"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
PIER PAOLO PASOLINI,
DECAMERON. ANALISI DI VARIAZIONE
DIAMESICA
Pasolini e il Decameron
Non sono io che ho scelto il Decameron, è il
Decameron che ha scelto me.
... Il mio stile, sempre eccessivo, ha trovato il modo di
diventare medio.
(C’est le
Décameron qui m’a choisi, « La Galerie », 111, dic. 1971, p.
88)
(nel Decameron) ... il narrare è ontologico: si narra
per il gusto di narrare, o si rappresenta per il gusto di rappresentare. Cosa si
narra e si rappresenta? Qualcosa che non c’è più: uomini, sentimenti, cose. Non
c’è, dico, storicamente; esistenzialmente sopravvive (il popolo di Napoli).
(Con Pier Paolo Pasolini, a cura di E. Magrelli, Roma,
Bulzoni, 1977, p. 99)
Ho scelto in Boccaccio i racconti che amavo di più, quelli
che rileggevo con sempre più vivo piacere, in cui si trova una sorta di
equilibrio naturale tra il tragico e il comico-burlesco.
(Rencontre avec Pasolini, “Cinéma”, 164, marzo 1972,
p. 58)
Nel Decameron gioco una realtà che mi piace ancora ma
che nella storia non c’è più. Ho scelto Napoli per il Decameron perché
Napoli è una sacca storica: i napoletani hanno deciso di restare quello che
erano, e, così, di lasciarsi morire.
(Io e Boccaccio, Intervista di Dario Bellezza,
“L’Espresso”, 22 nov. 1970)
... il Decameron rappresenta la mia nostalgia di un
popolo ideale, con la sua miseria, la sua assenza di coscienza politica ..., di
un popolo che ho conosciuto quando ero bambino. Forse esiste ancora nel ventre
di Napoli.
(intervista di Gérard Langlois, in Marc Gervais, Pier
Paolo Pasolini, Seghers 1973, p. 148)
ESEMPI DI VARIAZIONE
DIAMESICA
abbreviazioni
B: Boccaccio
T: trattamento
S: sceneggiatura
F: film
(titoli di testa; sottofondo
musicale, banda popolare)
(scena iniziale: Ciappelletto
nell’ombra notturna, scena di omicidio) (prima cornice: anche in T-S)
I (T: secondo racconto del I tempo / S:
primo racconto)
Andreuccio da Perugia (B II,5:
Napoli)
(ambientazione cittadina di
Andreuccio) (sottofondo musicale: Canto delle lavandaie del Vomero)
(inizio: mercato di Caserta
Vecchia, apparizione delle donne da dietro il torrione, scena corale) (Napoli,
vicoli cittadini; interno di chiesa)
II (T: quarto racconto del I tempo / S:
secondo racconto del I tempo)
Masetto da Lamporecchio (B III,1:
Toscana)
(vicolo cittadino) (preceduto dal
racconto del vecchio = B IX,2 / in T racconta la novella di Alatiel / situazione
modificata in S) (riscrittura sintetica dall’originale, non dalla didascalia)
(traduzione in napoletano, attuata consapevolmente dal parlante per adeguare il
messaggio al pubblico) (il vecchio legge da un libro, seduto per terra, forte
gestualità) (nella folla, Ciappelletto ruba, e adesca un ragazzo)
B: Sapere adunque dovete in Lombardia
essere un famosissimo monistero di santità e religione, nel quale, tra
l’altre donne monache che v’erano, v’era una giovane di sangue nobile
e di maravigliosa bellezza dotata, la quale, Isabetta chiamata, essendo
un dì a un suo parente alla grata venuta, d’un bel giovane che con lui
era s’innamorò .....
S18: In un convento c’è una suora giovane, che
si era trovata un amante
giovane e bello,
e tutte le notti lo riceveva nella sua
cella.
Ma le altre monache finirono per accorgersene,
e decisero di fare la spia alla Madre Superiora.
Però vogliono cogliere la
colpevole in flagrante! E aspettano la notte che scenda.
La notte scende, e la giovane
suora riceve il suo amante.
Le altre suore li chiudono dentro
la cella e vanno a chiamare
la Madre Superiora che sta facendo l’amore nella sua
cella con un prete.
Quando le suore
precipitosamente battono
all’uscio e la chiamano, la Madre Superiora, nell’orgasmo, anziché mettersi in testa il
velo si mette in testa le mutande del prete.
E con le mutande del prete in
testa, va a cogliere in flagrante la colpevole.
Ma costei, che da principio
ascolta i terribili rimproveri a occhi bassi, infine alza gli occhi e vede le
mutande del prete in testa alla Madre Superiora.
Glielo fa notare e tutto finisce
bene: cioè da allora in poi in quel convento, se qualche
suora voleva sollazzarsi lo poteva fare, e così sia.
F: saper dunque dovete in
Lombardia, dove ce
stanno quelle che parlano toscano, essere un famosissimo monastero
di santità e di religione nel quale v’era una giovane di sangue nobile
e di meravigliosa bellezza dotata
Signori miei, mo’ vo’ spiegherò in
napoletano, dunch ch’è succiesso dint’a stu cunvento?
una suora, bella chiattuna, s’innamoraje e’ nu bello
giuvinotto
e aspettavano che se faceva
notte per so’
porta’ dint’ a cella e’ lu
cunvento
ma una notte le altre suore invidiose se ne accorsero
e li videro che stavano tuzzuliando
tutt’e duje
allora che pensarono e fa’?
andarono a chiamare a’ madre
superiora
la madre superiora siccome
stava a letto co’
prevete allora che
facette?
quanno bussaje a la
porta essa si
spaventaje
e arapette a porta
e invece e’ se mettere o’ velo
‘n casa se mettete a’ mutanda do’ prevete ‘n capa
quanno succedette che jetteno a
bussà alla porta d’a’ suora
con tutte le altre suore che stevano
a guarda’
spalancata la suora dicette: -addove
la portate?-
-ah, ma tu pure stieve tuzzuliando
dint’a cella toja
perché tiene a’ mutanda do’ prevete
n’ capa.-
e accussì ‘n chillo cunvento tutte le
suore tuzzuliavano pure lloro.
III (T : II racc. del III t. / S : nono
racc., III cornice di Giotto)
Peronella (VII,2: ambientazione
cittadina: Napoli) (T: trascrizione quasi fedele del testo originale)
(camera da letto di Peronella -
ambientazione rurale, non cittadina: passaggi da dialetto di campagna a italiano
regionale)
Giannello: viene, viene acca’
(torna il marito; da fuori)
Marito: Peronella, arape,
song’o’marite, Peronella.
Peronella: Mamma mia. Ue’
Giannello, è arrivato mio marito, songo morta.
B: “Oimè!
Giannel mio, io son morta”
T:
Peronella, spaventata per questo inspiegabile ritorno del marito, alzò un alto,
napoletano lamento di stupore e dolore
Giannello: Uff
Marito: Peronella, Peronella! Ue’
Perone’
Peronella: Aggio sentuto, mo’
vengo, mo ve’
Marito: Cumpa’, oi’ comme s’è
chiusa a rinto da quando song’ asciuto a fatica’
per fare i fatti suoi?
sia lodato iddio che tengo na’
moglie cossì onesta.
B: “O Iddio, lodato
sia tu sempre, ché, benché tu m'abbi fatto povero, almeno m'hai tu consolato
di buona e d'onesta
giovane di
moglie! Vedi come ella tosto serrò l'uscio
dentro, come io ci
usci',
acciò che alcuna persona entrar
non ci potesse che noia
le desse.”
S: Iddio, tu sia
sempre lodato, benché mi hai fatto povero, almeno mi hai dato una buona moglie,
oltre che giovane! Tu lo vedi cumpà, come s’è chiusa dentro casa, appena io sono
uscito per andare al lavoro, in modo che nessuno potesse entrare a darle
fastidio...
Peronella: mamma mia, mo’ vengo,
mo’ vengo.
(donna) scinne, fa ‘mpressa.
Peronella: sto venendo, sto
venendo
va, va, trase
dint’all’uorc, che mio marito è geloso pazzo, quello m’ammazza
statte cca dinto e nun te movere,
che io vado a vedere perché è arrivato accussì presto stammatina
t’avesse visto mentre
entravi madonna mia
eccomi eccomi
B: “Oimè! Giannel mio,
io son morta, ché ecco
il marito mio, che
tristo il faccia Iddio, che ci tornò: e
non so che questo si
voglia dire, ché egli non ci tornò mai
più a questa otta:
forse che ti vide egli quando tu
c'entrasti! Ma per l'amore di
Dio, come che il fatto sia,
entra in cotesto
doglio
che tu vedi costì, e io gli andrò a
aprire, e veggiamo
quello che questo vuol dire di tornare
stamane così
tosto
a casa.”
S: Oddio, Giannello
mio, son morta, ecco mio marito che ritorna, che Dio lo maledica, che è la prima
volta che ritorna a quest’ora, di primo mattino...
Per carità, entra in
questo orcio, che quello è geloso fracico, n’ammazza. Sta qui dentro e io vado a
vedere che cosa significa che è ritornato a casa così
presto.
Giannello: stu’ sfaccimme e
curnuto, avive quase fatta
S: sto sfaccimma cornuto! Avevo quasi
fatto!
Peronella: sto venendo sto
venendo
ah, tu stai ccà, a chest’ora
viene a casa, ma io t’affogo, si nun vai a faticà comme magnammo?
ca te cride, ca su’ cuntenta
e’ mpignura’ sti’ quattro stracci ca tengo?
io jette o’ sang tutt’o’
juorno a filà
..................... tutt’o’
juorno, capito?
marito, marito, nun ce
sta vicino .......................
per tutt’a fatica che faccio
e tu torni a casa cu’ e’ mani
‘n mano,
mentre dovresti essere a
lavorare
pover’a mme, maronna
mia
B: “Ora questa che
novella è, che tu così tosto torni a casa
stamane? Per quello che
mi paia vedere, tu non vuogli oggi
far nulla, ché io ti
veggio tornare co' ferri tuoi in mano:
e se tu fai così, di
che viverem noi? onde avrem noi del
pane? Credi tu che io
sofferi che tu m'impegni la
gonnelluccia e gli
altri miei pannicelli, che non fo il dì e
la notte altro che
filare, tanto che la carne mi
s'è
spiccata dall'unghia,
per potere almeno aver tanto olio, che
n'arda la nostra
lucerna? Marito, marito, egli non ci ha
vicina che non se ne
maravigli e che non facci beffe di me,
di tanta fatica quanta
è quella che io duro: e tu mi torni a
casa colle mani
spenzolate quando tu dovresti essere a lavorare.”
“Oimè, lassa me,
dolente me, in che mal'ora nacqui,
in che mal punto ci venni! ché avrei potuto
avere un giovane
così da bene e nol volli, per venire a costui
che non pensa
cui egli s'ha menata a casa! L'altre si danno
buon tempo
cogli amanti loro, e non ce n'ha niuna che non
abbia chi due
o chi tre, e godono e mostrano a' mariti la
luna per lo
sole; e io, misera me! perché son buona e non
attendo a così
fatte novelle, ho male e mala ventura: io non
so perché io
non mi pigli di questi amanti come fanno
l'altre! Intendi
sanamente, marito mio, che se io volessi far
male, io
troverrei ben con cui, ché egli ci son de' ben
leggiadri che
m'amano e voglionmi bene e hannomi mandato
proferendo
dimolti denari, o voglio io robe o gioie, né
mai mel
sofferse il cuore, per ciò che io non fui
figliuola di donna
da ciò: e tu mi torni a casa quando tu dei
essere a
lavorare!”
T: andò ad aprire
la porta, investendo malamente il marito, e accusandolo di essere un fannullone,
di aver lasciato il lavoro, di farla vivere nella miseria, di renderla il
bersaglio della malignità dei vicini ecc. ecc. e poi passando dalle accuse
violente al pinato, comincia una lunga lamentela sulla sua miseria, da far
venire le lacrime agli occhi anche al povero marito ...
S: Cos’è questa
novità, che mi ritorni a casa così presto stamattina? Non ti va di lavorare neh,
che ritorni con gli arnesi in mano: e allora di’, come tireremo avanti noi? Cosa
ci mangeremo? Cosa credi, che sia contenta io a vedere che vai a impegnare la
mia gonnelluccia buona e quei quattro pannicelli che ci ho... che non faccio
altro notte e giorno che filare... che la carne mi s’è staccata dall’unghie...
per poter avere quel po’ d’olio che serve a far ardere la nostra lucerna?
Marito, marito, non c’è vicina che non si meravigli, e non mi sfotta, per tutta
la fatica che faccio, e tu mi torni a casa con le mani penzoloni, mentre
dovresti essere a lavorare.
Povera me, mannaggia, disgraziata me! Maledetto il giorno
che son nata! Tutte le altre si danno il buon tempo coi loro amanti, e chi ne ha
due, e chi ne ha tre... E io stupida, perché son buona e onesta, e non faccio
queste cose, ecco come vengo ricompensata... Non so proprio perché non mi prendo
anch’io qualche amante, come fanno le altre! Cosa credi, che non mi
mancherebbero le occasioni? No, io sono onesta, figlia di donna onesta, e non lo
so fare! E tu mi torni a casa quando dovresti essere a
lavorare!
Marito: lo vi’ che brava moglie
che tengo?
S: Lo vedi che moglie che ci ho?
Perone’, nun te piglia’
collera, ca io te crido
oggi è festa e’ san Galeone,
nun se fatica
perciò so’ tornato a
casa
e aggio truvato a vendere
l’uorc grosso a stu’ cumpare
ride, ride, moglie mia, avremo
pane per più di un mese
perché lo compra pe’ cinque
denari
pensa pe’ cinque denari
B: “Deh! donna, non
ti dar malinconia, per
Dio! egli è il vero che
io andai per lavorare, ma egli
mostra che tu nol
sappi, come io medesimo nol sapeva. Egli è
oggi la festa di santo
Galeone e non si lavora, e per ciò mi
sono tornato a questa
ora a casa; ma io ho nondimeno
proveduto e trovato
modo che noi avremo del pane per più
d'un
mese,
ché io ho venduto a costui, che tu vedi qui con
meco, il doglio,
il qual tu sai che già è cotanto ha tenuta
la casa impacciata; e
dammene cinque gigliati.”
T: Oggi è la festa di
san Galeone, e non si lavora, per questo son tornato indietro. ... Lo sai, ho
venduto l’orcio a questo amico mio, e così avremo del pane per più di un mese,
perché me lo paga cinque gigliati.
S: Su non prendertela, Peronella mia! Non devi credere ch’io
non conosca chi tu sei. Io ero andato al lavoro, ma tutti e due ci siamo
dimenticati che oggi è la festa di san Galeone, e non si lavora! Ecco perché
sono ritornato a casa così presto! Ma non ti rattristare! Ho trovato modo che
avremo pane per più di un mese, perché ho venduto a questo signore che tu vedi
qui con me l’orcio grande, che, come tu sai, per noi è soltanto un ingombro
dentro casa: e me lo paga cinque gigliati!
Peronella: ecco perché m’a’
piglio cu’ tte
tu ca si’ ommo e vai p’o’
munno
ai vennuto l’uorc pe’ cinque
denari
e io ca so’ na’ femminella ca
nun esce mai da casa
l’aggio vennuto pe’ sette a’
nu buonuomo che infatti
poco prima che tu tornassi è
entrato dentro per vedere in che stato si trova.
B: “E tutto questo è
del dolor mio:
tu, che se' uomo e vai
attorno e dovresti sapere
delle cose
del mondo, hai
venduto un doglio cinque gigliati, il quale
io feminella che non
fu' mai appena fuor dell'uscio,
veggendo lo 'mpaccio
che in casa ci dava, l'ho venduto sette
a un buono uomo, il
quale, come tu qui tornasti, v'entrò
dentro per vedere se
saldo fosse.”
T.: (Peronella) gli dà
dello scemo perché se lui ha venduto l’orcio per cinque gigliati, lei è
d’accordo con un altro per venderlo a sette, e costui - aggiunge- era proprio in
quel momento dentro l’orcio per “vedere se saldo fosse”.
S: Ecco perché me la
prendo con te! Tu che sei uomo e te ne vai in giro per il mondo, hai venduto un
orcio per cinque gigliati, e io che sono una femminella, che non esco mai fuori
dall’uscio, lho venduto per sette... a un buon uomo che infatti, poco prima che
tu tornmassi, c’è entrato dentro per vedere in che stato si trova!
Marito: cumpa’ vattenne cu’
dio ca mia moglie l’à vennuto pe’ sette.
B: “Buono uomo,
vatti con Dio,
ché tu odi che mia
mogliere l'ha venduto sette, dove tu non
me ne davi altro che
cinque.”
S: Cumpà, vattene con
Dio, che mogliema ha venduto per sette, mentre tu non me ne davi che
cinque.
Peronella: scennimmo abbascio,
jamme a cumbina’ l’affare cu’ isso
B: “Vien sù tu,
poscia che tu ci
se', e vedi con lui
insieme i fatti nostri.”
S: Avanti vieni dato
che sei tornato e va a combinare con lui l’affare...
ah, marito
mio, avimme accendere nu’ cero a san Galeone ca t’a fatto turnà
Giannello: a’ ro’ stai bona
femmena?
B: “Dove se', buona
donna?”
T-S: Dove sei buona
donna?
Peronella: eccomi vengo, avite
visto quant’è bello l’uorc?
Marito: arrivederci cumpa’
(compare) stateme
buone.
B: “In buona ora
sia!”
Marito: voi me lo pagate pe’
cinque, e mia moglie l’à vennuto pe’ sette
stamme ccà, ué, ué, comme
jamme?
B: “Eccomi, che domandi
tu?”
S: Eccomi, che
vuoi?
Giannello: oh, chi sì tu ? i’
aggie parlà c’a’ femmena c’aggie cumbinato l’affare e’ chist’uorc.
B: “Qual se' tu? Io
vorrei la donna con la
quale io
feci il mercato di questo doglio.”
S: Chi sei tu? Io
parlavo alla donna con la quale ho combinato l’affare di questo
orcio!
Marito: parlate cu’ mme, so’
o’ marite.
B: “Fate
sicuramente meco, ché io son
suo
marito.”
S: Potete parlare
tranquillamente con me , che io sono il marito!
Giannello: l’uorc me pare ‘n
buono stato, ma cca dinto me pare che ce sta a’ munnezza, ca ce stanno
doje dita e’ fetenzia, è chino e’ munnezza, e nun se riesce a levà nemmeno cu’
ll’acqua (onghe?).
B: “Il doglio mi par
ben saldo, ma
egli mi pare che voi ci
abbiate tenuta entro feccia, ché
egli è tutto
impastricciato di non so che cosa sì secca, che
io non ne posso levar
con l'unghie, e però io nol torrei
se
io nol vedessi prima
netto.”
T: gli dice ch’egli
comprerebbe l’orcio se per di dentro non fosse tutto sporco di
feccia.
S: L’orcio mi pare in
buono stato, ma mi pare che vi abbiate tenuto dentro della feccia, ch’è tutto
impiastricciato di una roba così secca che non la posso togliere con
l’unghia...
Peronella: eeh, e non per
questo non combineremo l’affare
vui ascite e mio marito
trase arinte e lo pulisce buono buono
B: “No, per quello
non rimarrà il
mercato; mio marito il
netterà tutto.”
T: Oh se è per questo
... mio marito ci penserà subito a pulirlo.
S: Uuuuuuuuh, non per
questo non combineremo l’affare! Mio marito lo pulirà dalla parte di dentro come
si deve!
Marito: sì, sì, come
no
B: “Sì
bene”
T: Ma
certo!
S: Sì,
sì!
o raschietto, mantiene
Peronella: ué, tiene o’
raschietto, e ride, ride, mariteme, che ai fatto nu’ buon’affare
non ce facimme scappa’ stu grosso
affare, amore mio
dai dai scortica buono
accussì me piace
B: “Radi quivi e
quivi e anche colà” “Vedine qui
rimaso un
micolino.”
T: Pulisci qua,
pulisci là.
S: Gratta là, e là...
e anche laggiù... Guarda qui, c’è rimasta della
zozzeria...
e dove lo trovi un marito
accussì, dove lo trovi?
IV (T: V racc. del I t. / S: III racc. del
I t.)
Ciappelletto (B I,1: Nord
Europa)
(variazione diastratica e
diatopica: napoletano colto - italiano regionale, confrontato con l’italiano del
confessore e il tedesco) (sottofondo musicale: Fenesta ca lucive, Kyrie eleison)
(ambientazione ‘nordica’: esterni a Bolzano)
(da S a F: tagliata la cornice di
Chichibio, e le novelle di Girolamo e Salvestra, e di Alibech)
V (T: racc. cornice del III tempo / S: III
racc. cornice)
Giotto e Forese (B VI,5:
Mugello)
(Pasolini = discepolo di Giotto,
chiamato a dipingere un ciclo di affreschi a Santa Chiara) (campagna
napoletana)
Forese (avvocato napoletano):
Maestro, tu credi che se ci venisse incontro un forestiero che
non ti conoscesse, e ti
vedesse combinato così, potrebbe mai pensare che tu sia uno dei più bravi
pittori del momento?
B: “Giotto, a che ora
venendo di qua alla 'ncontro di noi un forestiere che mai veduto non t'avesse,
credi tu che egli credesse che tu fossi il migliore dipintore del mondo, come tu
se'?”
T: Di’ un po’, se
qualche straniero ti vedesse, così buffo come sei, credi tu che egli crederebbe
che tu sei Giotto, il miglior pittore del mondo?
S: Giotto... tu credi
che se ci venisse incontro un forestiere che non ti conoscesse, e ti vedesse
conciato in questo modo... potrebbe mai pensare che tu fossi Giotto, il più
grande pittore del mondo?
(battuta responsiva in B-T-S;
eliminata in F)
VI (T: V racc. del II t. / S:
settimo racc., quarto della II cornice di Chichibio)
Ricciardo e Caterina (B V,4:
Romagna)
(campagna
napoletana)
......................................
Ricciardo: Cateri’, te prego,
nun me fa’ muri’ d’ammore pe’ te
Caterina: O pateterno vulisse
che tu nun me facisse muri’ a mme
Ricciardo: per me faccio chello
ca vo’ tu, rice una sola parola, chesta ccà è a’ salvezza d’a vita mia e d’a
vita toja
Caterina: Riccardo, tu o ssai io
comme so’ survegliata, ca’ doppo tanto tiempo mo’ ce putimmo
parlà
ma si tu vuo’ veni’ a durmi’ cu’
mme, m’a suggerì na cosa, na cosa ca io nun me faccio
vergogna
dimmelo, ca io
t’obbedisco
Ricciardo: Cateri’ dulcezza mia,
nun saccio truva’ n’ata via
che vai a durmì ancoppa o’ barcone,
chello che sta ‘ncoppa o’ giardino
e io m’arrangio a saglì quanto è
auto o’ muro
Caterina: Si tu tene o curaggio
e saglì là ‘ncoppa
io faccio in modo de durmì o’
barcone
B: “Caterina, io ti
priego che tu non mi facci
morire amando.”
6
“Volesse Idio che tu non
facessi più morir me!”
7 “Per me non starà mai cosa che a
grado ti sia, ma a te sta il trovar modo allo
scampo della
tua vita e della mia.”
8
“Ricciardo, tu vedi quanto io sia
guardata, e per ciò da me non
so veder come tu a me ti possi
venire: ma se tu sai veder cosa che io possa
senza mia
vergogna fare, dillami, e io la
farò.”
9
“Caterina mia dolce, io non so alcuna via vedere, se tu già
non dormissi o potessi venire in
sul verone che è presso al
giardino di tuo padre; dove se io sapessi che
tu di notte
fossi, senza fallo io m'ingegnerei di
venirvi quantunque
molto alto sia.”
10
“Se quivi ti dà il cuor di
venire,
io mi credo ben far sì che fatto mi verrà di
dormirvi.”
........................................
VII (T: IV racc. del II t. / S : sesto
racc., terzo della II cornice di Chichibio)
Lisabetta (B IV,5: Messina)
(Napoli e Sorrento)
VIII (T: IV racc. del III t., e ultimo del
film / XI e ultimo racc.)
Donno Gianni e la Gemmata (B
IX,10: Puglia)
(campagna napoletana)
IX (assente in T / S: X racc., secondo
della III cornice, penultimo del film)
Tingoccio e Meuccio (B VII,10:
Siena)
(Napoli)
..........................................
Meuccio: Ma e’ pene, song’ eguale
pe’ tutte quante?
Tingoccio: Noo, chi brucia dint’
o’ fuoco, chi dint’ a’ l’acqua bollente, chi dint’o’ ghiaccio, e chi dint’ a
mmerda
B:
Domandò allora Meuccio particularmente Tingoccio che pene
si dessero di là per ciascun de' peccati che di
qua si
commettono, e Tingoccio gliele disse
tutte.
SCENA FINALE
(il pittore al completamento
dell’opera)(battuta finale assente in S)
Ma io mi domando, perché
realizzare un’opera quando è così bello sognarla soltanto?
TRILOGIA DELLA VITA
analisi comparativa dalle
sceneggiature al film
DECAMERON
Fonte:
http://cta.unior.it/HomePages/cvecce/decameron.htm
@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare |
Curatore, Bruno Esposito
Grazie per aver visitato il mio blog
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