"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
L' impossibile dramma dell'ultimo Pasolini
di Gian Carlo Ferretti
Rinascita
2 luglio 1971
pag. 22 e 23
( © Questa trascrizione da cartaceo, è stata curata da Bruno Esposito )
Pasolini torna (editorialmente) alla poesia, raccogliendo versi editi e inediti scritti e progettati nei sette anni trascorsi dall'uscita di "Poesia in forma di rosa". II nuovo volume (Trasumanar e organizzar, Garzanti, pagg. 205, lire 2.200) appare molto composito, ma è facile cogliervi almeno un motivo fondamentale; le scelte o non scelte (e relativo, costante interrogarsi) del poeta di fronte ai fatti più brucianti della cronaca politica recente (dal movimento studentesco alla strage di piazza Fontana, dalla guerriglia sudamericana alla battaglia delle riforme e così via).
L'atteggiamento di Pasolini è, come sempre, profondamente contraddittorio, segnato da un'« ambiguità consapevole e anche dichiarata: egli vive questi fatti e problemi come « straripanti casi personali », sul terreno di una poetica dominata da drammi segreti della coscienza e antiche, tenaci mitologie. Sì che è necessaria una lettura che vada al di là di una critica meramente letterale e polemica di questo o quel giudizio, spesso assai discutibile sul piano politico immediato.
Nè — analogamente — sarebbe corretto derivare in modo meccanico una valutazione limitativa di questa raccolta, da un'analisi strettamente ideologica dei suoi contenuti; nel senso cioè che — nello scontro, caratteristico dell'opera pasoliniana, tra natura e storia, visione di un mondo come gerarchia immobile e orizzonte classista, populismo evangelico-viscerale e marxismo, disfrenamento sensuale e razionalità — in questo scontro, appunto, è il primo momento che ormai prevale. Si tratta piuttosto (e non è una novità, anche per Pasolini) di considerare in che modo questo scontro è vissuto, con quale tensione e a quale livello di consapevolezza.
C'è anzitutto nella raccolta, un gruppo di contraddizioni più direttamente connesse alla polemica che Pasolini porta avanti da tempo nei confronti del PCI, sulla possibilità o meno di una vera azione rivoluzionaria nell'occidente e in Italia (ma anche nel Terzo Mondo). Da un lato egli afferma la necessità della << violenza >> e la condanna di ogni falso neutralismo << imparziale >> e incolpevole; e dall'altro, teorizza la rinuncia alla lotta come ormai inutile, in un mondo che gli appare dominato da generazioni vecchie e responsabili di tante rivolte mancate, di tante << chiese >> ricostruite, di tante eresie approdate a nuove forme di ortodossia. Ancora: Pasolini critica in queste stesse generazioni la << restaurazione di sinistra >>, la trasformazione della << libertà >> in << dovere >>, degli ideali antifascisti in un diverso << ordine >>; ma al tempo stesso accetta le << istituzioni >> come unica sede possibile di vita collettiva e di rapporto con le masse. Si sente, insomma, un inguaribile, solitario eretico sempre tagliato fuori dal gioco, ma anche un << folle moderato >>.
Nei confronti dei movimenti giovanili di contestazione le contraddizioni di Pasolini sono meno radicali, ma il suo resta pur sempre un atteggiamento diviso, e comunque diverso dall'assiomatica condanna contenuta in una sua clamorosa poesia del 1968, non raccolta in questo volume. Egli distingue i << fratelli minori >> dai << maggiori >>, gli studenti più giovani, cioè, da coloro che sono stati i protagonisti della contestazione; reincarnando nei primi la sua antica mitologia di un'infanzia e adolescenza incontaminata, e nei secondi la prefigurazione del mondo corrotto e autoritario degli adulti, la ritornante << ansia di ordine >> che li avvicinerebbe ai «padri », una carica prevaricatrice e terroristica e neozdanoviana che nasconderebbe. in sé un fondo inguaribilmente borghese. Assai precaria, peraltro, quella mitologia (Pasolini ne è ben consapevole),' fatalmente insidiata dalla maturità; un esercito di << pulite, innocenti schiere >>, che agli occhi del poeta — i << padri >> detentori del potere continuamente riassorbono nel loro sistema; un << terrore >> più << benigno >> di quello portato dai fratelli maggiori, capace forse di far << capitolare tabù e fiorire riforme >>, ma - conclude Pasolini - destinato pur esso all'<< integrazione >>.
La contestazione giovanile rappresenta comunque, per il poeta, un momento di crisi, una rottura dalla quale egli non può prescindere, anche se poi non sa (non può) trarne tutte le conseguenze. E' questo il motivo di fondo più sentito e nuovo e intenso della raccolta, da cui nasce quella poesia della sconfitta di cui diremo. Costretto a un impietoso riesame autocritico, Pasolini avverte la fine della propria esperienza di inguaribile diverso, della propria eresia estetico-viscerale, del proprio individualismo assoluto, cui solo la << poesia della tradizione >> poteva dare un senso; ma non sa staccarsi del tutto dalla vecchia cultura e natura, anzi considera << sfortunata >> la generazione dei giovani che quella stessa tradizione ha liquidato con freddo << pragmatismo >>, contribuendo con ciò
- egli dice - con questa tabula rasa di un ingombrante passato, alla creazione dei << nuovi spazi >> di cui il sistema dei << padri >> aveva bisogno.
Lo stesso atto dello scrivere, del poetare, è segnato in Pasolini da una lacerazione: egli teorizza (fin dal risvolto) la rinuncia a << ogni tentazione di letteratura-azione o letteratura-intervento >>, e riafferma la legittima << inutilità >> di una poesia vissuta come puro narcisismo: e tuttavia, di fatto, i suoi versi si misurano continuamente con la realtà più immediata, mentre del resto — in molti passi — è Pasolini stesso a definirli << completamente pratici >>, volutamente costruiti su << schemi letterari collaudati >>, rifuggendo da ogni << ispirazione >> e << originalità >>. Dove si ritrovano i poli opposti (illusoria autosufficienza e illusoria incidenza sulla realtà) tra i quali la letteratura continua ancor oggi a dibattersi.
La materia di questo libro è dunque complessa, policentrica e centrifuga al tempo stesso; molto più che nelle raccolte precedenti. Quello che colpisce, anzitutto, è l'estrema polverizzazione e dispersione dei motivi contraddittori che vi si agitano (di cui qui si è data solo una sommaria e parziale descrizione); più che accentrarsi in un componimento o in una sezione, essi si aprono tra sezione e sezione, tra poemetto e poemetto, quasi che Pasolini non riesca a viverli come dramma, come scontro, e sia costretto a lasciarli convivere l'uno accanto all'altro. A una poesia dei contrari, si direbbe, sembra succedere una poesia dei distinti, nella quale anzi affiora qua e là una certa tendenza alla conciliazione dei momenti giustapposti, che finisce per risolversi nell'accettazione passiva di una contraddittorietà imposseduta.
Può esserne spia, almeno in parte, il dissolvimento della struttura metrica in un movimento aperto ma prevalentemente prosastico, esplicitamente ragionativo e descrittivo, con una versificazione talora esterna, per frasi staccate e accumulate tra loro. Laddove la sbrecciata terzina delle Ceneri di Gramsci aveva espresso la sua contrastata tensione razionale, e il magma ribollente di Poesia in forma di rosa ne aveva segnato la fine, scontata fin nelle più intime fibre (viscerali e metrico-stilistiche), questo cursus continuo e uniforme sta forse a indicare una realtà non del tutto interiorizzata, ma sostanzialmente subita. E questo anche in una poesia contaminata come Patmos, in cui gli echi della cronaca di piazza Fontana, i ricantamenti retorico-nazionalistici in funzione polemica, le parole dell'Apocalisse di Giovanni, richiamano talora il collage.
Ma nonostante ciò è ben presente, anche in questa raccolta, un cospicuo gruppo di componimenti che riportano decisamente al Pasolini maggiore: laddove, in particolare, egli vive fino in fondo la sua condizione di inguaribile ambiguità, e conduce un riesame straziato della propria esistenza passata e condizione attuale; laddove, cioè, egli attinge a una lucida consapevolezza della propria incapacità a prendere posizione, a coprire un vero ruolo nella realtà (abbarbicato tenacemente a una diversità, a un'eresia di unico, che ha ormai perduto ogni carica di eversione); e tuttavia incapacità anche a consolarsi con la poesia (che di quella diversità è ancora la sopravvissuta, odiosamata espressione).
Qui egli tocca accenti e motivi nuovi rispetto al suo discorso passato: una mesta poesia della sconfitta, il senso di una precoce senilità, senza compiacimenti nè morbidezze, ma con una sotterranea vena autocritica e autopunitiva nei confronti della propria natura (e classe) individualistico-borghese. E' questo il nucleo ideale di un libro nel libro, mirabilmente compiuto. La poesia della tradizione ne è, in tal senso, il momento più alto, accanto a Richiesta di lavoro, La nascita di un nuovo tipo di buffone, e molte altre ancora (dove, non a caso, le strutture metrico-stilistiche, appaiono più organizzate e costruite). E' un'intera tradizione poetica e culturale, quella che si interroga nei suoi versi: << Che cosa comunico, se non comunico più, / se, tutto sommato, non ho mai comunicato / altro che il piacere di essere ciò che sono? / Ciò che mi insegnò mia madre? >>.
Gian Carlo Ferretti
Di seguito una lettera di ringraziamento scritta da Pier Paolo Pasolini, indirizzata a Gian Carlo Ferretti:
Caro Ferretti,
grazie per il tuo bigliettino; e grazie per la tua bellissima critica su «Rinascita», che mi ha consolato come facitore di versi, e un po’ spaventato come autore messo di fronte alle rovine del suo mondo. Chissà se scriverò mai più dei versi! «Meglio tacere quando ci si accorge di non essere ascoltati» dice il mio attuale Maestro, Chaucer, molto saggiamente. So del resto che alla tua critica, piena, anzi rigurgitante di cose, dovrei rispondere in ben altro modo che con un biglietto di saluto. Ma son qui con l’acqua alla gola – domani parto per l’Inghilterra, per il nuovo film2 – se non ti scrivo queste due righe adesso, chissà quando lo potrei fare – hai tutta la mia gratitudine, tu e Elsa Morante siete gli unici finora che mi hanno «ascoltato».
Ricevi un saluto affettuoso, e salutami anche i tuoi difficili e disperati studenti, tuo
Roma, luglio 1971
Pier Paolo Pasolini
( Tratta da: Antonella Giordano e Nico Naldini - Le lettere (Garzanti 2021-11) )
@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare |
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