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venerdì 17 novembre 2023

Le confusioni di Pasolini & C - Carlo Casalegno, La Stampa 23/10/1974 - numero 238, pagina 9

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Le confusioni di Pasolini & C.

Carlo Casalegno

La Stampa 23/10/1974

numero 238

pagina 9

Pasolini, Moravia e Palmella sono stati invitati da Panorama, insieme con Parise e Riccardo Lombardi, a prendere visione del film Fascista, documentario costruito con gli originali d'epoca dell'istituto Luce, e poi discuterne. Il testo della tavola rotonda, pubblicato dal settimanale, è una lettura istruttiva: dimostra, almeno per qualche inviato che il lamento sulla trahison des clercs non ha perduto d'attualità.

 Gli intellettuali possono « tradire » in due modi: chiudendo gli occhi alla realtà, rinnegando per calcolo le proprie convinzioni, isolandosi per ignavia nella torre d'avorio; oppure giocando con le idee ed i fatti per faziosità, snobismo, ricerca del successo, paura di lasciarsi distanziare dall'ultima moda. Negli Anni Trenta, al tempo della marea fascista, prevaleva il primo tipo di tradimento; oggi, almeno in Italia, il secondo. Ma il cambio di maschera non ci sembra di grande vantaggio, se è dovere dell'intellettuale rispettare la verità e la ragione. I buoni scrittoli possono diventare, giocando con i principi e le parole, dei pessimi maestri.. 

Non sorprende che Marco Pannella deplori i limiti del film, perché distrugge Mussolini attraverso gli stessi documentari del regime, ma non denuncia « il consiglio d'amministrazione che gestì il fascismo » (la Chiesa, Agnelli, Valletta, Fanfani); o affermi che la faccia di Mussolini « narra una storia non più infame o perversa di quella che narrano le facce di Rumor e di Paolo VI »; o definisca i democristiani come i fascisti dell'Italia industriale e il capo dei coltivatori diretti un dittatore più dispotico del duce. Nessuna persona ragionevole può prendere sul serio il leader dei radicali, che ha dimostrato il suo talento politico proponendo ben otto referendum a un Paese non ancora ristabilito dalla scossa del voto sul divorzio, e che sciupa le cause migliori facendo l'imitazione di Gandhi, ma sostituendo alla lucida passione del Mahatma una cicca faziosità. 

Sorprende invece che. Moravia, rinnegando se stesso con un grossolano paleomarxismo, accetti le sentenze di Pannella e addirittura le teorizzi, confermando che tra le facce dei democristiani di oggi c quelle dei fascisti di ieri non ci può essere differenza: «Sono sempre dei borghesi italiani, no? ». E dopo questa sbrigativa affermazione, che non sappiamo se equivalga ad una condanna dell'intera borghesia nazionale o bolli soltanto i borghesi d'estrazione provinciale e cattolica, continua a seguire senza ribellarsi le argomentazioni attraverso cui Pannella, mettendo a confronto i volti del regime fascista con quelli del regime de, dimostra la superiorità della virile maschera mussoliniana sul « triste rosario di volti macerati » offerto dal mondo cattolico. L'anticlericalismo non era mai degenerato in simili futilità.

 L'uomo di sinistra Pasolini, com'è ovvio, ha evitato questi ragionamenti lombrosiani sui rapporti tra misure del cranio e attività politica; ma non poteva lasciarsi sfuggire l'occasione per ribadire la sua recentissima dottrina sulla perennità del fascismo, sulla vanità delle frontiere tradizionali tra fascismo e antifascismo, sulla nostalgia per un passato anche tinto di nero. Nei bei tempi felici dell'Italia contadina, « folla, gerarchi e Mussolini erano infinitamente migliori delle cose analoghe di oggi ». I gerarchi democristiani non somigliano ai compagni del duce, ma addirittura a quelli di Hitler; « i gerarchi e Mussolini sono quasi innocui rispetto ai gerarchi e ai capi d'oggi ». Quello era un fascismo arcaico, che ormai appartiene all'archeologia e non alla politica: « Il reale fascismo da combattere è quello dei de ». Almirante al dibattito non c'era; se l'avessero invitato, non avrebbe potuto dir meglio.

 Nel coro di queste voci, doveva perdersi quella di Riccardo Lombardi, impegnato a ricordare che il regime non era soltanto commedia, ma anche assassinio, violenza di squadristi, tribunali speciali, persecuzione antisemita; e forse a far capire che, pur non avendo tenerezza per i democristiani, si sente più libero con Rumor a Palazzo Chigi che con Mussolini a Palazzo Venezia. Ma non è da intellettuale à la page far distinzione tra borghesi buoni e cattivi, tra il sottogoverno de e la dittatura nera, tra la faccia antipatica di Tanassi e il manganello di Starace. C'è da passare per forcaioli riconoscendo che la censura clericale sarà stupida, ma è più elastica di quella del Minculpop. Sarebbe di pessimo gusto far presente che a sparare parole contro il regime d'oggi non si corrono rischi. 

E soprattutto sarebbe inutile invitare certi maestri del pensiero a spiegarci che cosa intendono per « fascismo »: un fenomeno storico? un sinonimo di dittatura? un'etichetta valida per Mussolini come per Benedetto Croce e per Saragat? 

Carlo Casalegno



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