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mercoledì 6 dicembre 2023

Pasolini e il nostro futuro - Paese Sera del 5 gennaio 1974

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Pasolini e il nostro futuro

Paese Sera del 5 gennaio 1974

<<Poesie e appunti>> 
dello scrittore regista 
a proposito di un dibattito 
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Significato del rimpianto

* Ani da consolassi? Da cunvìnsisi?

Parsè si lu dìzinu e a tòrnin a dìzisilu?

No lu sàni, no lu savmiu ducius che i prins ch’a giòldin la richessa cressuda

a son i siòrs? *. I modelli di sviluppo erano realtà. È forse realistico accettare tale realtà? Fare nostri i suoi problemi (il verde, la salute,

l’istruzione, la vecchiaia)? Chi ci ha messi in questo pasticcio? Perché mai, ripeto, dovremmo essere realisti, e contribuire alla soluzione di quei problemi?

Non si torna indietro? Stupida verità.

* Jo i mi vuàrdi indavòur, e i plans i pais puòrs, li nulis e il furmint;

la ciasa scura, il firn, li bisicletis, i reoplàns

ch’a passin coma tons: e i frus ju vuàrdin; la maniera di ridi ch’a ven dal còur; i vuj che vuardànsi intòr a àrdin di curiositàt sensa vergogna, di rispièt

sensa paura. I plans un mond muàrt.

Ma i no soj muàrt jo ch’i lu plans.

Si vulin zi avant bisugna ch’i planzini il timp ch’a no’l pòs pi torna, ch’i dizini di no

a chista realtàt ch’a ni à sieràt ta la so preson... *

L’hanno costruita i signori: cioè i nemici di classe. Adesso hanno delle difficoltà. Noi dovremo dargli una mano? Certo se fosse loro il futuro, ciò sarebbe realistico...

Ma non saremo stati troppo lucidi (la lucidità del piacere di morire) a credere che quella loro realtà fosse quella di tutto il futuro?

Non ci sarebbe stato niente da fare, se fosse stato cosi. E tanto valeva dargli una mano, chinare la testa e dargli una mano. Chinare la testa

e dire ai lavoratori: «Che farci?»

La stessa forza che ai lavoratori ha tolto la capacità, la facilità di sorridere (il sorriso di chi si rassegna

e di chi si rivolta) ha tolto al mondo ogni voglia di rivoluzione.

L’ansia di star bene e nel più breve tempo possibile è molto più forte

di Dio! I piu giovani figli degli operai avevano ormai sorrisi borghesi, dignità che rendono tristi, vergogne di se stessi, conformismi

radicati piu degli istinti, abitudini falsamente intellettuali, snobismi disgraziati, libertà avute per concessione e diventate

febbrili ansie di possesso.

Come trasformare dal di dentro la realtà borghese con l’apporto di questi nuovi operai?

Ora ciò che non era stato previsto, accade. I ricchi diventeranno meno ricchi, i poveri più poveri.

Si guarderanno di nuovo negli occhi.


* Devono consolarsi? Convincersi? Perché se lo dicono e se lo tornano a dire? Non lo sanno, non lo sappiamo tutti, che i primi a godere la crescita della ricchezza 

sono i ricchi?*

* Io mi guardo indietro, e piango i paesi poveri, le nuvole e il frumento; la casa scura, il fumo, le biciclette, gli aeroplani 

che passano come tuoni: e i bambini li guardano; il modo di ridere che viene dal cuore; gli occhi che guardandosi intorno ardono di curiosità senza vergogna, di rispetto 

senza paura. Piango un mondo morto. Ma non son morto io che lo piango. Se vogliamo andare avanti, bisogna che piangiamo il tempo che non può più tornare, che diciamo di no 

a questa realtà che ci ha chiusi nella sua prigione... *



Poesia popolare

* I si sin sbaliàs crodìnt ch’a fus impussìbul che i òmis a podèssin cambiassi cussi in cussi puc timp, che i frus a cressèsin, in cussi puc timp, cussi voltàs

a un nòuf distin. E dut doma par mil francs di pi in sachèta. A son stas sans, in prin, a cuntentàssi: propit i sans che, ’na volta, a savèvin rassegnassi.

Ma chè cuntentessa a era stupida.

E à fat capi ch’a era stada stupida encia la rassegnasiòn. Da la santitàt a no è restàt pi nuja. Omis

e frus a àn dismintiàt coma ch’a si stava in piè tal mond, cu’ na fuarsa e ’na innosensa... ch’a erin ’na ilusiòn. A no bastava vej pierdut la realtàt, i vèvin di pierdi *

encia la ilusiòn! Chej mil francs di pi ch’a vi àn fat erodi ch’a scuminsiàs ’na sagra sensa fin, puòrs fradis, a erin i bès dal di da la vustra fin. La santa vacia magra

a si è pierduda tai vustris vuj par sempri, chè grassa a rit, piena di pòura,

sensa dignitàt *. Ma abbiamo fatto anche un altro sbaglio. Abbiamo creduto che questo cambiamento

dovesse essere tutta la nuova storia.

Invece grazie a Dio si può tornare indietro. Anzi, si deve tornare indietro. Anche se occorre un coraggio

che chi va avanti non conosce.

Se il riso tornerà forte e innocente nei visi degli uomini e dei ragazzi ciò dimostrerà (a chi li ama) il contrario

di ciò che ha dimostrato il suo sparire: era illusione l’allegria dei santi realtà era la loro rassegnazione: solo chi sa rassegnarsi sa anche

ribellarsi. Storia, fa che facciamo ancora un altro sbaglio...


* Ci siamo sbagliati credendo che fosse impossibile che gli uomini potessero cambiarsi così in così poco tempo, che i ragazzi crescessero, in così poco tempo, così voltati

a un nuovo destino. E tutto solo per mille lire di più in saccoccia. Sono stati dei santi, in principio: proprio i santi che, una volta, sapevano rassegnarsi.

Ma quella loro contentezza era stupida. E ha fatto capire che era stata stupida anche la rassegnazione. Della santità non è rimasto più niente. Uomini

e ragazzi hanno dimenticato come si stava in piedi nel mondo, con una forza e un’innocenza... ch’erano un’illusione. Non bastava aver perso la realtà, dovevamo perderne

anche l’illusione! Quelle mille lire di più che vi avevano fatto credere che cominciasse una sagra senza fine, poveri fratelli, erano i soldi del giorno della vostra fine. La santa vacca magra

si è persa nei vostri occhi per sempre, quella grassa ride, piena di paura, senza dignità*.


 

Appunto per una poesia in lappone 

Perché se la civiltà dei consumi ha posto il problema della mancanza del verde o della solitudine della vecchiaia, un sindaco comunista si sente tenuto a risolverlo? (1) Di che si tratta? Della accettazione di una realtà fatale? E, visto che le cose stanno cosi, il dovere storico è quello di cercar di migliorarle attraverso l'entusiasmo comunista? Il «modello di sviluppo» è quello voluto dalla società capitalistica che sta per giungere alla massima maturità. Proporre altri modelli di sviluppo, significa accettare tale primo modello di sviluppo. Significa voler migliorarlo, modificarlo, correggerlo. No: non bisogna accettare tale «modello di sviluppo». E non basta neanche rifiutare tale «modello di sviluppo». Bisogna rifiutare lo «sviluppo». Questo «sviluppo»: perché è uno sviluppo capitalista. Esso parte da principi non solo sbagliati (anzi, essi non sono affatto sbagliati: in sé sono perfetti, sono i migliori dei principi possibili), bensì maledetti. Essi presuppongono trionfanti una società migliore e quindi tutta borghese. I comunisti che accettano questo «sviluppo», considerando il fatto che l'industrializzazione totale e la forma di vita che ne consegue, è irreversibile, sarebbero indubbiamente realisti a collaborarvi, se la diagnosi fosse assolutamente giusta e sicura. E invece non è detto - e ci sono ormai le prove — che tale «sviluppo» debba continuare com’è cominciato. C’è anzi la possibilità di una «recessione». Cinque anni di «sviluppo» hanno reso gli italiani un popolo di nevrotici idioti, cinque anni di miseria possono ricondurli alla loro sia pur misera umanità. E allora - almeno i comunisti - potranno far tesoro dell’esperienza vissuta: e, poiché si dovrà ricominciare daccapo con uno «sviluppo», questo «sviluppo» dovrà essere totalmente diverso da quello che è stato. Altro che proporre nuovi «modelli» allo «sviluppo» quale esso è ora! Il caso di Bologna è comunque (sia ben chiaro) ammirevole.

1) II caso di Bologna è comunque (sia ben chiaro) ammirevole




La recessione

* I jodarm bargèssis cui tacòns; tramòns ros su borcs vuèis di motòurs e plens di zòvins strassòns tornàs da Turin o li Germàniis.

I vecius a saràn paròns dai so murès coma di poltronis di senatòurs; i frus a savaràn che la minestra a è pucia, e se ch’a vai un toc di pan.

La sera a sarà nera coma la fin dal mond, di not si sentiràn doma che i gris o i tons; e forsi, forsi, qualchi zòvin — un dai pus zòvins bons tornàs al nit —

a tirarà fòur un mandulìn. L’aria a savarà di stras bagnàs. Dut a sarà lontàn. Trenos e corieris a passaràn di tant in tant coma ta un siun. 

Li sitàs grandis coma monds, a saràn plenis di zent ch’a va a piè cui vistis gris, e drenti tai vuj ’na domanda, ’na domanda ch’a è,

magari, di un puc di bès, di un pissul plasèir, ma invessi a è doma di amòur. I antics palàs a saràn coma montagnis di pierà soj e sieràs, coma ch’a erin ièir.

Li pissulis fabrichis tal pi bièl di un prat verd ta la curva di un flun, tal còur di un veciu bosc di roris, a si sdrumaràn

un puc par sera, murèt par murèt lamiera par lamiera. I bandis (i zòvins tornàs a ciasa dal mond cussi divièrs da coma ch’a èrin partis)

a varàn li musis di ’na volta, cui ciaviej curs e i vuj di so mari plens dal neri da li nos di luna - e a saràn armàs doma che di un curtis.

Il sòcul dal ciavàl al tociarà la ciera, lizèir coma ’na pavèa, e al recuardarà se ch’ai è stat, in silensiu, il mond e chel ch’ai sarà *.

Ma basta con questo film neorealistico. Abbiamo abiurato da ciò che esso rappresenta. Rifarne esperienza vai la pena solo se si lotterà per un mondo davvero comunista.


* Vedremo calzoni coi rattoppi; tramonti rossi su borghi vuoti di motori e pieni di giovani straccioni tornati da Torino o dalla Germania.

I vecchi saranno padroni dei loro muretti come di poltrone di senatori; i bambini sapranno che la minestra è poca, e quanto vale un pezzo di pane.

La sera sarà nera come la fine del mondo, di notte si sentiranno solo i grilli o i tuoni; e forse, forse, qualche giovane (uno dei pochi giovani buoni tornati al nido)

tirerà fuori un mandolino. L’aria saprà di stracci bagnati. Tutto sarà lontano. Treni e corriere passeranno di tanto in tanto come in un sonno.

Le città grandi come mondi saranno piene di gente che va a piedi, coi vestiti grigi, e dentro gli occhi una domanda, una domanda che è,

magari, di un po’ di soldi, di un piccolo aiuto, e invece è solo di amore. Gli antichi palazzi saranno come montagne di pietra, soli e chiusi, com’erano una volta.

Le piccole fabbriche sul più bello di un prato verde, nella curva di un fiume, nel cuore di un vecchio bosco di querce, crolleranno un poco per sera, muretto per muretto, lamiera per lamiera. I banditi (i giovani tornati a casa dal mondo cosi diversi da come erano partiti), avranno i visi di una volta, coi capelli corti e gli occhi di loro madre, pieni del nero delle notti di luna - e saranno armati solo di un coltello.

Lo zoccolo del cavallo toccherà la terra, leggero come una farfalla, e ricorderà ciò che è stato, in silenzio, il mondo e ciò che sarà *.




Appunto per una poesia in terrone

Così non si può più andare avanti.

Perché avete lasciato che i nostri figli fossero educati dai borghesi? Perché avete permesso che le nostre case fossero costruite dai borghesi? Perché avete tollerato che le nostre anime fossero tentate dai borghesi?(1) Perché avete protestato solo a parole mentre pian piano la nostra cultura(2) si andava trasformando in una cultura borghese? Perché avete accettato che i nostri corpi vivessero una cultura borghese? Perché non vi siete ribellati alla nostra ansia, che si giustificava giorno per giorno con lo strappare qualcosa alla miseria, ad avere una vita borghese? Perché vi siete condotti in modo da trovarvi di fronte a questo fatto compiuto, e, vedendo che ormai non c’era più niente da fare, eravate disposti a salvare il salvabile, partecipando, realisticamente, al potere borghese?

Così non si può più andare avanti.

Bisognerà tornare indietro, e ricominciare daccapo. Perché i nostri figli non siano educati dai borghesi(3), perché le nostre case non siano costruite dai borghesi(4), perché le nostre anime non siano tentate dai borghesi. Perché se la nostra cultura, non potrà e non dovrà più essere la cultura della povertà(5), si trasformi in una cultura comunista(6). Perché i nostri corpi, se è destino che non vivano più l’innocenza e il mistero della povertà, vivano la cultura comunista. Perché la nostra ansia, se è giusto che non sia più ansia di miseria, sia ansia di beni necessari.

Torniamo indietro, col pugno chiuso, e ricominciamo daccapo. Non vi troverete più di fronte al fatto compiuto di un potere borghese ormai destinato a essere eterno. Il vostro problema non sarà più il problema di salvare il salvabile. Nessun compromesso. Torniamo indietro. Viva la povertà. Viva la lotta comunista per i beni necessari.


1) Beni di consumo, televisione ecc.

2) Sapere, modo di essere.

3) A scuola e fuori, in modo da ridurli a degradati imitatori.

4) Con tutto quello che c’è dentro.

5) «Cultura» contadina, proletaria, paleoindustriale; particolare, dialettale.

6) Si accenna a una «rivoluzione culturale», in cui l’egemonia marxista sia garanzia di libertà dell’uomo dalla scienza applicata e dalla sua ideologia.



Curatore, Bruno Esposito

Grazie per aver visitato il mio blog

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