo na’ moglie cossì onesta.
B: “O Iddio, lodato sia tu sempre, ché, benché tu m'abbi fatto povero, almeno m'hai tu consolato di buona e d'onesta
giovane di moglie! Vedi come ella tosto serrò l'uscio
dentro, come io ci usci', acciò che alcuna persona entrar
non ci potesse che noia le desse.”
S: Iddio, tu sia sempre lodato, benché mi hai fatto povero, almeno mi hai dato una buona moglie, oltre che giovane! Tu lo vedi cumpà, come s’è chiusa dentro casa, appena io sono uscito per andare al lavoro, in modo che nessuno potesse entrare a darle fastidio...

Peronella: mamma mia, mo’ vengo, mo’ vengo.
(donna) scinne, fa ‘mpressa.
Peronella: sto venendo, sto venendo
va, va, trase dint’all’uorc, che mio marito è geloso pazzo, quello m’ammazza
statte cca dinto e nun te movere, che io vado a vedere perché è arrivato accussì presto stammatina
t’avesse visto mentre entravi madonna mia
eccomi eccomi
B: “Oimè! Giannel mio, io son morta, ché ecco
il marito mio, che tristo il faccia Iddio, che ci tornò: e
non so che questo si voglia dire, ché egli non ci tornò mai
più a questa otta: forse che ti vide egli quando tu
c'entrasti! Ma per l'amore di Dio, come che il fatto sia,
entra in cotesto doglio che tu vedi costì, e io gli andrò a
aprire, e veggiamo quello che questo vuol dire di tornare
stamane così tosto a casa.”
S: Oddio, Giannello mio, son morta, ecco mio marito che ritorna, che Dio lo maledica, che è la prima volta che ritorna a quest’ora, di primo mattino...
Per carità, entra in questo orcio, che quello è geloso fracico, n’ammazza. Sta qui dentro e io vado a vedere che cosa significa che è ritornato a casa così presto.
Giannello: stu’ sfaccimme e curnuto, avive quase fatta
S: sto sfaccimma cornuto! Avevo quasi fatto!

Peronella: sto venendo sto venendo
ah, tu stai ccà, a chest’ora viene a casa, ma io t’affogo, si nun vai a faticà comme magnammo?
ca te cride, ca su’ cuntenta e’ mpignura’ sti’ quattro stracci ca tengo?
io jette o’ sang tutt’o’ juorno a filà
..................... tutt’o’ juorno, capito?
marito, marito, nun ce sta vicino .......................
per tutt’a fatica che faccio
e tu torni a casa cu’ e’ mani ‘n mano,
mentre dovresti essere a lavorare
pover’a mme, maronna mia
B: “Ora questa che novella è, che tu così tosto torni a casa
stamane? Per quello che mi paia vedere, tu non vuogli oggi
far nulla, ché io ti veggio tornare co' ferri tuoi in mano:
e se tu fai così, di che viverem noi? onde avrem noi del
pane? Credi tu che io sofferi che tu m'impegni la
gonnelluccia e gli altri miei pannicelli, che non fo il dì e
la notte altro che filare, tanto che la carne mi s'è
spiccata dall'unghia, per potere almeno aver tanto olio, che
n'arda la nostra lucerna? Marito, marito, egli non ci ha
vicina che non se ne maravigli e che non facci beffe di me,
di tanta fatica quanta è quella che io duro: e tu mi torni a
casa colle mani spenzolate quando tu dovresti essere a lavorare.”
“Oimè, lassa me, dolente me, in che mal'ora nacqui,
in che mal punto ci venni! ché avrei potuto avere un giovane
così da bene e nol volli, per venire a costui che non pensa
cui egli s'ha menata a casa! L'altre si danno buon tempo
cogli amanti loro, e non ce n'ha niuna che non abbia chi due
o chi tre, e godono e mostrano a' mariti la luna per lo
sole; e io, misera me! perché son buona e non attendo a così
fatte novelle, ho male e mala ventura: io non so perché io
non mi pigli di questi amanti come fanno l'altre! Intendi
sanamente, marito mio, che se io volessi far male, io
troverrei ben con cui, ché egli ci son de' ben leggiadri che
m'amano e voglionmi bene e hannomi mandato proferendo
dimolti denari, o voglio io robe o gioie, né mai mel
sofferse il cuore, per ciò che io non fui figliuola di donna
da ciò: e tu mi torni a casa quando tu dei essere a
lavorare!”
T: andò ad aprire la porta, investendo malamente il marito, e accusandolo di essere un fannullone, di aver lasciato il lavoro, di farla vivere nella miseria, di renderla il bersaglio della malignità dei vicini ecc. ecc. e poi passando dalle accuse violente al pinato, comincia una lunga lamentela sulla sua miseria, da far venire le lacrime agli occhi anche al povero marito ...
S: Cos’è questa novità, che mi ritorni a casa così presto stamattina? Non ti va di lavorare neh, che ritorni con gli arnesi in mano: e allora di’, come tireremo avanti noi? Cosa ci mangeremo? Cosa credi, che sia contenta io a vedere che vai a impegnare la mia gonnelluccia buona e quei quattro pannicelli che ci ho... che non faccio altro notte e giorno che filare... che la carne mi s’è staccata dall’unghie... per poter avere quel po’ d’olio che serve a far ardere la nostra lucerna? Marito, marito, non c’è vicina che non si meravigli, e non mi sfotta, per tutta la fatica che faccio, e tu mi torni a casa con le mani penzoloni, mentre dovresti essere a lavorare.
Povera me, mannaggia, disgraziata me! Maledetto il giorno che son nata! Tutte le altre si danno il buon tempo coi loro amanti, e chi ne ha due, e chi ne ha tre... E io stupida, perché son buona e onesta, e non faccio queste cose, ecco come vengo ricompensata... Non so proprio perché non mi prendo anch’io qualche amante, come fanno le altre! Cosa credi, che non mi mancherebbero le occasioni? No, io sono onesta, figlia di donna onesta, e non lo so fare! E tu mi torni a casa quando dovresti essere a lavorare!

Marito: lo vi’ che brava moglie che tengo?
S: Lo vedi che moglie che ci ho?
Perone’, nun te piglia’ collera, ca io te crido
oggi è festa e’ san Galeone, nun se fatica
perciò so’ tornato a casa
e aggio truvato a vendere l’uorc grosso a stu’ cumpare
ride, ride, moglie mia, avremo pane per più di un mese
perché lo compra pe’ cinque denari
pensa pe’ cinque denari
B: “Deh! donna, non ti dar malinconia, per
Dio! egli è il vero che io andai per lavorare, ma egli
mostra che tu nol sappi, come io medesimo nol sapeva. Egli è
oggi la festa di santo Galeone e non si lavora, e per ciò mi
sono tornato a questa ora a casa; ma io ho nondimeno
proveduto e trovato modo che noi avremo del pane per più
d'un mese, ché io ho venduto a costui, che tu vedi qui con
meco, il doglio, il qual tu sai che già è cotanto ha tenuta
la casa impacciata; e dammene cinque gigliati.”
T: Oggi è la festa di san Galeone, e non si lavora, per questo son tornato indietro. ... Lo sai, ho venduto l’orcio a questo amico mio, e così avremo del pane per più di un mese, perché me lo paga cinque gigliati.
S: Su non prendertela, Peronella mia! Non devi credere ch’io non conosca chi tu sei. Io ero andato al lavoro, ma tutti e due ci siamo dimenticati che oggi è la festa di san Galeone, e non si lavora! Ecco perché sono ritornato a casa così presto! Ma non ti rattristare! Ho trovato modo che avremo pane per più di un mese, perché ho venduto a questo signore che tu vedi qui con me l’orcio grande, che, come tu sai, per noi è soltanto un ingombro dentro casa: e me lo paga cinque gigliati!

Peronella: ecco perché m’a’ piglio cu’ tte
tu ca si’ ommo e vai p’o’ munno
ai vennuto l’uorc pe’ cinque denari
e io ca so’ na’ femminella ca nun esce mai da casa
l’aggio vennuto pe’ sette a’ nu buonuomo che infatti
poco prima che tu tornassi è entrato dentro per vedere in che stato si trova.
B: “E tutto questo è del dolor mio:
tu, che se' uomo e vai attorno e dovresti sapere delle cose
del mondo, hai venduto un doglio cinque gigliati, il quale
io feminella che non fu' mai appena fuor dell'uscio,
veggendo lo 'mpaccio che in casa ci dava, l'ho venduto sette
a un buono uomo, il quale, come tu qui tornasti, v'entrò
dentro per vedere se saldo fosse.”
T.: (Peronella) gli dà dello scemo perché se lui ha venduto l’orcio per cinque gigliati, lei è d’accordo con un altro per venderlo a sette, e costui - aggiunge- era proprio in quel momento dentro l’orcio per “vedere se saldo fosse”.
S: Ecco perché me la prendo con te! Tu che sei uomo e te ne vai in giro per il mondo, hai venduto un orcio per cinque gigliati, e io che sono una femminella, che non esco mai fuori dall’uscio, lho venduto per sette... a un buon uomo che infatti, poco prima che tu tornmassi, c’è entrato dentro per vedere in che stato si trova!

Marito: cumpa’ vattenne cu’ dio ca mia moglie l’à vennuto pe’ sette.
B: “Buono uomo, vatti con Dio,
ché tu odi che mia mogliere l'ha venduto sette, dove tu non
me ne davi altro che cinque.”
S: Cumpà, vattene con Dio, che mogliema ha venduto per sette, mentre tu non me ne davi che cinque.

Peronella: scennimmo abbascio, jamme a cumbina’ l’affare cu’ isso
B: “Vien sù tu, poscia che tu ci
se', e vedi con lui insieme i fatti nostri.”
S: Avanti vieni dato che sei tornato e va a combinare con lui l’affare...
ah, marito mio, avimme accendere nu’ cero a san Galeone ca t’a fatto turnà
Giannello: a’ ro’ stai bona femmena?
B: “Dove se', buona donna?”
T-S: Dove sei buona donna?
Peronella: eccomi vengo, avite visto quant’è bello l’uorc?
Marito: arrivederci cumpa’
(compare) stateme buone.
B: “In buona ora sia!”
Marito: voi me lo pagate pe’ cinque, e mia moglie l’à vennuto pe’ sette
stamme ccà, ué, ué, comme jamme?
B: “Eccomi, che domandi tu?”
S: Eccomi, che vuoi?
Giannello: oh, chi sì tu ? i’ aggie parlà c’a’ femmena c’aggie cumbinato l’affare e’ chist’uorc.
B: “Qual se' tu? Io vorrei la donna con la
quale io feci il mercato di questo doglio.”
S: Chi sei tu? Io parlavo alla donna con la quale ho combinato l’affare di questo orcio!
Marito: parlate cu’ mme, so’ o’ marite.
B: “Fate sicuramente meco, ché io son
suo marito.”
S: Potete parlare tranquillamente con me , che io sono il marito!

Giannello: l’uorc me pare ‘n buono stato, ma cca dinto me pare che ce sta a’ munnezza, ca ce stanno doje dita e’ fetenzia, è chino e’ munnezza, e nun se riesce a levà nemmeno cu’ ll’acqua (onghe?).
B: “Il doglio mi par ben saldo, ma
egli mi pare che voi ci abbiate tenuta entro feccia, ché
egli è tutto impastricciato di non so che cosa sì secca, che
io non ne posso levar con l'unghie, e però io nol torrei se
io nol vedessi prima netto.”
T: gli dice ch’egli comprerebbe l’orcio se per di dentro non fosse tutto sporco di feccia.
S: L’orcio mi pare in buono stato, ma mi pare che vi abbiate tenuto dentro della feccia, ch’è tutto impiastricciato di una roba così secca che non la posso togliere con l’unghia...

Peronella: eeh, e non per questo non combineremo l’affare
vui ascite e mio marito trase arinte e lo pulisce buono buono
B: “No, per quello non rimarrà il
mercato; mio marito il netterà tutto.”
T: Oh se è per questo ... mio marito ci penserà subito a pulirlo.
S: Uuuuuuuuh, non per questo non combineremo l’affare! Mio marito lo pulirà dalla parte di dentro come si deve!

Marito: sì, sì, come no
B: “Sì bene
T: Ma certo!
S: Sì, sì!
o raschietto, mantiene
Peronella: ué, tiene o’ raschietto, e ride, ride, mariteme, che ai fatto nu’ buon’affare
non ce facimme scappa’ stu grosso affare, amore mio
dai dai scortica buono accussì me piace
B: “Radi quivi e quivi e anche colà” “Vedine qui
rimaso un micolino.”
T: Pulisci qua, pulisci là.
S: Gratta là, e là... e anche laggiù... Guarda qui, c’è rimasta della zozzeria...
e dove lo trovi un marito accussì, dove lo trovi?


IV (T: V racc. del I t. / S: III racc. del I t.)
Ciappelletto (B I,1: Nord Europa)
(variazione diastratica e diatopica: napoletano colto - italiano regionale, confrontato con l’italiano del confessore e il tedesco) (sottofondo musicale: Fenesta ca lucive, Kyrie eleison) (ambientazione ‘nordica’: esterni a Bolzano)

(da S a F: tagliata la cornice di Chichibio, e le novelle di Girolamo e Salvestra, e di Alibech)


V (T: racc. cornice del III tempo / S: III racc. cornice)
Giotto e Forese (B VI,5: Mugello)
(Pasolini = discepolo di Giotto, chiamato a dipingere un ciclo di affreschi a Santa Chiara) (campagna napoletana)
Forese (avvocato napoletano): Maestro, tu credi che se ci venisse incontro un forestiero che non ti conoscesse, e ti vedesse combinato così, potrebbe mai pensare che tu sia uno dei più bravi pittori del momento?
B: “Giotto, a che ora venendo di qua alla 'ncontro di noi un forestiere che mai veduto non t'avesse, credi tu che egli credesse che tu fossi il migliore dipintore del mondo, come tu se'?”
T: Di’ un po’, se qualche straniero ti vedesse, così buffo come sei, credi tu che egli crederebbe che tu sei Giotto, il miglior pittore del mondo?
S: Giotto... tu credi che se ci venisse incontro un forestiere che non ti conoscesse, e ti vedesse conciato in questo modo... potrebbe mai pensare che tu fossi Giotto, il più grande pittore del mondo?
(battuta responsiva in B-T-S; eliminata in F)


VI (T: V racc. del II t. / S: settimo racc., quarto della II cornice di Chichibio)
Ricciardo e Caterina (B V,4: Romagna)
(campagna napoletana)
......................................
Ricciardo: Cateri’, te prego, nun me fa’ muri’ d’ammore pe’ te
Caterina: O pateterno vulisse che tu nun me facisse muri’ a mme
Ricciardo: per me faccio chello ca vo’ tu, rice una sola parola, chesta ccà è a’ salvezza d’a vita mia e d’a vita toja
Caterina: Riccardo, tu o ssai io comme so’ survegliata, ca’ doppo tanto tiempo mo’ ce putimmo parlà
ma si tu vuo’ veni’ a durmi’ cu’ mme, m’a suggerì na cosa, na cosa ca io nun me faccio vergogna
dimmelo, ca io t’obbedisco
Ricciardo: Cateri’ dulcezza mia, nun saccio truva’ n’ata via
che vai a durmì ancoppa o’ barcone, chello che sta ‘ncoppa o’ giardino
e io m’arrangio a saglì quanto è auto o’ muro
Caterina: Si tu tene o curaggio e saglì là ‘ncoppa
io faccio in modo de durmì o’ barcone
B: “Caterina, io ti priego che tu non mi facci
morire amando.”
6 “Volesse Idio che tu non
facessi più morir me!”
7 “Per me non starà mai cosa che a
grado ti sia, ma a te sta il trovar modo allo scampo della
tua vita e della mia.”
8 “Ricciardo, tu vedi quanto io sia
guardata, e per ciò da me non so veder come tu a me ti possi
venire: ma se tu sai veder cosa che io possa senza mia
vergogna fare, dillami, e io la farò.”
9 “Caterina mia dolce, io non so alcuna via vedere, se tu già
non dormissi o potessi venire in sul verone che è presso al
giardino di tuo padre; dove se io sapessi che tu di notte
fossi, senza fallo io m'ingegnerei di venirvi quantunque
molto alto sia.”
10 “Se quivi ti dà il cuor di
venire, io mi credo ben far sì che fatto mi verrà di
dormirvi.”
........................................



VII (T: IV racc. del II t. / S : sesto racc., terzo della II cornice di Chichibio)
Lisabetta (B IV,5: Messina)
(Napoli e Sorrento)


VIII (T: IV racc. del III t., e ultimo del film / XI e ultimo racc.)
Donno Gianni e la Gemmata (B IX,10: Puglia)
(campagna napoletana)


IX (assente in T / S: X racc., secondo della III cornice, penultimo del film)
Tingoccio e Meuccio (B VII,10: Siena)
(Napoli)
..........................................
Meuccio: Ma e’ pene, song’ eguale pe’ tutte quante?
Tingoccio: Noo, chi brucia dint’ o’ fuoco, chi dint’ a’ l’acqua bollente, chi dint’o’ ghiaccio, e chi dint’ a mmerda
B: Domandò allora Meuccio particularmente Tingoccio che pene
si dessero di là per ciascun de' peccati che di qua si
commettono, e Tingoccio gliele disse tutte.


SCENA FINALE
(il pittore al completamento dell’opera)(battuta finale assente in S)
Ma io mi domando, perché realizzare un’opera quando è così bello sognarla soltanto?



TRILOGIA DELLA VITA
analisi comparativa dalle sceneggiature al film

DECAMERON

Fonte:
http://cta.unior.it/HomePages/cvecce/decameron.htm


@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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