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venerdì 8 dicembre 2023

L’ANTIFASCISMO COME GENERE DI CONSUMO - Massimo Fini intervista Pier Paolo Pasolini - «L’Europeo», dicembre 1974

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dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

L'Europeo numero 52 del  26 dicembre 1974

L’ANTIFASCISMO COME GENERE DI CONSUMO
Massimo Fini intervista Pier Paolo Pasolini

 «L’Europeo», 26 dicembre 1974

*

Tratto da:

Massimo Fini

Il giornalismo fatto in pezzi

Marsilio


( Anche in Scritti corsari, con il titolo "Fascista")

Vedi anche:

Pier Paolo Pasolini, da Poveri ma fascisti, «Il Messaggero», 17 ottobre 1974

    Mai come in questi anni in Italia si è sentita risuonare la parola «antifascista», insieme ai suoi due corollari «laico» e «democratico». Non c’è persona oggi in Italia (a parte i fascisti dichiarati) che non si proclami tutta insieme «laica, democratica e antifascista». Eppure mai come in questi anni la Repubblica è stata, al di là di certe apparenze permissive, percorsa da sindromi di intolleranza, di corporativismo, di antidemocrazia: di fascismo, infine, se fascismo significa anche la prepotenza del potere…

    Il fatto è che essere genericamente antifascista oggi in Italia non costa nulla, anzi spesso e volentieri paga. Ecco perché il termine è diventato ambiguo, si è consumato al punto da non voler dire quasi più nulla. Del resto è già abbastanza straordinario che a trent’anni dalla Resistenza e dalla caduta del regime si ragioni ancora in termini di fascismo e antifascismo. Questo vuol dire solo due cose: o che siamo rimasti perfettamente immobili e che trent’anni sono passati invano, o che dietro un certo antifascismo di maniera (che nulla ha a che vedere con l’antifascismo reale pagato di persona) si nascondono sotto mentite spoglie i vizi di ieri, le intolleranze, il conformismo, il servilismo di fronte al potere. Un «antifascismo» oltretutto pericoloso perché rischia con il suo conformismo e la sua intolleranza di fare dei fascisti reali dei martiri ingiustificati, e rischia di fare apparire quasi dalla parte della ragione chi ha indiscutibilmente torto.

    Da questi dubbi nasce la nostra inchiesta. Un’inchiesta, come si vede, delicata (l’accusa che ci verrà immediatamente rivolta, lo sappiamo, è di “fare il gioco delle destre”). Per questo abbiamo chiamato a rispondere a questi dubbi e a queste domande uomini della cui reale, antica e provata fede antifascista non è lecito dubitare.    

Gocce di Petrolio - Pier Paolo Pasolini, 1974

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Gocce di Petrolio
Pier Paolo Pasolini 
1974


APPENDICE 1 DAL DATTILOSCRITTO

 Carlo I divenuto santo, nel cercare per Carlo II ecc. nella sua “stoica” lotta sociale ecc. ecc. un aiuto soprannaturale ecc. compie

Una DISCESA AGLI INFERI

che si configura come un classico viaggio, secondo i modelli mitologici e medioevali, compreso Dante. Ma non è che un capitolo (come per Ulisse) e molto più semplice, frontale, nomenclatorio ecc.

 Cosa sono questi Inferi oggi, per un uomo come C.: sono il luogo dei Sogni, o dell’Inconscio (il Girone personale e il Girone della Massenpsyche, o Inconscio collettivo) con tutti i suoi simboli. Un “Sogno ideale”, che sintetizzi tutti i sogni possibili, con tutti i loro simboli possibili; il sogno dei sogni, divenuto luogo comune, archetipo e cristallizzato in una serie di visioni didascaliche. Arrivato nel punto più profondo di questi Inferi, di fronte alla Scena originaria (che può essere inventata, ribaltando tutte le ipotesi degli studiosi: e ridotta a un atto irrilevante e deludente, e per questo estremamente significativo, come rovesciare un bicchiere posato sopra una tomba sotto cui si stende la vera Regione della Morte ecc.), C. compie il gesto rituale e liberatorio – liberato appunto da ogni senso e meccanica logica (anche dalla logica del simbolismo dei sogni). Naturalmente la “Discesa” è romanzata. Per es. riapparizione del sesso, attraverso la Visione del Centauro col cazzo enorme tra le gambe davanti anziché tra quelle di dietro ecc.; visioni “architettoniche di città”. Ma la vera e propria Storia romanzesca di questa Discesa non riguarda C. ma un personaggio che egli in realtà accompagna in questa Discesa, e che deve ripetere la sua impresa mitica, riavere un rapporto con un suo pari, un compagno – come Oreste e Pilade ecc. morto (alcuni secoli avanti) prima di lui. Un mito alessandrino (come gli Argonauti, ancora, di Apollonio Rodio) che riguardi fatti accaduti nel mondo classico, benché tutto si riferisca poi ai primordi. Per questo potrei rielaborare un mito primitivo indiano, o africano o polinesiano, in cui ci siano, rozzi, gli elementi del mito mediterraneo e cristiano ecc.

 –  Carrellata indietro per cui Carlo è spettatore delle imprese dell’eroe mitico – Solo alla fine protagonista diventa Carlo – La carrellata è analoga a quella della Visione nella sezione del “Merda”.

 Chia, 16 Agosto 1974

 (sognato durante la notte)

mercoledì 6 dicembre 2023

Pier Paolo Pasolini, 11 luglio 1974. Ampliamento del «bozzetto» sulla rivoluzione antropologica in Italia - intervista a cura di Guido Vergani, sul «Mondo» del 11 luglio 1974

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Pier Paolo Pasolini, l'11 luglio 1974. 
Ampliamento del «bozzetto» sulla rivoluzione antropologica in Italia 

(Sul «Mondo», intervista a cura di Guido Vergani)

   Noi intellettuali tendiamo sempre a identificare la «cultura» con la nostra cultura: quindi la morale con la nostra morale e l'ideologia con la nostra ideologia. Questo significa: 1) che non usiamo la parola «cultura» nel senso scientifico, 2) che esprimiamo, con questo, un certo insopprimibile razzismo verso coloro che vivono, appunto, un'altra cultura. Per la verità, data la mia esistenza e i miei studi, io ho sempre potuto abbastanza evitare di cadere in questi errori. Ma quando Moravia mi parla di gente (ossia in pratica tutto il popolo italiano) che vive a un livello pre-morale e pre-ideologico, mi dimostra di esserci caduto in pieno, in questi errori. Il pre-morale e il pre-ideologico esistono solo in quanto si ipotizzi l'esistenza di una sola morale e di una sola ideologia storica giusta: che sarebbe poi la nostra borghese, la sua di Moravia, o la mia, di Pasolini. Non esiste, invece, pre-morale o pre-ideologico. Esiste semplicemente un'altra cultura (la cultura popolare) o una cultura precedente. E' su queste culture che si innesta una nuova scelta morale e ideologica: per esempio, la scelta marxista, oppure la scelta fascista.

Pier Paolo Pasolini, biografia breve - 1974 Prima parte - Caro Calvino, Io rimpiangere l’Italietta?

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Macciocchi e Pasolini nel 1974


Il 1974 è l'anno in cui la sua rubrica sul Corriere, "Tribuna aperta" prende un deciso indirizzo di critica sociale e polemica politica. Il direttore del Corriere, Piero Ottone, offre a Pasolini la possibilità di gestire il suo spazio, nelle pagine del quotidiano, a suo piacimento e senza alcuna censura sulla scelta degli argomenti e su come trattarli (scrivi quello che vuoi). 
Pasolini in quel momento è l'intellettuale italiano più vivace, brillante, libero e capace di scatenare forti polemiche (e Piero Ottone, questo lo sa bene). Il Corriere è una testata di proprietà di privati, non portavoce di un partito e senza dubbio il primo quotidiano nazionale. Un quotidiano molto seguito dalla gente e per questo, con una enorme capacità di influenzare l'opinione pubblica (per Pasolini un terreno fertile per le sue acute analisi sociali e politiche). 
Un rapporto molto forte che in giugno, si rafforza ancora maggiormente: all’inizio del giugno 1974, stipula un ulteriore accordo contrattuale con la proprietà del «Corriere». Pasolini è a Milano per una proiezione di << Il fiore delle Mille e una notte >> ed in questa occasione, incontra Giulia Maria Crespi, che rappresenta la proprietà editoriale del Corriere (che già conosce avendo ambientato nella villa di Giulia Maria Crespi sul Ticino parte di Teorema) e Barbiellini Amidei, vicedirettore del Corriere della Sera e responsabile delle pagine culturali. Viene stretta un'intesa che prevede anche la collaborazione per una rubrica di critica letteraria, come quella che già tiene sulle colonne del settimanale Tempo, a partire dalla fine del 1975 (Pasolini pensa di intitolarla «Che fare?»).

Pasolini e il nostro futuro - Paese Sera del 5 gennaio 1974

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Pasolini e il nostro futuro

Paese Sera del 5 gennaio 1974

<<Poesie e appunti>> 
dello scrittore regista 
a proposito di un dibattito 
dell'<<<Unità>>




Significato del rimpianto

* Ani da consolassi? Da cunvìnsisi?

Parsè si lu dìzinu e a tòrnin a dìzisilu?

No lu sàni, no lu savmiu ducius che i prins ch’a giòldin la richessa cressuda

a son i siòrs? *. I modelli di sviluppo erano realtà. È forse realistico accettare tale realtà? Fare nostri i suoi problemi (il verde, la salute,

l’istruzione, la vecchiaia)? Chi ci ha messi in questo pasticcio? Perché mai, ripeto, dovremmo essere realisti, e contribuire alla soluzione di quei problemi?

Non si torna indietro? Stupida verità.

* Jo i mi vuàrdi indavòur, e i plans i pais puòrs, li nulis e il furmint;

la ciasa scura, il firn, li bisicletis, i reoplàns

ch’a passin coma tons: e i frus ju vuàrdin; la maniera di ridi ch’a ven dal còur; i vuj che vuardànsi intòr a àrdin di curiositàt sensa vergogna, di rispièt

sensa paura. I plans un mond muàrt.

Ma i no soj muàrt jo ch’i lu plans.

Si vulin zi avant bisugna ch’i planzini il timp ch’a no’l pòs pi torna, ch’i dizini di no

a chista realtàt ch’a ni à sieràt ta la so preson... *

L’hanno costruita i signori: cioè i nemici di classe. Adesso hanno delle difficoltà. Noi dovremo dargli una mano? Certo se fosse loro il futuro, ciò sarebbe realistico...

martedì 5 dicembre 2023

Guerra civile . Pier Paolo Pasolini

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Guerra civile 


Da “Paese sera”, venerdì 18 novembre 1966, in risposta alla lettera di un lettore
Ora in Empirismo eretico (Appendice), Garzanti, Milano 1995



Pier Paolo Pasolini photographed
by Richard Avedon,
New York, Sept. 24, 1966.
© The Richard Avedon Foundation.
A proposito della vita e della lotta politica negli Stati Uniti, le citazioni, che io citavo a memoria e riassumendole, sono dovute ad autori americani della Nuova Sinistra, e precisamente a due ideologi dello SNCC (Student Nonviolent Coordinating Committee), Tom Hayden e Jimmy Garrett. Del primo sono le osservazioni sul fatto che la collettivizzazione comunista non porta necessariamente (storicamente) l’operaio alla completa partecipazione al potere, ossia alla decisione sul proprio destino, e che, se mai, è vero il contrario, cioè che la creazione di un’«anticomunità» in cui il lavoratore giunga all’esasperata coscienza democratica del dovere e del diritto dalla completa partecipazione al potere, può condurre, come conseguenza, alla collettivizzazione dei beni. L’osservazione sul comunista come «uomo vuoto», è dovuta a Jimmy Garrett. La cito: «Amico, i comunisti sono vuoti, sono uomini vuoti. Hanno le stesse idee stantie, la stessa burocrazia... Quando si mescola fra noi, un <Commy> muore, e una persona si sviluppa.»
Queste osservazioni non sono mie, ma io le ho, in qualche modo, adottate.
In Cecoslovacchia, in Ungheria e in Romania, ho vissuto il mio soggiorno in mezzo agli intellettuali, ed è quindi attraverso loro, attraverso la loro inquietudine, il loro malessere, che ho sentito l’inquietudine e il malessere di quei paesi: di cui credo si possa schematicamente e sommariamente indicare la causa nel fatto che «la rivoluzione non è continuata», ossia che lo Stato non si è decentrato, non è scomparso, egli operai nelle fabbriche non sono veramente partecipi e responsabili del potere politico, e sono invece dominati - chi non lo sa, ormai, e non lo ammette? - da una burocrazia che di rivoluzionario ha solo il nome. E che naturalmente, dà dei «rivoluzionaristi piccolo-borghesi» a coloro che invece credono ancora che la «rivoluzione debba continuare».

domenica 3 dicembre 2023

Pier Paolo Pasolini, Cara Tuscia, una conversazione con Gideon Bachmann - Sviluppo ma non progresso

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Messaggero 22 settembre 1974


Intervista. Italia, sviluppo ma non progresso
Una conversazione con Gideon Bachmann
Pier Paolo Pasolini


Tu hai scritto un pezzo sul referendum suscitando molte polemiche. Vorrei che lo riassumessi.

Riassumendolo, un po’ lo tradisco e un po’ lo porto avanti... Ho analizzato il referendum italiano e ho detto che ha segnato la grande sconfitta del Vaticano e di Fanfani. Essi hanno perso perché non sono stati in grado di capire che l’Italia era cambiata. Non hanno capito una cosa ovvia: che avrebbero perso in maniera clamorosa, cosa che di fatto è avvenuta. Però a perdere è stato anche il Partito comunista, ed è questa affermazione che ha suscitato tutte le polemiche. Il Pci non ha perso le elezioni; ha perso perché non aveva previsto questa vittoria schiacciante. Non soltanto, ma non avrebbe neanche voluto fare il referendum, il che significa che nemmeno i dirigenti comunisti avevano compreso che l’Italia era enormemente cambiata. Gli sconfitti dunque sono due: le due forze tradizionali che dirigono l’Italia. Entrambe non hanno capito che l’Italia in questi sei-sette anni è andata avanti malgrado loro e al di fuori di loro. È andata avanti troppo rispetto a quello che il Vaticano o Fanfani desideravano. Evidentemente la Dc desiderava che gli italiani avessero un certo tipo di vita, un certo sviluppo; non certamente perché lo volessero loro, ma perché lo voleva il potere industriale che stava alle loro spalle, per cui loro non potevano far altro che appoggiare questo sviluppo. È accaduto però che gli italiani sono andati troppo avanti, hanno valicato il limite, sicché è stata la televisione che di fatto ha convinto gli italiani a votare «No» al referendum. D’altra parte gli italiani sono progrediti – uso questo termine in senso neutro per intendere che sono cambiati – anche al di fuori degli schemi del Partito comunista. Non sono andati avanti sulla via del progresso, ma sulla via dello sviluppo, che i comunisti accettarono illudendosi che esso coincidesse con il progresso. E invece questa identificazione non è avvenuta.

venerdì 1 dicembre 2023

I connotati di un potere reale - Ancora sulle recenti prese di posizione di Pier Paolo Pasolini - di Maurizio Ferrara

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l'Unità / giovedì 27 giugno 1974


(Trascrizione curata da Bruno Esposito)


Maurizio Ferrara
l'Unità / giovedì 27 giugno 1974

l'Unità / giovedì 27 giugno 1974

Vivere esteticamente la vicenda politica, aiutandosi con un po' di semiologia, può essere elegante, ma è un errore. Pier Paolo Pasolini torna a compierlo questo errore. Replicando a un nostro intervento sull'Unità {Corriere della Sera, 24 giugno) egli conferma — con qualche estrosità facile in meno e qualche concessione alla ragione politica in più — che, in fondo, il potere va trattato con la P maiuscola perchè è «un tutto » indefinibile ( forse «industrializzazione totale») non identificabile né con il Vaticano, né con le forze armate, né con i potenti democristiani, né con la grande industria.

Tuffi perdenti

Tutte realtà, queste, abdicanti: le quali cedono alla « ideologia edonistica» del nuovo potere (che è «senza volto», come avrebbe scritto Carolina Invemizio se si fosse occupata di queste cose) i loro migliori principi e parametri risucchiati dal nuovo mostro, lo sviluppo, di fronte al quale siamo tutti eguali e perdenti, ricchi e poveri, fascisti e antifascisti.

martedì 21 novembre 2023

La stesura originale della relazione di Pier Paolo Pasolini al convegno Erotismo Eversione Merce (Tetis) - organizzato a Bologna (15-17 dicembre 1973) dalla Commissione Cinema del Comune di Bologna e dalla Mostra Internazionale del Cinema Libero di Porretta Terme.

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Eretico e Corsaro

In fotografia Pier Paolo Pasolini durante un’intervista alla Festa de l’Unità di Bologna del 1974 (Archivio fotografico del Partito comunista italiano, Federazione provinciale di Bologna).


Qualche anno fa Contini 

mi ha fatto osservare 

come in greco Tetis 

voglia dire sesso 

(sia maschile che femminile)

La stesura originale della

Relazione di Pier Paolo Pasolini al convegno Erotismo Eversione Merce

organizzato a Bologna (15-17 dicembre 1973) 

dalla Commissione Cinema del Comune di Bologna 

e dalla Mostra Internazionale del Cinema Libero di Porretta Terme.


La Fondazione Gramsci Emilia-Romagna in occasione del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975) condivide il documento originale dell’intervento intitolato Tetis, che Pasolini pronunciò durante il Convegno Erotismo, eversione, merce, organizzato a Bologna (15-17 dicembre 1973) dalla Commissione Cinema del Comune di Bologna e dalla Mostra Internazionale del Cinema Libero di Porretta Terme.

Il documento fa parte dell’archivio di Aldo d’Alfonso, partigiano, giornalista, scrittore e assessore alla Cultura della Provincia di Bologna per due mandati dal 1970 al 1980.

L’intervento è anche pubblicato in:

Erotismo, eversione, merce, a cura di Vittorio Boarini, Bologna, Cappelli, 1974

Erotismo, eversione, merce, a cura di Vittorio Boarini, Nuova edizione a cura di Fabio Francione, Udine, Mimesis, 2019

Pier Paolo Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W. Siti e S. De Laude,  Milano, Mondadori, 1999, (pp. 257-264)

Il programma del convegno:



Intervento al convegno Erotismo, eversione, merce, organizzato a Bologna (15-17 dicembre 1973) con il proposito di «analizzare teoricamente la funzione sociale e quindi politica dell'Eros». il volume, a cura di Vittorio Boarini (Cappelli, Bologna 1973), comprende, fra gli altri, interventi di Félix Guattari, Alberto Lattuada, Nanni Loy, Fernanda Pivano, Gianni Scalia, Elémire Zolla. 


Le forme di un racconto letterario non sono solo tecnico-linguistiche: ci sono anche delle forme non verbali e quindi non reperibili nella pagina: per esempio, l'arco dello sviluppo di un personaggio, i tratti in evoluzione della sua psicologia. La critica strutturale, attraverso specchietti e grafici, è in grado di rendere "visibili" anche questi dati interni: ma si tratta di una visibilità astratta, statistica.

lunedì 20 novembre 2023

Abrogare Pasolini? - Corriere della sera, 26 luglio 1974, pag. 2, rubrica tribuna aperta

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Eretico e Corsaro



Abrogare Pasolini?

Corriere della sera

26 luglio 1974

pag. 2

rubrica tribuna aperta



Leggendo la risposta «ufficiale» di Maurizio Ferrara al mio intervento su Pannella, mi sono cascate le braccia. Dunque era vero. Tutta la polemica di Ferrara a nome del pci contro la mia persona, era fondata su niente altro che sull'estrapolazione di una frase dal mio testo («Corriere della sera», 10 giugno 1974), frase accepita letteralmente, e infantilmente semplificata. Tale frase è: «La vittoria del «no» è in realtà una sconfitta... Ma, in certo senso, anche di Berlinguer e del partito comunista.»

Ora, anche un bambino avrebbe capito la «relatività» di tale affermazione: e che mentre la parola «sconfitta», riferita alla DC e al Vaticano, suona nel suo pieno significato letterale e oggettivo, la stessa parola riferita al PCI, ha un significato infinitamente più sottile e composito. Anche un bambino avrebbe capito quanto c'è di paradossale nell'identificazione di due sconfitte in realtà così sostanzialmente differenti. Resta però il fatto che anche quella del PCI è comunque una «sconfitta», e questo non doveva essere detto. E se qualcuno lo avesse detto, non avrebbe dovuto venire in nessun modo ascoltato. Avrebbe dovuto - come dice Pannella - essere abrogato.

domenica 19 novembre 2023

Dibattito con Pier Paolo Pasolini: Il buio oltre il presente? Cominciando a parlare di Roma e dei giovani - «Roma giovani», numero 1, 15 novembre 1974.

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Pier Paolo Pasolini partecipa alla tavola rotonda con il sindaco Clelio Darida sul tema della criminalità nella capitale -. Roma - 22 maggio 1971


Dibattito con Pier Paolo Pasolini
Il buio oltre il presente? 
Cominciando a parlare di Roma e dei giovani 

«Roma giovani»

numero 1

15 novembre 1974.

Dibattito con la redazione di  «Roma giovani», rivista della FGCI romana, per un’inchiesta sui giovani. L’intervista è a cura di Nando Adornato, Lucio Caracciolo, Fabrizio Barca.

UN SORRISO ANCHE AL SUD


Hai parlato recentemente nel corso di un animato dibattito svoltosi sulle pagine dei giornali e nei Festival del l’Unità, di un genocidio che sarebbe stato perpetrato dalle classi dominanti nei confronti delle giovani generazioni. Vorremmo che tu oggi approfondissi quali sono gli elementi di questo genocidio, e se nel dire ciò ti riferivi a tutta Italia o, in particolar modo, ai giovani delle borgate e dei quartieri popolari di Roma, città in cui vivi, e sulla quale hai molto lavorato.

Quando parlavo di genocidio non mi riferivo solo alle giovani generazioni, parlavo di tutta la popolazione italiana; citavo Marx - ne parla proprio nel Manifesto - quando egli parla di genocidio, operato dalla classe al potere, delle popolazioni coloniali o sottoproletarie, o del proletariato meno cosciente. Parlavo quindi di tutta Italia e soprattutto del Centro-sud. Infatti parlavo contemporaneamente di una nuova spaccatura tra Nord e Sud - mi riferisco all’esperienza fatta ai Festival dell’Unità soprattutto di Bologna e di Milano -, dove ho visto effettivamente che c’è un tipo nuovo umano, sorridente, che vive con spontaneità, però comunista, che si distacca nettamente da tutto il resto dell’Italia. Allora ho insistito a parlare, e ne ho parlato anche recentemente, del Partito comunista nel suo insieme, come una specie di paese nel paese, di nazione pulita nella nazione sporca; quindi non mi riferivo solo alle borgate romane, ma più in genere al Centro-sud, cioè al mondo proletario e contadino (un po’ meno al mondo proletario dove la coscienza di classe è notevole e dove c’è un certo livello intellettuale come Bologna). E per concludere vorrei risponderti spiegandoti cosa è per me genocidio. È proprio quello di cui parla Marx; consiste in una sostituzione di modelli.

L’Italia è formata da regioni che si possono chiamare piccole nazioni, con la loro tradizione, storia ecc... E quindi le culture italiane sono culture particolaristiche concrete, che hanno dei propri modelli di esistenza e di vita. Il genocidio è la acculturazione del potere consumistico italiano. Che non coincide con il potere democristiano. Questo potere toglie con la violenza, gli antichi modelli di vita, gli antichi valori delle culture che realmente costituiscono l’insieme della cultura italiana e impone i propri modelli e i propri valori, e con questo distrugge un modo di essere uomo. Per esempio a Roma, mi sono trovato in una borgata dove c’era una di queste culture di cui vi parlavo, abbastanza tipica e abbastanza eccezionale; ecco, quando vado là, non trovo più degli esseri viventi ma trovo dei cadaveri: sono stati uccisi.

sabato 18 novembre 2023

Pier Paolo Pasolini, Colpo di testa del capro espiatorio - .(Panorama, 7 novembre 1974)

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Eretico e Corsaro

Pier Paolo Pasolini
Colpo di testa del capro espiatorio

Panorama, 7 novembre 1974

   Insisto. Casalegno si comporta esattamente con l'incosciente aggressività di un malfattore o di una puttana. Spiego perché. Egli premette che le mie idee sono confuse. Poi mi attribuisce una serie di contraddizioni, appunto confusionarie, nate però nella sua testa.

   Per esempio: prima afferma che io «ho evitato... ragionamenti lombrosiani tra misure del cranio e attività politica», poi afferma che secondo me «i gerarchi democristiani non somigliano ai compagni del duce ma addirittura a quelli di Hitler». Dunque, se prima evito un'analisi fisionomica e poi adopero un confronto fisionomico, sono in contraddizione. La realtà è questa: per me è importante il linguaggio del corpo e del comportamento perché è un linguaggio che equivale a un altro: anzi, spesse volte, è moto più sincero. Quindi ho «letto» le facce del film di Naldini e le facce reali che oggi mi circondano come fossero discorsi: ne ho fatto un confronto che è risultato, per esempio, negativo per i dirigenti democristiani attuali, rispetto ai ridicoli e arcaici servi del duce. Non ho detto, però, che sono tali «dirigenti» ad avere un «soma» o un «sema» nazista. Questa è un'altra confusione del Casalegno. Ho detto che sono i giovani fascisti di oggi a essere in realtà nazisti.

"Lo scandaloso Pier Paolo Pasolini" su "Panorama" 8 agosto 1974 n.433 Anno XII

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"Lo scandaloso PPP"
Inchiesta su Pasolini
Panorama, 8 agosto 1974.

Con l’ultima sua invettiva ("Non distinguo più antifascisti da fascisti, il consumismo ha appiattito tutti"), Pasolini ha sbalordito e irritato perfino molti suoi amici. Da vent'anni al centro della vita culturale italiana, protagonista di episodi discussi e spesso ambigui, adesso getta la spugna: “In quest’Italia non si può più vivere”.

Tutto quello che fa, fa scandali. Da almeno vent’anni. Suscita clamore con i libri, con i film, con le amicizie, con le idee. Scandalizza per quello che dice. Per come si esprime, per come si comporta.

Ha 52 anni, la faccia è scavata da segni profondi, come in certe antiche maschere di legno. Alle spalle ha un passato di successi e di applausi, ma anche di pubblico biasimo, di accuse ambigue, persino di processi.

venerdì 17 novembre 2023

Le confusioni di Pasolini & C - Carlo Casalegno, La Stampa 23/10/1974 - numero 238, pagina 9

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Le confusioni di Pasolini & C.

Carlo Casalegno

La Stampa 23/10/1974

numero 238

pagina 9

Pasolini, Moravia e Palmella sono stati invitati da Panorama, insieme con Parise e Riccardo Lombardi, a prendere visione del film Fascista, documentario costruito con gli originali d'epoca dell'istituto Luce, e poi discuterne. Il testo della tavola rotonda, pubblicato dal settimanale, è una lettura istruttiva: dimostra, almeno per qualche inviato che il lamento sulla trahison des clercs non ha perduto d'attualità.

 Gli intellettuali possono « tradire » in due modi: chiudendo gli occhi alla realtà, rinnegando per calcolo le proprie convinzioni, isolandosi per ignavia nella torre d'avorio; oppure giocando con le idee ed i fatti per faziosità, snobismo, ricerca del successo, paura di lasciarsi distanziare dall'ultima moda. Negli Anni Trenta, al tempo della marea fascista, prevaleva il primo tipo di tradimento; oggi, almeno in Italia, il secondo. Ma il cambio di maschera non ci sembra di grande vantaggio, se è dovere dell'intellettuale rispettare la verità e la ragione. I buoni scrittoli possono diventare, giocando con i principi e le parole, dei pessimi maestri.. 

martedì 14 novembre 2023

Pier Paolo Pasolini - Una sconfinata ammirazione per "Delitto e castigo" - Tempo" 4 gennaio 1974

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Una sconfinata ammirazione per "Delitto e castigo"
"Tempo" 4 gennaio 1974
Biblioteca nazionale centrale - Roma

(Trascrizione curata da Bruno Esposito)





Un giovane uomo di ventitré anni - un bel ragazzo anche se così pallido e magro – è “traumatizzato” dall’amore della madre (e per ampliazione, della sorella). La situazione è, per noi, classica: si tratta di una passione infantile edipica. Egli è rimasto impietrito da quell’amore con tanta violenza provato e ricambiato, quasi come in una prova di laboratorio. Infatti le conseguenze sono quelle ben note: la sessuofobia, la freddezza sessuale e il sadismo. Egli sembra innamorarsi di una ragazza bruna, infelice, intelligente e malata. Che muore presto di tifo (si direbbe, come egli ha voluto). In questo amore non trova posto la sensualità. Egli prova altre attrazioni – che non divengono però mai sessuali – per due altre ragazze giovanissime: una adolescente ubriaca o drogata che se ne va per la strada (ed egli la protegge da un “pappagallo”, chiedendo l’aiuto – il che è sintomatico – di un poliziotto) e poi, per un attimo, verso un’altra giovinetta mendicante (che perciò fa pena: e la pena è umiliante, può essere umiliante fino al sadismo). A questa situazione sessuale inconscia (il rapporto edipico con la madre, esteso alla sorella) si aggiungono altri elementi “oggettivi” e in gran parte consci. Il nostro ragazzo, infatti, orfano di padre, studia nella capitale: è mantenuto agli studi per mezzo della misera pensione di sua madre, e sua sorella è costretta a impiegarsi come istitutrice. Ciò ha creato degli obblighi al ragazzo verso la famiglia. Terribili obblighi di gratitudine e di amore, che vengono ad aggiungersi, appunto, alla violenza amorosa infantile e alla inconsapevole repressione della madre su di lui. Una madre buona, sì, buona, anzi angelica; borghese, ma dotata di tutte le qualità migliori della borghesia provinciale: di quello speciale idealismo, cioè, che non può fare del proprio figlio che un essere adorato e unico.

Il nostro eroe è guidato dal suo inconscio, e si appresta, come in un incubo kafkiano, a giocare il ruolo che gli è assegnato; ad esso non può sottrarsi, come un automa, ma puoò, su esso, creare tuttavia delle giustificazioni pretestuose, dei (aberranti, come vedremo) fondamenti moralistici e teorici. Un giorno gli “viene un’idea” – proprio come se gli venisse dal di fuori, dall’alto – ed egli come in un incubo, appunto, si chiede come mai gli sia venuta una simile idea “non sua”: non può sapere infatti che gli viene dal basso. E così si appresta a elaborarla, a impossessarsene (attraverso la teorizzazione). 

Perchè l'assassino ha lasciato la porta aperta

Tale idea è di uccidere una vecchia usuraia, a cui ha dato in pegno degli oggetti (di famiglia). Resiste a lungo a tale “invito”, ma alla fine, dopo un lungo cerimoniale, cede. Egli ammazza così la madre. La madre che lo ossessiona con gli obblighi, che gli crea degli impegni, che lo umilia con la sua ansiosa comprensione, che lo mette di fronte alla propria impotenza: e che comunque, ancora prima, aveva suscitato in lui un amore che, per essere orrendamente colpevole, si era – come vuole il meccanismo – trasformato in odio. Ma non avevamo detto che alla figura della madre egli aveva annesso anche la figura della sorella? Sì, e infatti ecco che, appena uccisa la vecchia usuraia, entra in casa la buona e mite sorella di questa. La porta era stata lasciata aperta (quasi apposta, perché lei potesse entrare). Inoltre, il nostro assassino sapeva che egli avrebbe potuto uccidere la usuraia fra le sette e le sette e mezza circa, appunto perché la sorella era fuori. Egli giunge invece sui luogo dell’assassinio in ritardo (per colpa – siamo sempre alla diagnosi da manuale! – di un assopimento protrattosi più a lungo del previsto). Egli insomma è andato in casa dell’usuraia in ritardo apposta per dar tempo alla sorda di ritornare. E così ammazza anche lei. Non solo dunque egli sopprime nelle due vecchie, la propria madre e la propria sorella, ma sopprime in esse quella «realtà doppia» che l’amore per la donna è per lui: da una parte la realtà repressiva, feroce, angosciosa (l’usuraia) e dall’altra la realtà tenera, affettuosa, mite (la sorella dell’usuraia). 

Nella sua teoria – di carattere nietzschiano – il nostro ragazzo considera il delitto un “delitto gratuito”, fatto per dimostrare a se stesso, da una parte, di essere un uomo superiore (che non esita a delinquere pur di raggiungere il proprio scopo: arricchire per studiare, diventare uno scienziato, un filosofo, un benefattore dell’umanità), dall’altra, di essere addirittura un “superuomo”, al di là di ogni valore morale istituito. Insomma egli ondeggia fra il cinismo della Realpolitik e la grandezza dell’azione pura. In tutti i casi è chiaro che siamo ancora nel laboratorio: egli ha infatti bisogno semplicemente di superare il proprio “complesso di inferiorità” derivante da tutte le circostanze che abbiamo visto. 

Sennonché – com’era fatale – dopo la sua spaventosa impresa, egli sarà costretto a parlare di “fallimento”: e si ritroverà di fronte alla propria “inferiorità” (che però a lui si manifesta solo come incapacità a nascondere le tracce del delitto, e soprattutto, come incapacità a resistere agli impulsi della morale comune che richiede il rimorso e la confessione della colpa). 

In realtà il “fallimento” consiste in qualcos’altro. Consiste nel fatto che la liberazione dalla propria madre attraverso l’assassinio dell’usuraia “doppia” (buona e cattiva), è una liberazione simbolica. Nella realtà, eccola, la madre (con la sorella) che arriva in treno dalla profonda provincia. È una vera e propria resurrezione, la riapparizione di un fantasma. Il delitto è stato davvero “inutile”! La madre e la sorella portano innocenti con sé, non solo tutto l’orrendo fardello di amore infantile, ma, per di più, tutte le esigenze e gli obblighi di una vita da vivere, coi suoi problemi pratici e il suo spietato idealismo da non tradire.La sorte del nostro assassino è dunque ancora interamente da decidere e da vivere. Tutto è da ricominciare da capo. Ma, ormai, il nostro eroe non può più farlo. La sua è ormai una vita che scorre per inerzia, ed egli percorre dunque tutte le tappe obbligate che usa percorrere – quasi secondo delle perfette norme fissate una volta per sempre – un colpevole che finirà per costituirsi, confessare ed espiare. Ormai, quelle che contano sono le vite degli altri, che si sviluppano intorno alla sua. 

Una sfida moralistica al mondo

Durante la sua via crucis (non evangelica, perché egli, naturalmente, è ostacolato continuamente e fino in fondo dall’interpretazione “conscia” che egli dà ai fatti: la sua sfida moralistica al mondo e il suo fallito tentativo d’essere un uomo superiore) egli tuttavia su una vita, più che sulle altre, continua a influire, prima di diventare un “morto civile”. Si tratta della vita di una ragazza – un’adolescente come quelle intraviste e “rimosse” per la strada – in tutto e per tutto simile alla sorella dell’usuraia, e quindi alla madre “buona, mite, idealistica”. L’identificazione di questa ragazza con la sorella dell’usuraia e con la madre dell’infanzia è perfetta: anche letteralmente. Il sentimento del nostro eroe verso questa ragazza dovrebbe essere d’amore (e infatti lo è): ma si tratta di un amore privo di un elemento essenziale, cioè il sesso. Il quale si manifesta (ancora e irrimediabilmente!) attraverso il sadismo. Il giovane infatti confessa a lei, per sadismo, la propria colpa: e continua del resto a tormentarla in tutti i modi. Essa oltre tutto è costretta dalla miseria, benché quasi una bambina, a fare la puttana. E ciò scatena ancor più la sessuofobia e il puritanesimo del nostro eroe che ignora perfettamente di avere un sesso. Naturalmente. non appena egli si accorge di provare un sentimento di amore verso di lei, lo sente subito come odio. E per contro, l’amore ingenuo, immenso e incondizionato di lei per lui, ricomincia & oreal-gli quel sentimento quasi cosmico di insopportazione che gli aveva creato l'amore della madre. È inutile dire che egli, seviziando questa ragazzina. sevizie se stesso. Come già. ammazzando le due vecchie donne. aveva infierito su se stesso.

   Anche questo è da manuale. Non per niente poco prima di spaccare con la scure la povera, indifesa, tenera nuca della malvagia vecchia (la madre, invecchiando, diviene infantile), il nostro eroe aveva fatto un orribile sogno: dei giovinastri, nella sua cittadina di provincia, per dove egli camminava tenendo per mano il padre (!) ammazzano, seviziandola in modo atroce, una povera, magra cavallina (che egli alla fine, quando sarà finalmente morta, andrà a baciare disperatamente nel muso): ma il fatto rilevante è che, benché si tratti di una “cavallina”, egli, parlandone col padre e con gli astanti, appunto perché infante, la chiama “cavallino”. Dunque chi è stato torturato, seviziato, massacrato, ucciso: una cavallina o un cavallino?

   Dopo la confessione del suo delitto e la sua condanna ai lavori forzati, il nostro eroe è seguito, come da una cagna fedele, dalla puttana che egli non ammette di amare, oppure manifesta il suo amore verso di lei attraverso la crudeltà. Niente di nuovo è successo nel profondo della sua personalità. Egli è rimasto la stessa creatura cristallizzata, mostruosa, automatica – e, nel tempo stesso, il ragazzo buono e intelligente – che era prima del delitto. Niente si è sciolto in lui. I suoi compagni di pena odiano in lui questa fedeltà inderogabile al proprio essere, questo ascetismo della diversità ignota a se stessa. Finché la madre vera muore; muore di innocente dolore, tra deliri di bontà materna, che pur intuendo la verità non vuol ammetterla, ecc., ecc. Tale morte in principio non significa nulla. È una morte anagrafica. Eppure essa era indispensabile perché finalmente qualcosa si sciogliesse dentro il suo ostinato figlio. Ciò avviene di colpo e senza nessuna ragione. Assomiglia un po’ a quella che i cristiani chiamano “conversione” o i filosofi Zen “illuminazione”: cioè un mutamento radicale che si verifica in un momento qualunque o addirittura banale. Un dopopranzo, in una pausa di lavoro, sopra uno sterro, davanti a una grande pianura illuminata da un pallido e tiepido sole, dove, lontano, sono accampati dei nomadi, il nostro eroe sente di colpo di amare la ragazza che l’ha seguito: di amarla in modo completo, assoluto, così come non aveva potuto amare la madre da bambino.

   Era tanto semplice! Non solo Dostoevskij ha prefigurato Nietzsche e tutta la cultura nietzschiana, non solo ha prefigurato Kafka, cioè almeno metà della letteratura del Novecento (basta infatti togliere la descrizione del delitto iniziale, e lasciare tutto il resto così com’è: e Delitto e castigo diventa un enorme e convulso Processo) ma addirittura ha prefigurato, precorso, preteso Freud. A meno che egli non sapesse già tutto ciò che Freud avrebbe scoperto.
Questa mia non è che un’umile chiacchierata e un’analisi psicanalitica a braccio; ma potrei però dimostrare, in un saggio documentato, come in Delitto e castigo ci sia un numero impressionante di espressioni “esplicitamente” psicanalitiche. Ciò mi riempie di una sconfinata ammirazione, pari almeno a quella che sento per la impareggiabile “sceneggiatura” del romanzo.

Pier Paolo Pasolini
Una sconfinata ammirazione per "Delitto e castigo" 
Ritaglio di "Tempo" 4 gennaio 1974
Biblioteca nazionale centrale - Roma



Curatore, Bruno Esposito

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