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martedì 21 novembre 2023

La stesura originale della relazione di Pier Paolo Pasolini al convegno Erotismo Eversione Merce (Tetis) - organizzato a Bologna (15-17 dicembre 1973) dalla Commissione Cinema del Comune di Bologna e dalla Mostra Internazionale del Cinema Libero di Porretta Terme.

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dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

In fotografia Pier Paolo Pasolini durante un’intervista alla Festa de l’Unità di Bologna del 1974 (Archivio fotografico del Partito comunista italiano, Federazione provinciale di Bologna).


Qualche anno fa Contini 

mi ha fatto osservare 

come in greco Tetis 

voglia dire sesso 

(sia maschile che femminile)

La stesura originale della

Relazione di Pier Paolo Pasolini al convegno Erotismo Eversione Merce

organizzato a Bologna (15-17 dicembre 1973) 

dalla Commissione Cinema del Comune di Bologna 

e dalla Mostra Internazionale del Cinema Libero di Porretta Terme.


La Fondazione Gramsci Emilia-Romagna in occasione del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975) condivide il documento originale dell’intervento intitolato Tetis, che Pasolini pronunciò durante il Convegno Erotismo, eversione, merce, organizzato a Bologna (15-17 dicembre 1973) dalla Commissione Cinema del Comune di Bologna e dalla Mostra Internazionale del Cinema Libero di Porretta Terme.

Il documento fa parte dell’archivio di Aldo d’Alfonso, partigiano, giornalista, scrittore e assessore alla Cultura della Provincia di Bologna per due mandati dal 1970 al 1980.

L’intervento è anche pubblicato in:

Erotismo, eversione, merce, a cura di Vittorio Boarini, Bologna, Cappelli, 1974

Erotismo, eversione, merce, a cura di Vittorio Boarini, Nuova edizione a cura di Fabio Francione, Udine, Mimesis, 2019

Pier Paolo Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W. Siti e S. De Laude,  Milano, Mondadori, 1999, (pp. 257-264)

Il programma del convegno:



Intervento al convegno Erotismo, eversione, merce, organizzato a Bologna (15-17 dicembre 1973) con il proposito di «analizzare teoricamente la funzione sociale e quindi politica dell'Eros». il volume, a cura di Vittorio Boarini (Cappelli, Bologna 1973), comprende, fra gli altri, interventi di Félix Guattari, Alberto Lattuada, Nanni Loy, Fernanda Pivano, Gianni Scalia, Elémire Zolla. 


Le forme di un racconto letterario non sono solo tecnico-linguistiche: ci sono anche delle forme non verbali e quindi non reperibili nella pagina: per esempio, l'arco dello sviluppo di un personaggio, i tratti in evoluzione della sua psicologia. La critica strutturale, attraverso specchietti e grafici, è in grado di rendere "visibili" anche questi dati interni: ma si tratta di una visibilità astratta, statistica.

lunedì 20 novembre 2023

Abrogare Pasolini? - Corriere della sera, 26 luglio 1974, pag. 2, rubrica tribuna aperta

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Eretico e Corsaro



Abrogare Pasolini?

Corriere della sera

26 luglio 1974

pag. 2

rubrica tribuna aperta



Leggendo la risposta «ufficiale» di Maurizio Ferrara al mio intervento su Pannella, mi sono cascate le braccia. Dunque era vero. Tutta la polemica di Ferrara a nome del pci contro la mia persona, era fondata su niente altro che sull'estrapolazione di una frase dal mio testo («Corriere della sera», 10 giugno 1974), frase accepita letteralmente, e infantilmente semplificata. Tale frase è: «La vittoria del «no» è in realtà una sconfitta... Ma, in certo senso, anche di Berlinguer e del partito comunista.»

Ora, anche un bambino avrebbe capito la «relatività» di tale affermazione: e che mentre la parola «sconfitta», riferita alla DC e al Vaticano, suona nel suo pieno significato letterale e oggettivo, la stessa parola riferita al PCI, ha un significato infinitamente più sottile e composito. Anche un bambino avrebbe capito quanto c'è di paradossale nell'identificazione di due sconfitte in realtà così sostanzialmente differenti. Resta però il fatto che anche quella del PCI è comunque una «sconfitta», e questo non doveva essere detto. E se qualcuno lo avesse detto, non avrebbe dovuto venire in nessun modo ascoltato. Avrebbe dovuto - come dice Pannella - essere abrogato.

domenica 19 novembre 2023

Dibattito con Pier Paolo Pasolini: Il buio oltre il presente? Cominciando a parlare di Roma e dei giovani - «Roma giovani», numero 1, 15 novembre 1974.

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Pier Paolo Pasolini partecipa alla tavola rotonda con il sindaco Clelio Darida sul tema della criminalità nella capitale -. Roma - 22 maggio 1971


Dibattito con Pier Paolo Pasolini
Il buio oltre il presente? 
Cominciando a parlare di Roma e dei giovani 

«Roma giovani»

numero 1

15 novembre 1974.

Dibattito con la redazione di  «Roma giovani», rivista della FGCI romana, per un’inchiesta sui giovani. L’intervista è a cura di Nando Adornato, Lucio Caracciolo, Fabrizio Barca.

UN SORRISO ANCHE AL SUD


Hai parlato recentemente nel corso di un animato dibattito svoltosi sulle pagine dei giornali e nei Festival del l’Unità, di un genocidio che sarebbe stato perpetrato dalle classi dominanti nei confronti delle giovani generazioni. Vorremmo che tu oggi approfondissi quali sono gli elementi di questo genocidio, e se nel dire ciò ti riferivi a tutta Italia o, in particolar modo, ai giovani delle borgate e dei quartieri popolari di Roma, città in cui vivi, e sulla quale hai molto lavorato.

Quando parlavo di genocidio non mi riferivo solo alle giovani generazioni, parlavo di tutta la popolazione italiana; citavo Marx - ne parla proprio nel Manifesto - quando egli parla di genocidio, operato dalla classe al potere, delle popolazioni coloniali o sottoproletarie, o del proletariato meno cosciente. Parlavo quindi di tutta Italia e soprattutto del Centro-sud. Infatti parlavo contemporaneamente di una nuova spaccatura tra Nord e Sud - mi riferisco all’esperienza fatta ai Festival dell’Unità soprattutto di Bologna e di Milano -, dove ho visto effettivamente che c’è un tipo nuovo umano, sorridente, che vive con spontaneità, però comunista, che si distacca nettamente da tutto il resto dell’Italia. Allora ho insistito a parlare, e ne ho parlato anche recentemente, del Partito comunista nel suo insieme, come una specie di paese nel paese, di nazione pulita nella nazione sporca; quindi non mi riferivo solo alle borgate romane, ma più in genere al Centro-sud, cioè al mondo proletario e contadino (un po’ meno al mondo proletario dove la coscienza di classe è notevole e dove c’è un certo livello intellettuale come Bologna). E per concludere vorrei risponderti spiegandoti cosa è per me genocidio. È proprio quello di cui parla Marx; consiste in una sostituzione di modelli.

L’Italia è formata da regioni che si possono chiamare piccole nazioni, con la loro tradizione, storia ecc... E quindi le culture italiane sono culture particolaristiche concrete, che hanno dei propri modelli di esistenza e di vita. Il genocidio è la acculturazione del potere consumistico italiano. Che non coincide con il potere democristiano. Questo potere toglie con la violenza, gli antichi modelli di vita, gli antichi valori delle culture che realmente costituiscono l’insieme della cultura italiana e impone i propri modelli e i propri valori, e con questo distrugge un modo di essere uomo. Per esempio a Roma, mi sono trovato in una borgata dove c’era una di queste culture di cui vi parlavo, abbastanza tipica e abbastanza eccezionale; ecco, quando vado là, non trovo più degli esseri viventi ma trovo dei cadaveri: sono stati uccisi.

sabato 18 novembre 2023

Pier Paolo Pasolini, Colpo di testa del capro espiatorio - .(Panorama, 7 novembre 1974)

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Eretico e Corsaro

Pier Paolo Pasolini
Colpo di testa del capro espiatorio

Panorama, 7 novembre 1974

   Insisto. Casalegno si comporta esattamente con l'incosciente aggressività di un malfattore o di una puttana. Spiego perché. Egli premette che le mie idee sono confuse. Poi mi attribuisce una serie di contraddizioni, appunto confusionarie, nate però nella sua testa.

   Per esempio: prima afferma che io «ho evitato... ragionamenti lombrosiani tra misure del cranio e attività politica», poi afferma che secondo me «i gerarchi democristiani non somigliano ai compagni del duce ma addirittura a quelli di Hitler». Dunque, se prima evito un'analisi fisionomica e poi adopero un confronto fisionomico, sono in contraddizione. La realtà è questa: per me è importante il linguaggio del corpo e del comportamento perché è un linguaggio che equivale a un altro: anzi, spesse volte, è moto più sincero. Quindi ho «letto» le facce del film di Naldini e le facce reali che oggi mi circondano come fossero discorsi: ne ho fatto un confronto che è risultato, per esempio, negativo per i dirigenti democristiani attuali, rispetto ai ridicoli e arcaici servi del duce. Non ho detto, però, che sono tali «dirigenti» ad avere un «soma» o un «sema» nazista. Questa è un'altra confusione del Casalegno. Ho detto che sono i giovani fascisti di oggi a essere in realtà nazisti.

"Lo scandaloso Pier Paolo Pasolini" su "Panorama" 8 agosto 1974 n.433 Anno XII

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"Lo scandaloso PPP"
Inchiesta su Pasolini
Panorama, 8 agosto 1974.

Con l’ultima sua invettiva ("Non distinguo più antifascisti da fascisti, il consumismo ha appiattito tutti"), Pasolini ha sbalordito e irritato perfino molti suoi amici. Da vent'anni al centro della vita culturale italiana, protagonista di episodi discussi e spesso ambigui, adesso getta la spugna: “In quest’Italia non si può più vivere”.

Tutto quello che fa, fa scandali. Da almeno vent’anni. Suscita clamore con i libri, con i film, con le amicizie, con le idee. Scandalizza per quello che dice. Per come si esprime, per come si comporta.

Ha 52 anni, la faccia è scavata da segni profondi, come in certe antiche maschere di legno. Alle spalle ha un passato di successi e di applausi, ma anche di pubblico biasimo, di accuse ambigue, persino di processi.

venerdì 17 novembre 2023

Le confusioni di Pasolini & C - Carlo Casalegno, La Stampa 23/10/1974 - numero 238, pagina 9

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Le confusioni di Pasolini & C.

Carlo Casalegno

La Stampa 23/10/1974

numero 238

pagina 9

Pasolini, Moravia e Palmella sono stati invitati da Panorama, insieme con Parise e Riccardo Lombardi, a prendere visione del film Fascista, documentario costruito con gli originali d'epoca dell'istituto Luce, e poi discuterne. Il testo della tavola rotonda, pubblicato dal settimanale, è una lettura istruttiva: dimostra, almeno per qualche inviato che il lamento sulla trahison des clercs non ha perduto d'attualità.

 Gli intellettuali possono « tradire » in due modi: chiudendo gli occhi alla realtà, rinnegando per calcolo le proprie convinzioni, isolandosi per ignavia nella torre d'avorio; oppure giocando con le idee ed i fatti per faziosità, snobismo, ricerca del successo, paura di lasciarsi distanziare dall'ultima moda. Negli Anni Trenta, al tempo della marea fascista, prevaleva il primo tipo di tradimento; oggi, almeno in Italia, il secondo. Ma il cambio di maschera non ci sembra di grande vantaggio, se è dovere dell'intellettuale rispettare la verità e la ragione. I buoni scrittoli possono diventare, giocando con i principi e le parole, dei pessimi maestri.. 

martedì 14 novembre 2023

Pier Paolo Pasolini - Una sconfinata ammirazione per "Delitto e castigo" - Tempo" 4 gennaio 1974

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Una sconfinata ammirazione per "Delitto e castigo"
"Tempo" 4 gennaio 1974
Biblioteca nazionale centrale - Roma

(Trascrizione curata da Bruno Esposito)





Un giovane uomo di ventitré anni - un bel ragazzo anche se così pallido e magro – è “traumatizzato” dall’amore della madre (e per ampliazione, della sorella). La situazione è, per noi, classica: si tratta di una passione infantile edipica. Egli è rimasto impietrito da quell’amore con tanta violenza provato e ricambiato, quasi come in una prova di laboratorio. Infatti le conseguenze sono quelle ben note: la sessuofobia, la freddezza sessuale e il sadismo. Egli sembra innamorarsi di una ragazza bruna, infelice, intelligente e malata. Che muore presto di tifo (si direbbe, come egli ha voluto). In questo amore non trova posto la sensualità. Egli prova altre attrazioni – che non divengono però mai sessuali – per due altre ragazze giovanissime: una adolescente ubriaca o drogata che se ne va per la strada (ed egli la protegge da un “pappagallo”, chiedendo l’aiuto – il che è sintomatico – di un poliziotto) e poi, per un attimo, verso un’altra giovinetta mendicante (che perciò fa pena: e la pena è umiliante, può essere umiliante fino al sadismo). A questa situazione sessuale inconscia (il rapporto edipico con la madre, esteso alla sorella) si aggiungono altri elementi “oggettivi” e in gran parte consci. Il nostro ragazzo, infatti, orfano di padre, studia nella capitale: è mantenuto agli studi per mezzo della misera pensione di sua madre, e sua sorella è costretta a impiegarsi come istitutrice. Ciò ha creato degli obblighi al ragazzo verso la famiglia. Terribili obblighi di gratitudine e di amore, che vengono ad aggiungersi, appunto, alla violenza amorosa infantile e alla inconsapevole repressione della madre su di lui. Una madre buona, sì, buona, anzi angelica; borghese, ma dotata di tutte le qualità migliori della borghesia provinciale: di quello speciale idealismo, cioè, che non può fare del proprio figlio che un essere adorato e unico.

Il nostro eroe è guidato dal suo inconscio, e si appresta, come in un incubo kafkiano, a giocare il ruolo che gli è assegnato; ad esso non può sottrarsi, come un automa, ma puoò, su esso, creare tuttavia delle giustificazioni pretestuose, dei (aberranti, come vedremo) fondamenti moralistici e teorici. Un giorno gli “viene un’idea” – proprio come se gli venisse dal di fuori, dall’alto – ed egli come in un incubo, appunto, si chiede come mai gli sia venuta una simile idea “non sua”: non può sapere infatti che gli viene dal basso. E così si appresta a elaborarla, a impossessarsene (attraverso la teorizzazione). 

Perchè l'assassino ha lasciato la porta aperta

Tale idea è di uccidere una vecchia usuraia, a cui ha dato in pegno degli oggetti (di famiglia). Resiste a lungo a tale “invito”, ma alla fine, dopo un lungo cerimoniale, cede. Egli ammazza così la madre. La madre che lo ossessiona con gli obblighi, che gli crea degli impegni, che lo umilia con la sua ansiosa comprensione, che lo mette di fronte alla propria impotenza: e che comunque, ancora prima, aveva suscitato in lui un amore che, per essere orrendamente colpevole, si era – come vuole il meccanismo – trasformato in odio. Ma non avevamo detto che alla figura della madre egli aveva annesso anche la figura della sorella? Sì, e infatti ecco che, appena uccisa la vecchia usuraia, entra in casa la buona e mite sorella di questa. La porta era stata lasciata aperta (quasi apposta, perché lei potesse entrare). Inoltre, il nostro assassino sapeva che egli avrebbe potuto uccidere la usuraia fra le sette e le sette e mezza circa, appunto perché la sorella era fuori. Egli giunge invece sui luogo dell’assassinio in ritardo (per colpa – siamo sempre alla diagnosi da manuale! – di un assopimento protrattosi più a lungo del previsto). Egli insomma è andato in casa dell’usuraia in ritardo apposta per dar tempo alla sorda di ritornare. E così ammazza anche lei. Non solo dunque egli sopprime nelle due vecchie, la propria madre e la propria sorella, ma sopprime in esse quella «realtà doppia» che l’amore per la donna è per lui: da una parte la realtà repressiva, feroce, angosciosa (l’usuraia) e dall’altra la realtà tenera, affettuosa, mite (la sorella dell’usuraia). 

Nella sua teoria – di carattere nietzschiano – il nostro ragazzo considera il delitto un “delitto gratuito”, fatto per dimostrare a se stesso, da una parte, di essere un uomo superiore (che non esita a delinquere pur di raggiungere il proprio scopo: arricchire per studiare, diventare uno scienziato, un filosofo, un benefattore dell’umanità), dall’altra, di essere addirittura un “superuomo”, al di là di ogni valore morale istituito. Insomma egli ondeggia fra il cinismo della Realpolitik e la grandezza dell’azione pura. In tutti i casi è chiaro che siamo ancora nel laboratorio: egli ha infatti bisogno semplicemente di superare il proprio “complesso di inferiorità” derivante da tutte le circostanze che abbiamo visto. 

Sennonché – com’era fatale – dopo la sua spaventosa impresa, egli sarà costretto a parlare di “fallimento”: e si ritroverà di fronte alla propria “inferiorità” (che però a lui si manifesta solo come incapacità a nascondere le tracce del delitto, e soprattutto, come incapacità a resistere agli impulsi della morale comune che richiede il rimorso e la confessione della colpa). 

In realtà il “fallimento” consiste in qualcos’altro. Consiste nel fatto che la liberazione dalla propria madre attraverso l’assassinio dell’usuraia “doppia” (buona e cattiva), è una liberazione simbolica. Nella realtà, eccola, la madre (con la sorella) che arriva in treno dalla profonda provincia. È una vera e propria resurrezione, la riapparizione di un fantasma. Il delitto è stato davvero “inutile”! La madre e la sorella portano innocenti con sé, non solo tutto l’orrendo fardello di amore infantile, ma, per di più, tutte le esigenze e gli obblighi di una vita da vivere, coi suoi problemi pratici e il suo spietato idealismo da non tradire.La sorte del nostro assassino è dunque ancora interamente da decidere e da vivere. Tutto è da ricominciare da capo. Ma, ormai, il nostro eroe non può più farlo. La sua è ormai una vita che scorre per inerzia, ed egli percorre dunque tutte le tappe obbligate che usa percorrere – quasi secondo delle perfette norme fissate una volta per sempre – un colpevole che finirà per costituirsi, confessare ed espiare. Ormai, quelle che contano sono le vite degli altri, che si sviluppano intorno alla sua. 

Una sfida moralistica al mondo

Durante la sua via crucis (non evangelica, perché egli, naturalmente, è ostacolato continuamente e fino in fondo dall’interpretazione “conscia” che egli dà ai fatti: la sua sfida moralistica al mondo e il suo fallito tentativo d’essere un uomo superiore) egli tuttavia su una vita, più che sulle altre, continua a influire, prima di diventare un “morto civile”. Si tratta della vita di una ragazza – un’adolescente come quelle intraviste e “rimosse” per la strada – in tutto e per tutto simile alla sorella dell’usuraia, e quindi alla madre “buona, mite, idealistica”. L’identificazione di questa ragazza con la sorella dell’usuraia e con la madre dell’infanzia è perfetta: anche letteralmente. Il sentimento del nostro eroe verso questa ragazza dovrebbe essere d’amore (e infatti lo è): ma si tratta di un amore privo di un elemento essenziale, cioè il sesso. Il quale si manifesta (ancora e irrimediabilmente!) attraverso il sadismo. Il giovane infatti confessa a lei, per sadismo, la propria colpa: e continua del resto a tormentarla in tutti i modi. Essa oltre tutto è costretta dalla miseria, benché quasi una bambina, a fare la puttana. E ciò scatena ancor più la sessuofobia e il puritanesimo del nostro eroe che ignora perfettamente di avere un sesso. Naturalmente. non appena egli si accorge di provare un sentimento di amore verso di lei, lo sente subito come odio. E per contro, l’amore ingenuo, immenso e incondizionato di lei per lui, ricomincia & oreal-gli quel sentimento quasi cosmico di insopportazione che gli aveva creato l'amore della madre. È inutile dire che egli, seviziando questa ragazzina. sevizie se stesso. Come già. ammazzando le due vecchie donne. aveva infierito su se stesso.

   Anche questo è da manuale. Non per niente poco prima di spaccare con la scure la povera, indifesa, tenera nuca della malvagia vecchia (la madre, invecchiando, diviene infantile), il nostro eroe aveva fatto un orribile sogno: dei giovinastri, nella sua cittadina di provincia, per dove egli camminava tenendo per mano il padre (!) ammazzano, seviziandola in modo atroce, una povera, magra cavallina (che egli alla fine, quando sarà finalmente morta, andrà a baciare disperatamente nel muso): ma il fatto rilevante è che, benché si tratti di una “cavallina”, egli, parlandone col padre e con gli astanti, appunto perché infante, la chiama “cavallino”. Dunque chi è stato torturato, seviziato, massacrato, ucciso: una cavallina o un cavallino?

   Dopo la confessione del suo delitto e la sua condanna ai lavori forzati, il nostro eroe è seguito, come da una cagna fedele, dalla puttana che egli non ammette di amare, oppure manifesta il suo amore verso di lei attraverso la crudeltà. Niente di nuovo è successo nel profondo della sua personalità. Egli è rimasto la stessa creatura cristallizzata, mostruosa, automatica – e, nel tempo stesso, il ragazzo buono e intelligente – che era prima del delitto. Niente si è sciolto in lui. I suoi compagni di pena odiano in lui questa fedeltà inderogabile al proprio essere, questo ascetismo della diversità ignota a se stessa. Finché la madre vera muore; muore di innocente dolore, tra deliri di bontà materna, che pur intuendo la verità non vuol ammetterla, ecc., ecc. Tale morte in principio non significa nulla. È una morte anagrafica. Eppure essa era indispensabile perché finalmente qualcosa si sciogliesse dentro il suo ostinato figlio. Ciò avviene di colpo e senza nessuna ragione. Assomiglia un po’ a quella che i cristiani chiamano “conversione” o i filosofi Zen “illuminazione”: cioè un mutamento radicale che si verifica in un momento qualunque o addirittura banale. Un dopopranzo, in una pausa di lavoro, sopra uno sterro, davanti a una grande pianura illuminata da un pallido e tiepido sole, dove, lontano, sono accampati dei nomadi, il nostro eroe sente di colpo di amare la ragazza che l’ha seguito: di amarla in modo completo, assoluto, così come non aveva potuto amare la madre da bambino.

   Era tanto semplice! Non solo Dostoevskij ha prefigurato Nietzsche e tutta la cultura nietzschiana, non solo ha prefigurato Kafka, cioè almeno metà della letteratura del Novecento (basta infatti togliere la descrizione del delitto iniziale, e lasciare tutto il resto così com’è: e Delitto e castigo diventa un enorme e convulso Processo) ma addirittura ha prefigurato, precorso, preteso Freud. A meno che egli non sapesse già tutto ciò che Freud avrebbe scoperto.
Questa mia non è che un’umile chiacchierata e un’analisi psicanalitica a braccio; ma potrei però dimostrare, in un saggio documentato, come in Delitto e castigo ci sia un numero impressionante di espressioni “esplicitamente” psicanalitiche. Ciò mi riempie di una sconfinata ammirazione, pari almeno a quella che sento per la impareggiabile “sceneggiatura” del romanzo.

Pier Paolo Pasolini
Una sconfinata ammirazione per "Delitto e castigo" 
Ritaglio di "Tempo" 4 gennaio 1974
Biblioteca nazionale centrale - Roma



Curatore, Bruno Esposito

Grazie per aver visitato il mio blog

Pier Paolo Pasolini, Amarcord - Playboy, III, numero 2, febbraio 1974, pag.18

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Eretico e Corsaro


Pier Paolo Pasolini
Amarcord

Playboy

III

numero 2 

febbraio 1974

pag.18



Recensendo il trattamento di Amarcord scritto a due mani da Federico Fellini e da Tonino Guerra, fra le altre, avevo fatto la seguente osservazione e la seguente previsione.

Osservazione. Più che «Mi ricordo», il libro avrebbe potuto con maggior pertinenza intitolarsi «Ci ricordiamo»: non certo perché a scriverlo erano in due (il testo primo, o palinsesto, era, comunque, un articolo scritto dal solo Fellini per un grossissimo volume illustrato, a lui dedicato dall'editore Cappelli, per le cure di Renzo Renzi: e lì sì andava bene il titolo «La mia Rimini» e non «La nostra Rimini»). Perché «Ci ricordiamo» e non «Mi ricordo»? Perché, nello stendere il libro, gli autori avevano creduto bene di rinunciare all'io narrante (del «Mi ricordo») né era sembrato loro il caso di sostituirlo con un eventuale «noi» simpatetico. E avevano così semplicemente chiamato in causa, o scritturato nell' équipe, il lettore stesso. Che, in tal modo coinvolto, si trovava a leggere un «vediamo Gradisca», o un «Bobo, come abbiamo già visto» eccetera, che lo rendeva testimone, autore, complice, conoscitore di questa chanson de geste riminese gaglioffa e un po' troppo poco antifascista. Ma, allora, che senso aveva l'assunzione anfitrionica del lettore nel testo? Probabilmente per dare a Rimini una aprioristica connotazione di «universalità». Come se cioè l'autore a quattro mani volesse dire: «La mia Rimini, o lettore, è come la tua Cesenatico. Siamo, quanto a questo, legati allo stesso carro, complici di una stessa colpa: la provincia, o il ricordo, o la mediocrità, o meglio ancora qualcos'altro, di indefinibile, che solo io e te sappiamo. Anche tu, come me, ne ridi in falsetto, arrossendo, stonando, tormentandoti con un dito i capelli, ostentando che ci sia molto da riderne nel momento stesso in cui pensi tra te che non c'è proprio niente da ridere».

Pier Paolo Pasolini - Illusioni storiche e realtà nell’opera di Longhi - Da Cimabue a Morandi - Tempo del 18 gennaio 1974

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Amerigo Bartoli, Ritratto di Roberto Longhi, 1924


Pier Paolo Pasolini

Illusioni storiche e realtà nell’opera di Longhi

pubblicato sulla rivista Tempo
del 18 gennaio 1974
*
Successivamente anche
In Descrizioni di descrizioni.
A cura di Graziella Chiarcossi. 
Prefazione di Giampaolo Dossena, 
Garzanti Editore, Milano 1996
con il titolo
Roberto Longhi, Da Cimabue a Morandi

Tempo, 18 gennaio 1974


Se penso alla piccola aula (con banchi molto alti e uno schermo dietro la cattedra) in cui nel 1938-39 (o nel 1939-1940?) ho seguito i corsi bolognesi di Rober­to Longhi, mi sembra di pensare a un'isola deserta, nel cuore di una notte senza più una luce. E anche Longhi che veniva, e parlava su quella cattedra, e poi se ne an­dava, ha l'irrealtà di un'apparizione. Era, infatti, un'apparizione. Non potevo credere che, prima e do­po aver parlato in quell'aula, egli avesse una vita pri­vata, che ne garantisse la normale continuità. Nella mia immensa timidezza di diciassettenne (che dimo­strava almeno tre anni di meno) non osavo nemmeno affrontare un tale problema. Non sapevo nulla di inca­richi, di carriere, di interessi, di trasferimenti, di inse­gnamenti. Ciò che Longhi diceva era carismatico. Non vuoi dire nulla che, per istinto, io fossi incuriosito in lui anche dall'uomo, che era un po' incuriosito di me, e che provassi della simpatia profonda (credo anche un po' ricambiata). Il rapporto era ontologico e nega­to assolutamente a ogni precisazione

venerdì 10 novembre 2023

Pier Paolo Pasolini, Le poesie di Mamma Roma - 25 aprile

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Durante la lavorazione di Mamma Roma - Immagine di Angelo Novi

Pier Paolo Pasolini
Le poesie di Mamma Roma
 25 aprile


       Quando una troupe invaderà le strade

       di stanotte, sarà già il Tremila.

       Perciò: goditi anche questo dolore.

       L’idea di fare un film sul tuo suicidio,

       tuona nei millenni, si congiunge

       a Shakespeare, ed è sesso, grandezza

       della libidine, sua soavità.

Pasolini - Fascisti: padri e figli - Vie nuove, n. 36 a. XVII, 6 settembre 1962

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Fascisti: padri e figli
di Pier Paolo Pasolini

Signor Pasolini, perché tante giovani menti vengono attratte dal pericolo dell’idea fascista? Vivendo in una società di giovani, noi ci poniamo questa domanda e non sappiamo rispondere. 

Michele Brucculeri, Daniele Squinzani - Torino



Le racconto un caso personale, un esempio.
Lei forse saprà o immaginerà come la mia vita sia funestata da una serie di doveri inutili. Un rispondere a vuoto a domande fatte a vuoto. Il vivere cioè in parte nel mondo della pseudo-cultura, o come dice più esplicitamente la mia amica Elsa
Morante, dell’irrealtà.

giovedì 9 novembre 2023

Pier Paolo Pasolini è morto - L’orazione funebre pronunciata da Gianni Borgna, segretario della Federazione giovanile comunista di Roma, ai funerali del poeta a Campo de’ Fiori (5 novembre 1975)

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Eretico e Corsaro

Pier Paolo Pasolini è morto.

L’orazione funebre pronunciata da Gianni Borgna

segretario della Federazione giovanile comunista di Roma

ai funerali del poeta a Campo de’ Fiori (5 novembre 1975)

Tratto da.

Che fosse un grande poeta, una delle figure di intellettuale più rappresentative del nostro tempo, è inutile ricordarlo qui. Oggi sono costretti a scriverlo anche i suoi oppositori più ottusi, i suoi nemici più irriducibili.

Che fosse un uomo veramente buono, candido e aspro come lo abbiamo ancora davanti agli occhi, è invece giusto qui dirlo. 

Un amico, un compagno, che sempre ha avuto poco e dato tanto, anche al di là delle sue stesse forze. 

Un amico, un compagno che sempre ha saputo coniugare la cultura con la vita, e tendere allo sforzo massimo di usarla come arma di una passione civile. 

Ha capito bene che non ci piacciono le voci irrisolte, le doppie verità, e tanto meno le finzioni; che noi preferiamo l’eresia alla norma, lo scontro dichiarato delle idee all’inerzia del pensiero. 

NOTE PSICHIATRICHE. DEL PROF. ALDO SEMERARI, DELL’UNIVERSITÀ DI ROMA SULLO SCRITTORE PIER PAOLO PASOLINI.

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Tratto da:

Malastoria
L’Italia ai tempi di Cefis e Pasolini



Le Note psichiatriche di Aldo Semerari

Anno II / N. 22 / 21 Giugno 1962

Documentazione per i caporedattori: riservata non pubblicare.

NOTE PSICHIATRICHE
DEL PROF. ALDO SEMERARI
DELL’UNIVERSITÀ DI ROMA 
SULLO SCRITTORE PIER PAOLO PASOLINI.


Al recente processo di Latina contro Pier Paolo Pasolini chiusosi con la condanna dello scrittore, la parte civile (Avv. Valerio Veronese e Avv. Giorgio Zeppieri), aveva chiesto le perizia psichiatrica, esibendo al Tribunale alcune note dello psichiatra Aldo Semerari, libero docente alla Università di Roma, presso la Clinica delle malattie nervose e mentali. La richiesta della parte civile, alla quale non si oppose la difesa (Avv.to Carnelutti), fu respinta dal Tribunale. Pubblichiamo la perizia del Prof. Semerari a documentazione dei caporedattori.

Pier Paolo Pasolini, Hanno letto solo un titolo / Come un incubo dell'infanzia - Vie nuove, numero 28 del 12 luglio 1962

Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


Pier Paolo Pasolini
Hanno letto solo  un titolo
Come un incubo dell'infanzia

Vie nuove
numero 28 
12 luglio 1962 

Come un incubo dell’infanzia

Cari amici di «Vie nuove», per due o tre settimane ho dovuto sospendere la mia rubrica, perché il film Mamma Roma era entrato in una fase tale di lavoro, da non lasciarmi respiro. Ora è cominciato il doppiaggio, la fatica è meno atroce, qualche minuto durante la giornata mi rimane per scrivere.

mercoledì 8 novembre 2023

Laura Betti: Pasolini era un uomo, diventò il mio uomo.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


 Laura Betti: Pasolini era un uomo, diventò il mio uomo.

dalla prefazione a 

"Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte"  

Milano, Garzanti, 1977

“Ricordo e so di un giorno molto lontano in cui, tra tanta gente di cui non ricordo e non so, entrò nella mia casa un uomo pallido, tirato, chiuso in un dolore misterioso, antico; le labbra sottili sbarrate ad allontanare le parole, il sorriso; le mani pazienti d’artigiano. Sapeva di pane e di primule. Il pane era il dolore, le primule l’amore. Ricordo quindi di aver deciso che quell’uomo era un uomo. 

Pier Paolo Pasolini - Il potere senza volto

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro







Pier Paolo Pasolini
Il potere senza volto
Che cos’è la cultura di una nazione?


24, giugno 1974 - I problemi di un intellettuale appartenente all’intelligencija sono diversi da quelli di un partito e di un uomo politico, anche se magari l’ideologia è la stessa. Vorrei che i miei attuali contraddittori di sinistra comprendessero che io sono in grado di rendermi conto che, nel caso che lo Sviluppo subisse un arresto e si avesse una recessione, se i Partiti di Sinistra non appoggiassero il Potere vigente, l’Italia semplicemente si sfascerebbe; se invece lo Sviluppo continuasse così com’è cominciato, sarebbe indubbiamente realistico il cosiddetto «compromesso storico», unico modo per cercare di correggere quello Sviluppo, nel senso indicato da Berlinguer nel suo rapporto al CC del partito comunista. Tuttavia, come a Maurizio Ferrara non competono le «facce», a me non compete questa manovra di pratica politica. Anzi, io ho, se mai, il dovere di esercitare su essa la mia critica, donchisciottescamente e magari anche estremisticamente. Quali sono dunque i miei problemi?

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