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martedì 15 aprile 2025

Natalia Ginzburg, Aborto: la donna è sola - Corriere della Sera, Il 7 febbraio 1975

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Natalia Ginzburg
Aborto: la donna è sola

Corriere della Sera
7 febbraio 1975

Giorni fa c’è stata una persona che ha parlato dell’aborto con parole serie e vere, ed è Franco Rodano, in un articolo uscito su un quotidiano il 28 gennaio. Questo articolo si chiama Aborto e clericalismo. È un articolo molto bello e civile; fra i piú belli e civili che mi sia successo di leggere negli ultimi tempi.

 Penso che la questione dell’aborto è forse la questione piú complicata, piú delicata, piú triste che esista; una zona dove muoversi è ben difficile. Quando Franco Rodano parla dell’aborto, in questo articolo, ci sembra di respirare aria pura; perché egli ne parla con estremo rispetto umano e con una estrema serietà.

 Io sono per la legalizzazione dell’aborto. Con Franco Rodano, penso che ha ragione l’Unione delle Donne Italiane, «il solo organismo popolare, e perciò serio, realista e autentico dell’emancipazione femminile nel nostro paese», quando «avanza la proposta d’una depenalizzazione dell’aborto, ove e purché si verifichi in istituti sanitari pubblici».

 Nella campagna per l’aborto legale, trovo odiosa una diffusa attitudine di gagliarda spavalderia, trovo odioso che si parli dell’aborto come se fosse una libera e allegra festa. Trovo odiosa, nella campagna per l’aborto legale, tutta la coreografia che la circonda, il rumore e lo scampanio festoso, tra gagliardo e macabro, odiose le sfilate delle donne con le bamboline appese sulla pancia, odiose le parole «la pancia è mia e ne faccio quello che mi pare»: in verità anche la vita è nostra, e nessuno di noi riesce a farne quello che gli pare.

 L’aborto legale deve essere chiesto innanzitutto per giustizia. Deve essere una secca e severa richiesta che la gente rivolge alla legge. È intollerabile che le donne povere rischino la morte o muoiano procurandosi aborti con i ferri da calza, e le donne ricche possano disporre di comode cliniche e non rischino nulla o assai poco. Questo è intollerabile. Sappiamo bene come sono fatte oggi la società e la legge; sappiamo bene quanto siano caotiche e remote da ogni idea di giustizia; ma anche sappiamo, molti di noi in un modo forse rozzo, passionale e confuso, come invece dovrebbero essere. La legge dovrebbe essere di pura giustizia; non dovrebbe essere né rigida, né molle, ma soltanto giusta; e interferire nei fatti dei singoli soltanto quando essi si trovano in condizioni di pericolo, o di disgrazia, o di colpa, o di malattia.

 Quando si vuole e si chiede una cosa, è necessario chiamarla con il suo vero nome. Trovo ipocrita affermare che abortire non è uccidere. Abortire è uccidere. Il diritto di abortire deve essere l’unico diritto di uccidere che la gente deve chiedere alla legge. Si tratta, nella questione dell’aborto, d’una uccisione del tutto particolare, e assolutamente diversa da ogni altra specie di uccisione; essa non può essere paragonata a nulla, perché non rassomiglia a nulla; non si trascina dietro nessun altro diritto, non implica nessuna specie di altre generiche libertà.

 Non essendo legalizzato l’aborto nel nostro paese, le donne muoiono per ferri da calza; e fra la morte d’una persona che ha occhi, lineamenti, voce, e la morte d’una forma senza voce né occhi, è impossibile non preferire la seconda cosa. Abortire vuol dire sopprimere non già una persona, ma il disegno remoto e pallido d’una persona; è chiaro che è un minor male che muoiano questi disegni remoti e pallidi, piuttosto che la madre che li porta dentro di sé; e ancora è un minor male che muoiano questi disegni remoti e pallidi, piuttosto che diventare essi dei bambini votati a un destino di fame. È anche vero però che ogni destino può essere un destino di dolore; e se ci si mette a pensare cosa può apparecchiare il destino, ci si chiede se non sarebbe giusto e sensato non dare mai la vita, e scegliere sempre il nulla. L’idea dell’aborto conduce dunque a chiedersi quale sia il significato della vita; e conduce in mezzo a una folla di interrogativi cosí disperati, che il porseli è cadere nel buio. Per questo, nell’idea dell’aborto viene a concentrarsi oggi tutta la nostra attenzione: perché in questa idea si nascondono i tratti della nostra idea della vita, ed essi ci sembrano sfuggenti; ci sembra che si sia spezzata la nostra armonia con il futuro; e ci sembra di non poter piú promettere il futuro a nessuno. Ma amare la vita e crederci vuol dire anche amarne il dolore; vuol dire amare il tempo in cui siamo nati e le sue voragini di terrore; e vuol dire amare, del destino, la sua oscurità e la sua tremenda imprevedibilità. È tuttavia ancora vero che su un simile pensiero non si può forse costruire nulla; non essendo per verità un pensiero costruttivo, ma una sorta di fuoco che ciascuno accende in solitudine e per conto suo.

 Poiché abortire è in verità uccidere, non già una persona ma la possibilità d’una persona, si tratta, per la madre, d’una scelta spaventosa. In verità, quasi tutto sembra meglio che il trovarsi davanti a una simile scelta: il controllo delle nascite; forse perfino la castità. È stata suggerita anche l’omosessualità: è un’idea paradossale, e che non può valere per tutti; ma in questa idea non ripugna tanto il paradosso, quanto il fatto che appaia come una soluzione di comodo; e le soluzioni di comodo appaiono, quando è in gioco la vita e la morte, di una esangue e squallida futilità. La castità, o il controllo delle nascite, significano invece un sacrificio; e un prezzo di sacrificio, quando è in gioco la vita e la morte, bisogna pure pagarlo.

Abortire è uccidere, ma si tratta dunque d’un’uccisione che non può essere paragonata a nessun’altra; è separarsi per sempre da una singola, precisa e reale possibilità vivente. Essendo questa una scelta diversa da ogni altra, non vi possono entrare le nostre abituali considerazioni di ordine morale; esse appaiono qui inservibili. Noi sappiamo bene che uccidere è male; ma qui, in presenza d’una possibilità viva ma immersa nel buio, anche l’idea del bene e del male è immersa nel buio. In una simile scelta, la luce della ragione, la luce della logica, la luce abituale delle considerazioni morali non possono entrare; esse non porterebbero nessun soccorso, perché non ci sono risposte o chiarimenti logici quando tutto è immerso nel buio; è una scelta in cui stanno uno davanti all’altro l’individuo e il destino, al buio.

 Tale scelta non può dunque essere che individuale, privata e buia. Essa è, fra tutte le scelte umane, la piú privata, la piú anarchica, la piú solitaria. È una scelta che appartiene di diritto alla madre, e soltanto a lei; e questo non perché esista, in ogni circostanza della vita, un libero diritto di scelta; e non perché «la pancia è mia e ne faccio quello che mi pare»: penso che mai come in una simile scelta le persone sentono che niente gli appartiene, e meno che mai il loro proprio corpo: gli appartiene soltanto un’orribile facoltà di scegliere, per una forma senza né voce né occhi, la vita o il nulla. È una facoltà pesante come il piombo, una libertà che si trascina dietro ferri e catene: perché chi sceglie deve scegliere per due, e l’altro è muto. Si tratta di lacerarsi in una parte di sé, ammazzare una parte di sé, strappare dalle proprie membra per sempre una precisa possibilità viva e ignota; è una scelta muta e buia come è muta l’intesa che intercorre sotterranea con quella forma nascosta; e il rapporto fra la madre e quella forma vivente, ignota e nascosta, è in verità il rapporto piú chiuso e piú incatenato e piú nero che esista al mondo, è il meno libero fra tutti i rapporti e non riguarda nessuno.

 Una simile scelta, non riguarda nessuno e meno che mai la legge. È chiaro che la legge non ha nessun diritto né di proibirla né di punirla. Riguarda la legge, o dovrebbe riguardare la legge, soltanto nel momento in cui smette di essere una scelta segreta e diventa una aperta e chiara determinazione di abortire. Allora ha inizio uno stato di pericolo; e la legge dovrebbe essere là non per punire e non per proibire ma per venire in aiuto. La legge è tenuta, o dovrebbe essere tenuta, a fare in modo che le persone non distruggano gli altri o se stessi. Ma si tratta di persone, e non già di possibilità; perché nella zona delle possibilità, nascoste nel grembo delle madri, né la legge né il codice né la società né i governi dovrebbero avere il minimo potere di interferire.

Natalia Ginzburg

@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare


Curatore, Bruno Esposito

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