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venerdì 16 maggio 2025

Colloquio con Pasolini: Una visione del mondo epico-religiosa: "prima parte" - Bianco e Nero, numero 6, giugno 1964, da pag.12 a pag.41

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

Bianco e Nero, numero 6, giugno 1964 

Colloquio con Pasolini
Una visione del mondo epico-religiosa

prima parte

Bianco e Nero
numero 6
giugno 1964
da pag.12 a pag.41
 

( © Questa trascrizione da cartaceo, è stata curata da Bruno Esposito )



Questa conversazione ha avuto luogo, sotto la direzione del dott. Leonardo Fioravanti, in un'aula del Centro Sperimentale di Cinematografia il 9 marzo 1964. Trascriviamo fedelmente, salvo gli inevitabili adattamenti di forma, dalla registrazione su nastro magnetico. Ha redatto il testo Lodoletta Lupo.

Bianco e Nero, numero 6, giugno 1964

La trascrizione sotto, è stata fedelmente ripresa dal  numero 6, del giugno 1964, di Bianco e Nero. ( Già nei Meridiani Mondadori, a cura di Walter Siti - Pasolini per Il cinema ). 




D. (LEONARDO FIORAVANTI)
: Cercheremo, nel corso della conversazione di dilatare i temi della discussione perché dalle molteplici esperienze di Pasolini come autore, scrittore, poeta, cineasta, potremo avere delle illuminazioni più vaste di quelle ché si possono invece trarre da un artista che abbia svolto la sua attività soltanto nel campo della realizzazione cinematografica.

Pasolini con i suoi film ha sollevato molte polemiche; queste polemiche si sono appuntate a volle sul contenuto, a volte sulla struttura drammatica, a volte ancora sulla evoluzione dei personaggi, i quali sono apparsi questo punto i pareri sono stati davvero contrastanti ad alcuni del tutto privi di ogni contenuto morale, ad altri invece ricchi di un anelito morale Che li riscatta da ogni bassezza. Devo anche dire che i film di Pasolini hanno suscitato molte perplessità in certi paesi stranieri, fra cui debbo annoverare anche l'Unione Sovietica. Ricordo infatti che durante il convegno promosso dall'Associazione Italia-URSS a Roma, nell'ottobre del 1963, quando il discorso cadde sulle nuove correnti del cinema italiano (e naturalmente non poteva non essere ricordato Pasolini), il regista Ciuèrai, che nella generazione nuova del cinema sovietico appare come una forza di rinnovamento
e quasi d'avanguardia, espresse un giudizio piuttosto negativo sui di Pasolini ed in particolare su Accattone, affermando che il mondo pasoliniano non lo interessava trattandosi più di una esercitazione intellettualistica che di una realtà vissuta o sentita. Naturalmente non è che noi chiediamo a Pasolini di dirci una parola a questo riguardo, ma l'argomento potrebbe essere forse
motivo di discussione nel corso del nostro incontro.

R. : Vorrei fate una premessa, anche per mettere le mani avanti, perché mi trovo davanti a delle persone molto fresche di studio, io invece sono quattro, cinque anni che mi dedico selvaggiamente al mio lavoro: non leggo più quasi nessun libro e vado pochissimo anche al cinema. Quindi, purtroppo, mi può accadere di dare, alle domande che mi verranno rivolte, risposte lacunose o deludenti, specie se le domande verteranno su argomenti particolari.


D. (OMAR .ZULFICAR, 20 anno regia): Nell'ultima scena de La ricotta si vede una tavola piena di frutta di ogni genere; desidererei sapere quale significato più o meno allegorico ha quella frutta.

R.: Non è che abbia un significato allegorico così pesante come lei potrebbe lo volevo rappresentare semplicemente l'opulenza e la ricchezza della classe dirigente, cui appartenevano sia il produttore sia il regista, in quanto intellettuali, rispetto alla fame di Stracci. La cosa è molto ingenua; il film d'altra parte ha un'aria che per certi aspetti e certe situazioni si rifà alla vecchia comica. Quindi la tavola imbandita si contrappone, forse ingenuamente, in funzione di effetto comico figurativo, alla fame di crocefisso. Questo è quel che volevo rappresentare con quella tavola imbandita.


D. (ZULFICAR): Però Stracci sulla croce è morto perché non poteva digerire quello che troppo avidamente aveva mangiato poco prima.

R. : lo non so per quali cause Stracci muore: probabilmente muore d'infarto dovuto all'eccesso di cibo mangiato. Ripeto però che quella tavola aveva ed ha semplicemente la funzione di contrapporsi in maniera clamorosa, figurativa, spettacolare, alla fame di Stracci: da una parte tutto il ben di Dio, dall'altra il povero Stracci morto per fame anche se questa fame in quel momento si presenta come una mortale indigestione.


D. (NAZARENO NATALE, 1° anno recitazione): Nel film Accattone e poi in Mamma Roma quello che più mi ha colpito è il contrasto tra il mondo reale, crudo, puzzolente se si vuole, ed il lirzsmo che è sempre presente nella musica. Io vorrei sapere quale funzione attribuisce a questa musica ed in particolare se con quel genere di musica voglia sottolineare il mondo interiore dei suoi personaggi.

R. : Si, certamente. La mia visione del mondo è sempre nel suo fondo di tipo epico-religioso; quindi anche e soprattutto in personaggi miserabili, che sono al di fuori di una coscienza storica, e nella fattispecie, di una coscienza borghese, questi elementi epico-religiosi un ruolo molto importante. La miseria è sempre, per sua intima caratteristica, epica, e gli elementi che giocano nella psicologia di un miserabile, di un povero, di un sottoproletario, sono sempre in un certo qual modo puri perché privi di coscienza e quindi essenziali. Questo mio modo di vedere il mondo dei poveri, dei sottoproletari, risulta, credo, non soltanto dalla musica, ma anche dallo stile stesso dei miei film. La musica è l'elemento, diciamo, di punta, l'elemento clamoroso, la veste quasi esteriore di un fatto stilistico più interno. E questo fatto stilistico più interno al film è lo stile del film. Infatti io ho dato al film questa musica per rendere più esplicito un fatto che molti spettatori avrebbero certamente afferrato da soli, come nel suo caso. Lei è uno degli in grado di capire certe cose, e allora forse è stato un pochino distratto dalla musica, dal fatto clamoroso di questa musica che in realtà non è che la veste, ridi un modo di girare, di vedere le cose, sentire i personaggi, modo che si realizza nella fissità, in un certo senso, ieratica delle mie inquadrature, soprattutto in Accattone che dei due film è quello che mi è riuscito meglio, fissità — che io scherzosamente chiamo romanica — dei personaggi, nella frontalità delle inquadrature, nella semplicità quasi austera, quasi solenne delle panoramiche ecc. lo credo che sono sulla linea di quella che è la musica che commenta immagini.


D. (allievo straniero): I suoi film mi hanno colpito molto perché lei già dal suo primo film dimostra di possedere una elevata capacità professionale che molti registi raggiungono dopo dieci o più anni di mestiere. Vorrei ora lei ci spiegasse come lavora, e cioè come passa dal soggetto alla sceneggiatura ed infine come realizza il film, perché penso che la sua maniera di lavorare sia molto diversa dai tradizionali sistemi professionali.

R. : Accattone appare come la mia prima opera cinematografica a chi non conosca completamente la mia biografia dall'interno come la conosco io. Può essere sorprendente che io di punto in bianco abbia fatto un film come Accattone, ma io in realtà, quando avevo la vostra età e studiavo a Bologna, amavo moltissimo il cinema e avevo già in testa di venire proprio qui al Centro Sperimentale. Poi invece è venuta la guerra e ho dovuto rinunciarvi. La mia passione per il cinema è uno degli elementi di formazione culturale biografica più importanti e quindi è tutta una vita che io penso, in fondo, al cinema, tanto è vero che alcuni racconti del '50 pubblicati su una rivista e che voi forse non avete letto, e che ripubblicherò presto — me ne ricordo in particolare uno che era intitolato « Studi sulla vita di Testaccio » scritto nel '50, circa dieci anni prima di Accattone avevano degli elementi quasi da sceneggiatura cinematografica: parlavo infatti di carrellate, di panoramiche, ecc. E poi anche in « Ragazzi di vita che scritto nel '51, è uscito nel' '55, molte scene, quale per esempio quella dei ragazzi che fanno il bagno nell'Aniene insieme con "dei cani, come mi è stato fatto notare anche dai miei amici, sono scene visive, figurativamente cinematografiche. Questo per dire come non sono arrivato improvvisamente ad Accattone. Non soltanto, ma prima di Accattone avevo scritto quattro o cinque sceneggiature di cui alcune impegnative. Per esempio la prima delle sceneggiature, in collaborazione con Bassani, è stata La donna del fiume, un film con Sophia Loren, poi ne ho scritte altre tre in collaborazione, poi ho lavorato a Morte di un amico di Rossi che era un'opera mia praticamente, e a La notte brava. Quindi allorché sono arrivato ad Accattone avevo già un'impostazione cinematografica abbastanza ben definita. Questo per darvi degli elementi esteriori della mia storia di regista; quanto agli elementi interiori il discorso è più difficile. Sono arrivato al cinema senza nozioni professionistiche, tanto che ancora adesso quando sento il mio operatore parlarmi di foto flou, io non so che cosa sia la foto flou, così pure ancora mi sfuggono infiniti altri elementi tecnici che per una mia forma mentis sono incapace di afferrare. Quando ho incominciato a girare Accattone io non sapevo il significato della parola « panoramica », che credevo fosse un campo lunghissimo; ho saputo dopo invece che panoramica è un movimento della macchina. Quindi sono arrivato effettivamente ad Accattone con una grande preparazione intima, una grande carica di passione cinematografica e di modo di sentire idealmente l'immagine cinematografica, ma con una totale impreparazione tecnica, che era però compensata dal mio modo di vedere le cose. Avevo cioè talmente chiare nella testa le scene del film che non avevo bisogno di elementi tecnici per realizzarle, non mi occorreva sapere che la « panoramica » si chiama « panoramica », per fare un movimento di macchina che mostrasse i muretti scrostati del Pigneto.


D. (allievo straniero): Dai suoi film traspare una autenticità, quasi propria del « cinéma-vérité » che mi ha toccato profondamente. Le domando ora se questa atmosfera di verità era già prevista in sceneggiatura, oppure è il frutto di occasioni colte durante le riprese. 

R. : Questa verità è anteriore ad ogni tecnica. Se lei legge la sceneggiatura di Accattone, vi troverà tutti gli elementi del film. Nella sceneggiatura c'era già tutto e nulla ho inventato ed ho improvvisato in fase di ripresa, salvo piccoli ed irrilevanti dettagli; cioè ho rispettato fedelissimamente la sceneggiatura, benché fosse buttata giù in maniera abbastanza approssimativa, un po' da appunto, come cosa da farsi più che come cosa fatta. Tuttavia quando ho steso la sceneggiatura io avevo già in mente cosa dovevo fare e cosa avrei fatto dopo, girando. Naturalmente poi tra film e sceneggiatura c'è un salto qualitativo, e qui esprimermi oralmente è molto difficile — anche scriverlo è stato difficile perché io manco ancora di terminologia per parlare di cinema. C'è quel salto qualitativo proprio del passaggio dalla sceneggiatura all'opera realizzata. lo avevo in mente il film, ho fatto la sceneggiatura avendo presente anche l'immagine che poi avrei fotografato; tuttavia il film alla fine è risultato cosa nuova, una cosa che ho fatto proprio veramente lì per lì come quando si scrive, io posso prendere degli appunti per una poesia, ma poi quando ho scritto una poesia mi accorgo che gli appunti e la poesia sono cose diverse con lo stesso salto che c'è tra una sceneggiatura e un film. Quindi non posso risponderle chiaramente, non posso dirle: nella sceneggiatura c'era già tutto, come effettivamente c'era. Tuttavia la scelta di quel marciapiede anziché di un altro marciapiede, la scelta di quella luce anziché di un'altra luce, di quei personaggi anziché di altri personaggi, ha fatto sì che alla fine Accattone fosse totalmente diverso da quello che avevo visto nella sceneggiatura. Cioè nella sceneggiatura io avevo visto lo schema delle scene che compongono il film e questo schema l'ho riempito fedelmente, ho cercato di riempirlo di una sostanza veramente viva, di elementi poetici, o se volete di poesia.
 
D. (GIUSEPPE FRANCONE, allievo direzione di produzione):
Fra Accattone e La rabbia vi è un salto che è soltanto apparente a mio avviso. Nella Rabbia vi è un momento molto importante in cui lei dice: quando saranno finiti i contadini, gli artigiani, quando il circolo della produzione sarà finito. Mi pare che con questo lei comincia a prefigurare il mondo dell'angoscia post-borghese, il mondo della società tecnologica dei consumi e in questo senso mi pare che si inserisca un poco in lutta quella problematica più autenticamente europea, borghese, nella tematica dei personaggi della Sub-umanità, alla Becket tanto per dire. Ora per questo il salto è soltanto apparente, perché vi è un legame molto intimo fra la sub-umanità, la primordialità di certi personaggi alla fine dell'esperienza borghese, e la sub-umanità e la primordialità di questi personaggi del sottoproletariato che non sono arrivati ad acquistare una dimensione, una vita cosciente. Lei ha una visione un poco sconfortata, pessimistica, religiosa ma non cristiana, della vita per cui questi personaggi non possono assolutamente redimersi, c'è soltanto un vago senso di speranza. E mi pare che questo senso, questa vistone delle cose è uno dei fatti più poeticamente interessanti di questa stagione letteraria, italiana e non solo italiana. Tuttavia quando qualcuno le fa notare che non è un realista, che non ha operato il famoso mitico passaggio dal neorealismo al realismo, lei si giustifica dicendo che innanzi tutto il cinema non ha la stessa precisione semantica della parola e che lei ha concepito Accattone in un momento di sconforto, cioè l'estate de! governo T ambroni. A me questa sua sua difesa non pare giusta perché, allora, se lei accetta certi miti, certi pregiudizi mitici, dovrebbe al limite finire per accettare quella visione dei sovietici, di cui parlava il Direttore, secondo la quale questi personaggi rappresenterebbero un elemento di alienazione per lei. Tutto questo dovrebbe portarla alla fine ad accettare, sia pure involontariamente, una visione dzanovista della cultura, della vita, della realtà, dzanovista e stalinista, che invece lei chiaramente respinge con la Rabbia. 
E poi ancora una domanda: occorre utilizzare l'arte per costruire i! socialismo o piuttosto fare un socialismo per essere liberi e per poter fare finalmente l'arte? Le ho posto la domanda perché mi sembra che lei non abbia ancora fatto una precisa scelta in questa alternativa. 

R. : Le sue domande sono addirittura una mitragliata. Dovrei avere a disposizione almeno un'ora per rispondere a tutte le sue domande e per parlare di tutti questi problemi che lei ha toccato. Comincerò comunque dall'ultima. Il secondo corno della domanda è quello naturalmente a cui io tendo; quindi su questo punto non possono esserci dubbi. 
Andiamo indietro: quanto alla mia difesa di Accattone rispetto a certe polemiche forse lei non è stato preciso nel cogliere i punti di queste polemiche ed il senso della mia risposta; cioè io rispondevo, adducendo le ragioni da lei ricordate, a coloro che mi dicevano che in un certo senso Accattone era più indietro di Una vita violenta, e non a chi mi diceva che non mi era riuscito il passaggio dal neorealismo al realismo. Su questo punto lei dovrebbe documentarsi e dirmi dove ho scritto cose di questo genere. Comunque i due problemi sono distinti, e cercherò di chiarirli. Accattone è nato in un momento di sconforto, cioè durante l'estate del governo Tambroni, e perciò in un certo senso Accattone è una regressione rispetto a Una vita violenta. 
Una vita violenta era nata negli anni cinquanta prima della crisi stalinista, cioè quando ancora la speranza, così come si era configurata prospetticamente con la Resistenza e nell'immediato dopoguerra, era ancora viva, era un fatto reale, che rendeva parimenti  viva e reale la prospettiva di Una vita violenta, cioè il passaggio di Tommaso Puzzilli attraverso fasi contradditorie, cioè dal puro teppismo-fascismo, alla tentazione della vita per bene democristiana, finalmente al comunismo. Questo in Accattone non c'è; ed effettivamente da un punto di vista strettamente, diciamo così, di precettistica comunista, Accattone torna indietro ed è un pò una involuzione rispetto a Una vita violenta. lo, allora, giustificavo questo con elementi storici, con mie esperienze biografiche particolari che pur contano nella vita di un autore. Una estate non è nulla in confronto ad un secolo, ma è molto nella vita di un autore che esaurisce la sua attività nel giro di pochi anni. Riguardo poi ai rapporti tra neorealismo e realismo non ricordo bene come fosse impostata la questione, tuttavia, sulla base di quel che lei ha detto, mi sembra un pochino impostata in modo schematico. Evidentemente quando si dice neorealismo e realismo si è un pò dentro uno schema, e dentro uno schema ci si dibatte un pò confusamente. E allora devo dire che per stabilire se nei miei film c'è un passaggio dal neorealismo al realismo, prima di tutto evidentemente occorre stabilire che cosa è il realismo in senso assoluto e non credo che il concetto sia stato raggiunto anche perché questo realismo assoluto è indefinibile, è un fateto che si può definire soltanto a posteriori. Comunque nei miei film ci sono degli elementi tecnici, degli elementi anche esteriori, degli elementi stilistici che fanno sì che le mie opere, anche se non del tutto realistiche nel senso pieno, integrale della parola, che ritengo indefinibile, non sono più nemmeno neorealistiche. Infatti certi elementi presenti in Accattone e Mamma Roma, quali la mancanza di sollecitazioni aneddotiche immediate della realtà, il modo con il quale giro i miei film, con cui concepisco l'inquadratura, le sequenze e l'insieme dell'opera, che è chiusa e non opera aperta, che è un insieme epico e non un insieme di aneddoti e di sollecitazioni liriche della realtà, tutto questo fa sì che Accattone e Mamma Roma' non appartengano più, benché vi abbiano le loro radici, alla sfera neorealistica, all'ambito neorealistico. 
In quanto al resto non saprei risponderle; forse avrei saputo farlo con grande precisione un anno o due anni fa; in questo momento non saprei dirle a che cosa tendessero realmente queste mie opere perché tutto il mio mondo ideologico in questi due anni è entrato un pochino in crisi, le idee non sono più chiare come erano due anni fa. Le mie opere sono quel che sono, adesso potrei guardarle con un occhio di critico distaccato ma non potrei presumere in questo momento di dare una definizione di quello che volessero essere in quanto opere realistiche. Andiamo ancora un po' indietro nelle sue domande e precisamente al primo punto che mi sembra il più interessante: cioè qual'è il mio rapporto di scrittore, che si è occupato del sottoproletariato nella maggior parte della sua opera, con una nuova, diciamo così, situazione ideologica letteraria di questi due ultimi anni, che lei ha chiamato europea e che lei definisce come prodotta dal mondo della tecnologia ecc. ecc. Secondo me, lei ha prevaricato un pò le mie intenzioni quando paragona il personaggio borghese in stato di esaurimento ideale e spirituale al personaggio subumano, alla subumanità dei miei personaggi sottoproletari. Mi sembra Che l'avvicinamento sia un pochino esteriore: evidentemente il borghese alienato, l'operaio alienato, la mancanza di umanità di una certa società può avere qualche somiglianza, esteriore, schematica, con certa mancanza di umanità di personaggi sottoproletari. Però, secondo me,  questo accostamento è soltanto esteriore perché i due fenomeni sono opposti: il sottoproletariato, infatti, è solo apparentemente contemporaneo alla nostra storia, le caratteristiche del sottoproletariato sono preistoriche, sono addirittura precristiane, il mondo morale di un sottoproletario non conosce cristianesimo. I miei personaggi, per esempio, non sanno che cos'è l'amore in senso cristiano, la loro morale è la morale tipica di tutto il meridione d'Italia, che è fondata sull'onore. La filosofia di questi personaggi, benché ridotta a brandelli, ai minimi termini, è una filosofia precristiana di tipo stoico epicureo, sopravvissuta al mondo romano e passata indenne attraverso le dominazioni bizantine, papaline o borboniche. Praticamente il mondo psicologico del sottoproletariato è preistorico, mentre il mondo borghese è evidentemente il mondo della storia. Ora i borghesi, non tanto italiani, quanto probabilmente americani o forse di qualche stato dell'Europa settentrionale molto avanzato, vanno verso forme di privazione di umanità a causa della tecnologia che sta soppiantando l'umanesimo, ma questo non ha niente a che fare con la subumanità dei miei personaggi. Quello che io intendevo dire nella Rabbia è una cosa un pò confusa in me, una idea irrazionale ancora, non ben definita, non determinata che è presente in tutta la mia opera di questi anni e che sarà il motivo dominante del libro di versi che sta per uscire in questi mesi: è l'idea di una nuova preistoria. E cioè i miei sottoproletari vivono ancora nell'antica preistoria, nella vera preistoria, mentre il mondo borghese, il mondo della tecnologia, il mondo neocapitalistico va verso una nuova preistoria e la somiglianza fra le due preistorie è puramente casuale. Evidentemente sono due fateti totalmente diversi. Però vorrei aggiungere una postilla: l'obiezione che lei mi ha fatto sarebbe stata giusta e mi avrebbe molto colpito e forse mi avrebbe messo in crisi, tre o quattro mesi fa; adesso è successa una cosa dolorosa per tutti noi, che in realtà mi dimostra come ben poco sia cambiato dal tempo in cui scrivevo « Ragazzi di vita» e « Una vita violenta ». Quando si parlava di benessere, di ottimismo neocapitalismo, del mondo che andava ormai fatalmente verso una autodefinizione tecnologica, che usciva dall'umanesimo, dal Cristianesimo, e andava verso la civiltà delle macchine ecc. ..., sembrava ormai una cosa attuale, pareva che già ci vivessimo dentro a questo mondo; invece la crisi economica che ha colpito il nostro paese dimostra come in realtà queste cose avverranno, stanno anzi avvenendo già in certe nazioni molto più avanzate di noi, forse in America, ma che in Italia siamo ancora lontani da questo mondo. Recentemente ho fatto un giro nell'Italia meridionale per cercare i posti ed i personaggi per il nuovo film che sto preparando e ho visto come tutta l'Italia meridionale, che è metà della nostra nazione, è esattamente quella che era dieci anni fa; sì, nei paesi pugliesi c'è un grattacielo in più, ma questo è tutto quello che è cambiato in fondo nell'Italia meridionale. Può sembrare che io corra un pò troppo per forza d'inerzia nell'abbrivio ideologico di questa mia visione, ma in realtà se ci guardiamo un pò meglio intorno, ci convinceremo che bisogna ridimensionare l'ottimismo conoscitivo, non so, di Umberto Eco e di altri ideologi del mondo tecnologico, che è un mondo che sta per sopravvenire, ma che ancora è ben lontano dall'essere il nostro mondo. 
Probabilmente sino ad oggi io sono stato fazioso, eccessivo come sempre mi succede quando mi metto a fare qualcosa; d'altra parte non so perché uno scrittore, un cineasta, che abbia ambizione di poesia e non di puro documento non debba buttarsi come un corpo morto su quello che fa. Ora, evidentemente, quando io scrivevo e parlavo del sottoproletariato ero tutto dentro quel mondo, non potevo occhieggiare verso quel che era fuori perché altrimenti avrei perso la mia coerenza, il mio vigore, l'integrità di quel mondo e avrei aperto delle fessure nello stile, ne avrei incrinato la compattezza. Non vorrei però che qualcuno cadesse nell'eccesso contrario, cioè nel considerare il mondo sottoproletario come completamente finito. E questo era successo effettivamente in questi ultimi anni: infatti tutti, i critici borghesi ed anche gli stessi comunisti, avevano finito per convincersi che il mondo del sottoproletariato non esistesse più. Ed allora io cosa dovevo fare di questi venti milioni di sottoproletari? Metterli in un campo di concentramento, distruggerli nelle camere a gas? C'era quasi un atteggiamento razzistico verso i sottoproletari, come gente di un mondo che non esisteva più; ci si era messa una pietra sopra mentre loro, poveracci, continuavano ad esistere. Quindi va bene ridimensionare il mio eccesso d'interesse verso questo mondo, ma evidentemente va corretto anche l'eccesso contrario di vedere già realizzato tutto un mondo che è invece ancora di là da venire. La crisi di questi mesi ha ridimensionato un po' gli italiani e li ha illuminati sulla vera situazione del nostro paese. L'Italia del nord, quella di Milano, Torino ecc. va a vele spiegate verso una nuova era, dominata dalla tecnologia, verso una nuova preistoria, però l'altra metà d'Italia è ancora nella preistoria vera. Il mondo va sistemato così e nelle mie opere future cercherò appunto di tener conto di questo ridimensionamento della realtà italiana. 

Fine prima parte

----> Segue sotto


Qui trovi la seconda parte


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Curatore, Bruno Esposito

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