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venerdì 8 dicembre 2023

L’ANTIFASCISMO COME GENERE DI CONSUMO - Massimo Fini intervista Pier Paolo Pasolini - «L’Europeo», dicembre 1974

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

L'Europeo numero 52 del  26 dicembre 1974

L’ANTIFASCISMO COME GENERE DI CONSUMO
Massimo Fini intervista Pier Paolo Pasolini

 «L’Europeo», 26 dicembre 1974

*

Tratto da:

Massimo Fini

Il giornalismo fatto in pezzi

Marsilio


( Anche in Scritti corsari, con il titolo "Fascista")

Vedi anche:

Pier Paolo Pasolini, da Poveri ma fascisti, «Il Messaggero», 17 ottobre 1974

    Mai come in questi anni in Italia si è sentita risuonare la parola «antifascista», insieme ai suoi due corollari «laico» e «democratico». Non c’è persona oggi in Italia (a parte i fascisti dichiarati) che non si proclami tutta insieme «laica, democratica e antifascista». Eppure mai come in questi anni la Repubblica è stata, al di là di certe apparenze permissive, percorsa da sindromi di intolleranza, di corporativismo, di antidemocrazia: di fascismo, infine, se fascismo significa anche la prepotenza del potere…

    Il fatto è che essere genericamente antifascista oggi in Italia non costa nulla, anzi spesso e volentieri paga. Ecco perché il termine è diventato ambiguo, si è consumato al punto da non voler dire quasi più nulla. Del resto è già abbastanza straordinario che a trent’anni dalla Resistenza e dalla caduta del regime si ragioni ancora in termini di fascismo e antifascismo. Questo vuol dire solo due cose: o che siamo rimasti perfettamente immobili e che trent’anni sono passati invano, o che dietro un certo antifascismo di maniera (che nulla ha a che vedere con l’antifascismo reale pagato di persona) si nascondono sotto mentite spoglie i vizi di ieri, le intolleranze, il conformismo, il servilismo di fronte al potere. Un «antifascismo» oltretutto pericoloso perché rischia con il suo conformismo e la sua intolleranza di fare dei fascisti reali dei martiri ingiustificati, e rischia di fare apparire quasi dalla parte della ragione chi ha indiscutibilmente torto.

    Da questi dubbi nasce la nostra inchiesta. Un’inchiesta, come si vede, delicata (l’accusa che ci verrà immediatamente rivolta, lo sappiamo, è di “fare il gioco delle destre”). Per questo abbiamo chiamato a rispondere a questi dubbi e a queste domande uomini della cui reale, antica e provata fede antifascista non è lecito dubitare.    

Gocce di Petrolio - Pier Paolo Pasolini, 1974

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Gocce di Petrolio
Pier Paolo Pasolini 
1974


APPENDICE 1 DAL DATTILOSCRITTO

 Carlo I divenuto santo, nel cercare per Carlo II ecc. nella sua “stoica” lotta sociale ecc. ecc. un aiuto soprannaturale ecc. compie

Una DISCESA AGLI INFERI

che si configura come un classico viaggio, secondo i modelli mitologici e medioevali, compreso Dante. Ma non è che un capitolo (come per Ulisse) e molto più semplice, frontale, nomenclatorio ecc.

 Cosa sono questi Inferi oggi, per un uomo come C.: sono il luogo dei Sogni, o dell’Inconscio (il Girone personale e il Girone della Massenpsyche, o Inconscio collettivo) con tutti i suoi simboli. Un “Sogno ideale”, che sintetizzi tutti i sogni possibili, con tutti i loro simboli possibili; il sogno dei sogni, divenuto luogo comune, archetipo e cristallizzato in una serie di visioni didascaliche. Arrivato nel punto più profondo di questi Inferi, di fronte alla Scena originaria (che può essere inventata, ribaltando tutte le ipotesi degli studiosi: e ridotta a un atto irrilevante e deludente, e per questo estremamente significativo, come rovesciare un bicchiere posato sopra una tomba sotto cui si stende la vera Regione della Morte ecc.), C. compie il gesto rituale e liberatorio – liberato appunto da ogni senso e meccanica logica (anche dalla logica del simbolismo dei sogni). Naturalmente la “Discesa” è romanzata. Per es. riapparizione del sesso, attraverso la Visione del Centauro col cazzo enorme tra le gambe davanti anziché tra quelle di dietro ecc.; visioni “architettoniche di città”. Ma la vera e propria Storia romanzesca di questa Discesa non riguarda C. ma un personaggio che egli in realtà accompagna in questa Discesa, e che deve ripetere la sua impresa mitica, riavere un rapporto con un suo pari, un compagno – come Oreste e Pilade ecc. morto (alcuni secoli avanti) prima di lui. Un mito alessandrino (come gli Argonauti, ancora, di Apollonio Rodio) che riguardi fatti accaduti nel mondo classico, benché tutto si riferisca poi ai primordi. Per questo potrei rielaborare un mito primitivo indiano, o africano o polinesiano, in cui ci siano, rozzi, gli elementi del mito mediterraneo e cristiano ecc.

 –  Carrellata indietro per cui Carlo è spettatore delle imprese dell’eroe mitico – Solo alla fine protagonista diventa Carlo – La carrellata è analoga a quella della Visione nella sezione del “Merda”.

 Chia, 16 Agosto 1974

 (sognato durante la notte)

mercoledì 6 dicembre 2023

Pier Paolo Pasolini, 11 luglio 1974. Ampliamento del «bozzetto» sulla rivoluzione antropologica in Italia - intervista a cura di Guido Vergani, sul «Mondo» del 11 luglio 1974

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Pier Paolo Pasolini, l'11 luglio 1974. 
Ampliamento del «bozzetto» sulla rivoluzione antropologica in Italia 

(Sul «Mondo», intervista a cura di Guido Vergani)

   Noi intellettuali tendiamo sempre a identificare la «cultura» con la nostra cultura: quindi la morale con la nostra morale e l'ideologia con la nostra ideologia. Questo significa: 1) che non usiamo la parola «cultura» nel senso scientifico, 2) che esprimiamo, con questo, un certo insopprimibile razzismo verso coloro che vivono, appunto, un'altra cultura. Per la verità, data la mia esistenza e i miei studi, io ho sempre potuto abbastanza evitare di cadere in questi errori. Ma quando Moravia mi parla di gente (ossia in pratica tutto il popolo italiano) che vive a un livello pre-morale e pre-ideologico, mi dimostra di esserci caduto in pieno, in questi errori. Il pre-morale e il pre-ideologico esistono solo in quanto si ipotizzi l'esistenza di una sola morale e di una sola ideologia storica giusta: che sarebbe poi la nostra borghese, la sua di Moravia, o la mia, di Pasolini. Non esiste, invece, pre-morale o pre-ideologico. Esiste semplicemente un'altra cultura (la cultura popolare) o una cultura precedente. E' su queste culture che si innesta una nuova scelta morale e ideologica: per esempio, la scelta marxista, oppure la scelta fascista.

Pier Paolo Pasolini, biografia breve - 1974 Prima parte - Caro Calvino, Io rimpiangere l’Italietta?

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Macciocchi e Pasolini nel 1974


Il 1974 è l'anno in cui la sua rubrica sul Corriere, "Tribuna aperta" prende un deciso indirizzo di critica sociale e polemica politica. Il direttore del Corriere, Piero Ottone, offre a Pasolini la possibilità di gestire il suo spazio, nelle pagine del quotidiano, a suo piacimento e senza alcuna censura sulla scelta degli argomenti e su come trattarli (scrivi quello che vuoi). 
Pasolini in quel momento è l'intellettuale italiano più vivace, brillante, libero e capace di scatenare forti polemiche (e Piero Ottone, questo lo sa bene). Il Corriere è una testata di proprietà di privati, non portavoce di un partito e senza dubbio il primo quotidiano nazionale. Un quotidiano molto seguito dalla gente e per questo, con una enorme capacità di influenzare l'opinione pubblica (per Pasolini un terreno fertile per le sue acute analisi sociali e politiche). 
Un rapporto molto forte che in giugno, si rafforza ancora maggiormente: all’inizio del giugno 1974, stipula un ulteriore accordo contrattuale con la proprietà del «Corriere». Pasolini è a Milano per una proiezione di << Il fiore delle Mille e una notte >> ed in questa occasione, incontra Giulia Maria Crespi, che rappresenta la proprietà editoriale del Corriere (che già conosce avendo ambientato nella villa di Giulia Maria Crespi sul Ticino parte di Teorema) e Barbiellini Amidei, vicedirettore del Corriere della Sera e responsabile delle pagine culturali. Viene stretta un'intesa che prevede anche la collaborazione per una rubrica di critica letteraria, come quella che già tiene sulle colonne del settimanale Tempo, a partire dalla fine del 1975 (Pasolini pensa di intitolarla «Che fare?»).

Pasolini e il nostro futuro - Paese Sera del 5 gennaio 1974

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Pasolini e il nostro futuro

Paese Sera del 5 gennaio 1974

<<Poesie e appunti>> 
dello scrittore regista 
a proposito di un dibattito 
dell'<<<Unità>>




Significato del rimpianto

* Ani da consolassi? Da cunvìnsisi?

Parsè si lu dìzinu e a tòrnin a dìzisilu?

No lu sàni, no lu savmiu ducius che i prins ch’a giòldin la richessa cressuda

a son i siòrs? *. I modelli di sviluppo erano realtà. È forse realistico accettare tale realtà? Fare nostri i suoi problemi (il verde, la salute,

l’istruzione, la vecchiaia)? Chi ci ha messi in questo pasticcio? Perché mai, ripeto, dovremmo essere realisti, e contribuire alla soluzione di quei problemi?

Non si torna indietro? Stupida verità.

* Jo i mi vuàrdi indavòur, e i plans i pais puòrs, li nulis e il furmint;

la ciasa scura, il firn, li bisicletis, i reoplàns

ch’a passin coma tons: e i frus ju vuàrdin; la maniera di ridi ch’a ven dal còur; i vuj che vuardànsi intòr a àrdin di curiositàt sensa vergogna, di rispièt

sensa paura. I plans un mond muàrt.

Ma i no soj muàrt jo ch’i lu plans.

Si vulin zi avant bisugna ch’i planzini il timp ch’a no’l pòs pi torna, ch’i dizini di no

a chista realtàt ch’a ni à sieràt ta la so preson... *

L’hanno costruita i signori: cioè i nemici di classe. Adesso hanno delle difficoltà. Noi dovremo dargli una mano? Certo se fosse loro il futuro, ciò sarebbe realistico...

martedì 5 dicembre 2023

Guerra civile . Pier Paolo Pasolini

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Guerra civile 


Da “Paese sera”, venerdì 18 novembre 1966, in risposta alla lettera di un lettore
Ora in Empirismo eretico (Appendice), Garzanti, Milano 1995



Pier Paolo Pasolini photographed
by Richard Avedon,
New York, Sept. 24, 1966.
© The Richard Avedon Foundation.
A proposito della vita e della lotta politica negli Stati Uniti, le citazioni, che io citavo a memoria e riassumendole, sono dovute ad autori americani della Nuova Sinistra, e precisamente a due ideologi dello SNCC (Student Nonviolent Coordinating Committee), Tom Hayden e Jimmy Garrett. Del primo sono le osservazioni sul fatto che la collettivizzazione comunista non porta necessariamente (storicamente) l’operaio alla completa partecipazione al potere, ossia alla decisione sul proprio destino, e che, se mai, è vero il contrario, cioè che la creazione di un’«anticomunità» in cui il lavoratore giunga all’esasperata coscienza democratica del dovere e del diritto dalla completa partecipazione al potere, può condurre, come conseguenza, alla collettivizzazione dei beni. L’osservazione sul comunista come «uomo vuoto», è dovuta a Jimmy Garrett. La cito: «Amico, i comunisti sono vuoti, sono uomini vuoti. Hanno le stesse idee stantie, la stessa burocrazia... Quando si mescola fra noi, un <Commy> muore, e una persona si sviluppa.»
Queste osservazioni non sono mie, ma io le ho, in qualche modo, adottate.
In Cecoslovacchia, in Ungheria e in Romania, ho vissuto il mio soggiorno in mezzo agli intellettuali, ed è quindi attraverso loro, attraverso la loro inquietudine, il loro malessere, che ho sentito l’inquietudine e il malessere di quei paesi: di cui credo si possa schematicamente e sommariamente indicare la causa nel fatto che «la rivoluzione non è continuata», ossia che lo Stato non si è decentrato, non è scomparso, egli operai nelle fabbriche non sono veramente partecipi e responsabili del potere politico, e sono invece dominati - chi non lo sa, ormai, e non lo ammette? - da una burocrazia che di rivoluzionario ha solo il nome. E che naturalmente, dà dei «rivoluzionaristi piccolo-borghesi» a coloro che invece credono ancora che la «rivoluzione debba continuare».

domenica 3 dicembre 2023

Pier Paolo Pasolini, Cara Tuscia, una conversazione con Gideon Bachmann - Sviluppo ma non progresso

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Messaggero 22 settembre 1974


Intervista. Italia, sviluppo ma non progresso
Una conversazione con Gideon Bachmann
Pier Paolo Pasolini


Tu hai scritto un pezzo sul referendum suscitando molte polemiche. Vorrei che lo riassumessi.

Riassumendolo, un po’ lo tradisco e un po’ lo porto avanti... Ho analizzato il referendum italiano e ho detto che ha segnato la grande sconfitta del Vaticano e di Fanfani. Essi hanno perso perché non sono stati in grado di capire che l’Italia era cambiata. Non hanno capito una cosa ovvia: che avrebbero perso in maniera clamorosa, cosa che di fatto è avvenuta. Però a perdere è stato anche il Partito comunista, ed è questa affermazione che ha suscitato tutte le polemiche. Il Pci non ha perso le elezioni; ha perso perché non aveva previsto questa vittoria schiacciante. Non soltanto, ma non avrebbe neanche voluto fare il referendum, il che significa che nemmeno i dirigenti comunisti avevano compreso che l’Italia era enormemente cambiata. Gli sconfitti dunque sono due: le due forze tradizionali che dirigono l’Italia. Entrambe non hanno capito che l’Italia in questi sei-sette anni è andata avanti malgrado loro e al di fuori di loro. È andata avanti troppo rispetto a quello che il Vaticano o Fanfani desideravano. Evidentemente la Dc desiderava che gli italiani avessero un certo tipo di vita, un certo sviluppo; non certamente perché lo volessero loro, ma perché lo voleva il potere industriale che stava alle loro spalle, per cui loro non potevano far altro che appoggiare questo sviluppo. È accaduto però che gli italiani sono andati troppo avanti, hanno valicato il limite, sicché è stata la televisione che di fatto ha convinto gli italiani a votare «No» al referendum. D’altra parte gli italiani sono progrediti – uso questo termine in senso neutro per intendere che sono cambiati – anche al di fuori degli schemi del Partito comunista. Non sono andati avanti sulla via del progresso, ma sulla via dello sviluppo, che i comunisti accettarono illudendosi che esso coincidesse con il progresso. E invece questa identificazione non è avvenuta.

venerdì 1 dicembre 2023

I connotati di un potere reale - Ancora sulle recenti prese di posizione di Pier Paolo Pasolini - di Maurizio Ferrara

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Eretico e Corsaro


l'Unità / giovedì 27 giugno 1974


(Trascrizione curata da Bruno Esposito)


Maurizio Ferrara
l'Unità / giovedì 27 giugno 1974

l'Unità / giovedì 27 giugno 1974

Vivere esteticamente la vicenda politica, aiutandosi con un po' di semiologia, può essere elegante, ma è un errore. Pier Paolo Pasolini torna a compierlo questo errore. Replicando a un nostro intervento sull'Unità {Corriere della Sera, 24 giugno) egli conferma — con qualche estrosità facile in meno e qualche concessione alla ragione politica in più — che, in fondo, il potere va trattato con la P maiuscola perchè è «un tutto » indefinibile ( forse «industrializzazione totale») non identificabile né con il Vaticano, né con le forze armate, né con i potenti democristiani, né con la grande industria.

Tuffi perdenti

Tutte realtà, queste, abdicanti: le quali cedono alla « ideologia edonistica» del nuovo potere (che è «senza volto», come avrebbe scritto Carolina Invemizio se si fosse occupata di queste cose) i loro migliori principi e parametri risucchiati dal nuovo mostro, lo sviluppo, di fronte al quale siamo tutti eguali e perdenti, ricchi e poveri, fascisti e antifascisti.