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giovedì 9 novembre 2023

Pier Paolo Pasolini, Hanno letto solo un titolo / Come un incubo dell'infanzia - Vie nuove, numero 28 del 12 luglio 1962

Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


Pier Paolo Pasolini
Hanno letto solo  un titolo
Come un incubo dell'infanzia

Vie nuove
numero 28 
12 luglio 1962 

Come un incubo dell’infanzia

Cari amici di «Vie nuove», per due o tre settimane ho dovuto sospendere la mia rubrica, perché il film Mamma Roma era entrato in una fase tale di lavoro, da non lasciarmi respiro. Ora è cominciato il doppiaggio, la fatica è meno atroce, qualche minuto durante la giornata mi rimane per scrivere.

Qualche minuto materiale, come si dice: il minuto psicologico è più raro. Perché il lavoro di Mamma Roma è quasi un incubo, ormai. Io non posso permettermi di sbagliare un’opera; sono ridotto a questo. Non sbagliare è un dovere che ho davanti a nemici e amici: i primi mi sbranerebbero, i secondi mancherebbero immediatamente di un’arma di difesa nei miei riguardi. Sento che la fine di Mamma Roma sarebbe un po’ la mia fine. Perché ben poche sono le persone il cui giudizio critico è autonomo, basato su reali ragioni di cultura: e quindi capace di resistere agli esperimenti di un autore. Le masse sono spietate. Sono come dei re. E io di fronte a questi re, ormai, sono un po’ come un giullare che se sbaglia un motto viene condannato a morte.

Voi siete, lettori di «Vie nuove», tra i miei amici più cari: anzi, i più cari. Me ne sono reso conto ieri, tornando da Latina in macchina. Era stata appena pronunciata contro me la condanna a quindici giorni per minaccia a mano armata. Non so se voi conosciate i sentimenti di chi è accusato innocente: anzi, condannato. È qualcosa di orribile, che non auguro a nessuno, nemmeno a Bernardino De Santis e al suo avvocato difensore. Da bambino ricordo che avevo due incubi (dovuti alla bella letteratura infantile di cui da bambini ci nutriamo): essere sepolto vivo e essere condannato innocente: ci pensavo, con l’eccesso di fantasia di chi, fin dalla nascita, è interiormente ferito, e non potevo resistere al pensiero. Un senso di rivolta, di ripugnanza, di esasperazione che non ha equivalenti: qualcosa che non si può esprimere se non nell’urlo bestiale, nella furia epilettica. Ora, io, tornando l’altra sera da Latina, avevo dentro di me quest’urlo e questa furia. Dominati, oh, certo, dominati: e riordinati subito, com’è ormai mia antica abitudine, in pensieri, in sforzo di capire: in amore, infine.

Ciò che più di tutto mi doleva, in quel momento, era il vostro pensiero. Come? – mi dicevo, con le lacrime agli occhi, mordendomi le dita – sono mesi, sono anni che ripeto, su «Vie nuove» che odio le armi e gli armati, che trovo stupida ogni forma di violenza, che considero ancora valido il metodo di lotta di Cristo, che è, oggi, quello di Gandhi: la non violenza, la mitezza, la persuasione, sono anni che ripeto questo, e adesso qualcuno, o Qualcosa di tremendo, mi condanna per minaccia a mano armata? È un fatto che non si può tollerare: su quel qualcuno o su quel Qualcosa dovrà prima o poi ricadere tanta e così stupida, cieca, disumana ingiustizia.

Nulla è più contrario alla mia natura che la violenza. Ridete pure: ma io mille volte ho fatto come Tobia: ho preso una mosca, e poi l’ho lasciata andare perché non avevo il coraggio di ucciderla. Non solo non ho mai posseduto una pistola, io: ma potrei giurare di non averne mai neanche toccata una, e di averne vista una sì e no una o due volte in vita mia. Sono stato in India, in Africa, in regioni anche pericolose, dove andare armati può essere consigliabile: io non solo non avevo in tasca una pistola, ma neanche un coltellino, un temperino.

Non dico questo per difendermi da un’accusa specifica: ne faccio, come si dice, una questione di principio. L’accusa specifica è di per sé così assurda che non val la pena parlarne.

Hanno letto solo un titolo

L’unica considerazione seria da fare, con degli amici, è questa: l’italiano medio borghese manca totalmente di ogni senso psicologico. La sua psicologia è miracolistica. Forse sarà la secolare rinuncia alla ragione, all’autodecisione, all’autoeducazione, alla corresponsabilità. La psicologia miracolistica è una psicologia di servi. Non c’è da meravigliarsi se nei tribunali è questa la psicologia che vige. Dovevate sentire le bestialità pronunciate dai difensori di Bernardino De Santis, a proposito della mia psicologia! Falso, ridicolo, prodotto di una cultura maleodorante come una vecchia «Domenica del Corriere». Io descrivo la violenza, quindi sarei violento… Guardate un po’, c’è da arrossire solo a pronunciare una sciocchezza simile (che, oltre tutto, implica solo la lettura del titolo di uno dei miei libri): eppure questa ricattatoria, insensata proposizione aleggiava nell’aula del tribunale di Latina, trovando, se non sempre credito, possibilità di credito, diritto di cittadinanza. Perché un italiano medio borghese non possiede strumenti per capire da solo un’anima: tutto gli è stato detto, imposto, suggerito, consacrato. Egli rinuncia aprioristicamente alla sua autonomia di giudizio: una qualsiasi notizia esteriore, nemmeno magari provata, soltanto sospetta, rovescia ogni sua precedente considerazione o opinione: perché ciò che accade nell’anima di un altro è un segreto irraggiungibile, preda di un’irrazionalità casuale e apocalittica.

Basta un nulla: nel mio caso un pazzo che dice che ho agito da pazzo. Allora, chi non ha l’interiore sicurezza della ragione, tentenna, crede nella luce torbida e impensata del miracolo, della teratologia. Chissà, chi me lo assicura… Su questo «chissà, chi me l’assicura» poggia la psicologia della mia nazione borghese: disabituata da secoli ad «assicurarsi» da sola ad avere la più semplice fiducia nell’iniziativa della propria ragione.

Pier Paolo Pasolini


Leggi anche:

NOTE PSICHIATRICHE
DEL PROF. ALDO SEMERARI
DELL’UNIVERSITÀ DI ROMA 
SULLO SCRITTORE PIER PAOLO PASOLINI.


@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

Grazie per aver visitato il mio blog

 

2 commenti:

  1. Ti ho voluto bene anche se non ti ho mai conosciuto di persona.

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  2. Ma per me sei stato un mentore

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