"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Intervista a Pasolini
Sade 1944
Il cinema in forma di poesia
a cura di Luciano De Giusti
Pordenone, Edizioni Cinemazero, 1979
pp. 172–177
Momenti della conferenza-stampa sul set di Salò o le 120 giornate di Sodoma, il giorno prima della fine delle riprese.
Pasolini. … Nella scenografia di Salò, i lustrini, tutto ben lucidato, i mobili, una raccolta di quadri preziosi: è venuta fuori una crosta di perbenismo borghese che è prevalsa sulle intenzioni che avevo. E poi la coreografia nazi-fascista: quattro bandiere, due candelabri… Senza volerlo, queste cose hanno assunto una grande importanza visiva, credo.
Domanda. Lei dice che è prevalsa sulle intenzioni che aveva. Quali erano le intenzioni iniziali?
Pasolini. Le intenzioni erano queste, ma credevo che fossero degli elementi poco importanti nel film: invece piano piano, a forza di accumularsi scena per scena, sono diventati degli elementi prevalenti, almeno dal punto di vista visivo, e quindi visionario, e dunque, penso, sostanziale.
Domanda. Il discorso centrale politico è un discorso sull’anarchia del potere: possiamo parlarne più ampiamente?
Pasolini. Sì. Tutto questo è molto interiorizzato nel film, cioè non è un film didascalico: chi vuol comprendere comprenda e chi ha orecchie per intendere intenda. In realtà, questo film si presenta molto come visionario; però è chiaro che tutti questi elementi ci sono, cioè risultano implicitamente: il quaderno dei regolamenti in cui i signori codificano le loro follie, questo c’è, ed è molto chiaro. Anzi, ad un certo punto addirittura uno di loro, siccome questi quattro signori teorizzano continuamente su quello che fanno, e teorizzano non soltanto con le parole di De Sade (che io ho raccolto in tutta l’opera, e non soltanto nelle 120 Giornate di Sodoma) ma anche attraverso le parole di Blanchot, per esempio…
Domanda. O di Klossowski…
Pasolini. … cioè ho aggiunto a De Sade gli interpreti di De Sade; certe cose sull’anarchia del potere, dicevo, sono dette esplicitamente dagli attori. Ora, questo potere è in realtà, in concreto, il potere nazi-fascista, solo che diventa simbolo del potere in generale. E la ragione profonda che mi ha spinto a fare il film, io credo, (non sono sicuro, ma lo credo), è il vedere proprio ciò che oggi è il potere. Cioè la manipolazione totale, completa che il potere sta facendo delle coscienze e dei corpi della gente.
Domanda. Lei dice che non è un film didascalico. A questo punto, quello che chiamiamo grosso pubblico cosa potrà recepire di questo film?
Pasolini. Mah, questo che Le dico lo recepirà in quanto i personaggi stessi lo dicono, fino ad un certo limite…
Domanda. Ma tutte le implicazioni…
Pasolini. … beh, tutte le implicazioni che ci sono dentro un film purtroppo è sempre un’élite a capirle. Questo è fatale, direi, ma è fatale per qualsiasi cosa si faccia: non soltanto cinema o letteratura o teatro, ma anche politica.
Domanda. Lei che punto di identificazione trova tra il potere nazi-fascista di allora, cioè quella che era l’interpretazione del potere di Hitler, e il potere di oggi? Era meno pericoloso forse?
Pasolini. Eh, no, perché la libertà prima è quella del mio corpo: se non ho la libertà del mio corpo tutto il resto… Cioè, esercitava con violenza inaudita la mercificazione del corpo, trasformava i corpi in cose. I sei milioni di ebrei morti, i due milioni di polacchi ecc. non sono che il caso limite estremo della trasformazione del corpo in oggetto manipolato dal potere. Ora, questo è un fenomeno generale, come dice Marx: il potere, il capitalismo mercifica il corpo, e mai come durante il nazi-fascismo questa cosa è stata anche visiva, concreta, fisica. Il potere di oggi, secondo me, manipola più profondamente le coscienze. I corpi li manipola nel senso che li deforma secondo un certo gusto consumistico.
Domanda. Non è peggio oggi?
Pasolini. Forse da un punto di vista millenaristico, non lo so. Non cerchiamo un confronto: diciamo che sono due cose orribili, tutte e due. Da quanto io mi ricordo, al mondo di Mussolini e di Hitler, allora, si contrapponeva un mondo che non era né buono né cattivo ma che era anche buono, cioè il grande mondo dei contadini, degli artigiani, dei sottoproletari, e anche della piccola borghesia innocente, diciamo così. Oggi davanti a una miriade di piccoli Hitler questo mondo che è anche di bontà, di mitezza, di umanità ha meno peso, sta scomparendo sempre di più; il che significa che il potere ha più capacità di trasformare le coscienze.
Domanda. Questo mondo «buono» entra in qualche modo nel film?
Pasolini. No, perché le vittime non è che siano molto migliori dei signori: soltanto uno — ma questo non ve lo dico perché voglio che sia una sorpresa — soltanto uno improvvisamente ha un attimo di coscienza politica, e getta un’improvvisa luce su tutto il film.
Domanda. È un personaggio noto storicamente?
Pasolini. No, non c’è niente di noto storicamente: tutto inventato. Ma le vittime stanno quasi al gioco, insomma. E d’altra parte era impossibile creare delle vittime troppo struggentemente simpatiche, perché altrimenti il film sarebbe stato insopportabile: ho dovuto bilanciare un po’, insomma, i carnefici e le vittime.
Domanda. Prima mi sembrava di capire che per Lei il mondo buono fosse precipuamente il mondo contadino, o contadino in quel senso lato. Ora, stavo pensando ad un film jugoslavo che ho visto di recente, in cui si vede la ferocia di certi costumi tribali, proprio in quel mondo…
Pasolini. Va bene, ma questo si sa. Questo è talmente ovvio che è offensivo dirlo… No, io non ho detto che c’era un mondo buono: ho detto che c’era un mondo né buono né cattivo, che è quello che è, che era anche buono. Penso ai contadini friulani che io vedevo coi miei occhi portare, a rischio della loro vita, delle pagnotte o dell’uva ai soldati dentro i vagoni piombati… Sarei ridicolo se dicessi che c’è un mondo buono, sarei sentimentale; non ci credo a questa cosa del mondo buono: dico un mondo che ha certi valori, ecco, che hanno dato anche delle grandi cose. Non so, hanno dato il duomo di Orvieto e la mitezza dei contadini friulani che a rischio della loro vita portavano la pagnotta ai soldati.
Domanda. A proposito del fatto che le vittime non sono migliori dei carnefici, non c’è il pericolo che poi Almirante Le mandi un telegramma di ringraziamento? Voglio dire, non c’è il rischio di diminuire, rendendola astratta, una realtà storica ancora molto vicina?
Pasolini. Adesso non fraintendetemi: non è che voglia dire che sono migliori o peggiori politicamente. Politicamente sono molto migliori: loro però individualmente, in quanto vittime in questo film, come facce, come modo di comportarsi, non ho voluto farle così tenere, così struggenti, così buone da strapparvi il cuore, ecco.
Domanda. Ma io temo il pericolo che l’autentica e realistica atrocità di questo periodo venga in un certo senso sfumata nell’astratto…
Pasolini. C’è questa possibilità, ma è voluta: non ho voluto rievocare storicamente, anzi storicisticamente, quel periodo… Comunque, guardi, contro Salò e contro i fascisti c’è quanto basta: Almirante non potrà dir niente, stia tranquillo.
Domanda. In che misura Lei è intervenuto per adattare il testo di Sade alla Sua visione delle cose?
Pasolini. Non ho cambiato quasi niente, la lettera è molto rispettata: cioè gli episodi sono quelli, le torture, le sevizie sono quelle, la regolamentazione è quella di De Sade… è rimasta la scorza, diciamo così. Ma l’ideologia di De Sade non è la mia, questo no: è l’ideologia dei personaggi, quindi fa parte della rappresentazione, l’ideologia di De Sade fa parte di ciò che io rappresento. Ma non la condivido in nessun modo. La condivido nel senso che io condivido il suo estremismo, ecco: la pagina di De Sade è una pagina estremamente rivoluzionaria. Ha creato quel lucido scandalo illuministico, straordinario, senza confini e senza limiti, che io ammiro. Che ammiro con Klossowski, che ammiro con Blanchot, che ammiro con la miglior critica contemporanea, insomma. De Sade non ha la pagina dello scrittore, però ha la struttura del grandissimo scrittore.
Domanda. Prevede difficoltà di censura per l’ennesima volta, questa volta forse per duplici motivi?
Pasolini. Suppongo che ci saranno: speriamo di vincerle. Oggettivamente, ci saranno delle lotte da fare, sicuramente.
Domanda. Ha già nuovi progetti?
Pasolini. Sì, il film che dovevo fare prima di questo e che invece faccio dopo. È un film con Eduardo De Filippo e con Ninetto Davoli, che è un pochino il calco di Uccellacci e Uccellini, ma viene in un mondo completamente diverso e ha un altro contenuto.
Domanda. E il titolo, ce lo può dire?
Pasolini. Sono incerto tra due o tre titoli. Quello provvisorio è Ta Kai Ta, che in greco vuol dire «questo e quello»: è una frase di San Paolo…
Domanda. Le vittime, cos’hanno fatto? Sono politiche?
Pasolini. Sono scelte a caso. Alcuni sono stati presi attraverso dei rastrellamenti, altri sono stati fatti rapire: c’è un esercito di ruffiani che va a rapire un certo numero di vittime, 50, 60, qua e là, e questi signori si scelgono quelle che gli piacciono di più.
Domanda. Sono vittime totalmente innocenti, non hanno fatto niente?
Pasolini. Sì; casuali, più che innocenti. In principio credono anche loro che si tratti di un gioco, e non si rendono conto… Si rendono conto forse soltanto alla fine, quando non sono più in tempo…
Domanda. Specificamente quali saranno le scene che daranno più fastidio alla censura?
Pasolini. Queste sono cose che io non so mai immaginare! Molte, sono molte: sono quasi tutte. Però io non so dire quali particolarmente.
Domanda. Ma quali sono le più scabrose, le più…
Pasolini. Guardi, Lei apra a caso le 120 Giornate e vedrà, più o meno…
Domanda. E come ha scelto gli attori?
Pasolini. Ho fatto come faccio di solito. Come sempre, scelgo gli attori, diciamo così, a carattere popolare, o comunque innocente fra attori non professionisti, mentre scelgo i borghesi, coloro che sono coscienti ecc. tra gli attori professionisti; perché evidentemente non posso chiedere a un ingegnere o ad uno scrittore di venire a fare se stesso, e allora ricorro agli attori. E devo dire che sono molto contento degli attori che ho scelto.
Domanda. Il testo è scritto da Lei? Non ha avuto collaboratori?
Pasolini. No. L’ho cominciato con Sergio Citti — ho detto all’inizio che la cosa era stata offerta a lui — e l’abbiamo fatta un po’ insieme, la sceneggiatura. Poi dal momento che l’ho fatto io il film ho portato alcune modifiche.
Domanda. La fotografia è cupa, ossessiva…
Pasolini. Io vorrei tentare di farlo in bianco e nero. Cioè, l’ho girato a colori, ma ho fatto una scelta di colori assolutamente coerente; visto che erano soprattutto degli interni, dunque ho fatto già una scelta di colori. Che è praticamente bianco e nero, cioè tutti grigi… E poi la moda dell’epoca si prestava molto, perché allora c’era molto grigio, molto scuro, molto nero, molto marron… Voglio fare questo tentativo, di farlo in bianco e nero, forse con una sola scena a colori. Se non mi riesce, lo faccio a colori, però sono colori molto scelti; più degli altri film, in cui dovevo accettare i colori della realtà…
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